La dottrina del miracolo di Adriaan Koerbagh

La credenza nei miracoli, definibili come eventi che modificano l’ordine necessario della natura, costituisce un crocevia fondamentale per quanto riguarda l’adozione di un modello di pensiero trascendente o immanente nella cultura e nella società. Ammettere la possibilità dei miracoli significa escludere un criterio normativo per la lettura dell’ordine del mondo e riconoscere una dimensione non intelligibile capace di modificare in ogni momento la realtà naturale secondo i propri oscuri criteri.
La questione del miracolo è più complicata di quanto si possa pensare [1]. La riflessione su questo argomento ha dovuto fare i conti con concezioni radicate nel senso comune e confermate dal sistema teologico-politico. Con l’avvento del pensiero moderno, la credenza nei miracoli non viene meno se anche un autore come Hobbes riconosce ancora la loro possibilità [2]. Bisognerà attendere un filosofo definito “ateo” e “maledetto” come Spinoza affinché la questione venga liquidata definitivamente in base alla dichiarazione che i miracoli sono impossibili e che essi costituiscono il segno tangibile dell’ignoranza umana [3]. Rispetto a quanto si credeva fino a pochi anni fa, Spinoza non è tuttavia l’unico pensatore che abbia esplicitamente respinto la credenza nei miracoli.

Il caso e le opere di Adriaan Koerbagh
Una posizione simile, ma diversa per stile e contenuto argomentativo, è sicuramente quella del medico e giurista olandese Adriaan Koerbagh. Nato ad Amsterdam nel 1632, Koerbagh ha non solo sintetizzato nelle proprie opere motivi centrali delle filosofie di Hobbes e Spinoza ma ha anche esibito una propria autonomia filosofica. Dopo la pubblicazione delle sue prime opere, il Nuovo vocabolario del diritto del 1664 e Een Bloemhof  (Un giardino) del 1667, Koerbagh, nella sua nuova composizione del 1668, Een Ligt Schijnende in Duystere plaatsen (Una luce che brilla in luoghi oscuri), accentua la critica ai concetti tradizionali del cristianesimo e all’influenza della religione nella società. Il testo fu stampato fino al capitolo sesto quando il tipografo, insospettito dal contenuto, decise di denunciare il suo autore al podestà della città. Arrestato e sottoposto a processo, Koerbagh fu condannato alla prigione, dove morì nell’ottobre del 1669.
Een Ligt Schijnende in Duystere plaatsen, di cui rimangono due manoscritti conservati all’Aia, è stato pubblicato per la prima volta nel 1974. Recentemente è uscita una traduzione in lingua inglese [4]. Secondo Israel si tratta di uno dei testi fondamentali dell’illuminismo radicale europeo [5]. Il titolo, che si riferisce metaforicamente alla luce della ragione, sembra una riscrittura di un noto brano del Nuovo Testamento nella quale il posto della parola profetica viene preso dalla filosofia [6]. Koerbagh, che si designa come “bocca vera” (Waarmond) e cercatore della verità, indica l’odio teologico, fondato sulla diversità delle opinioni in materia religiosa, come causa di corruzione personale e di dissoluzione dello Stato. Soltanto una religione razionale, nella quale non ci siano dogmi o articoli di fede, è in grado di garantire la coesione sociale. Le parole del medico e giurista olandese, da questo punto di vista, non sono caratterizzate da prudenza e cautela secondo l’insegnamento del suo amico Spinoza [7]. Koerbagh affronta invece l’argomento con piglio serrato portando l’attacco direttamente nel campo avversario.

Il capitolo 16 sui miracoli di Een Ligt
La questione dei miracoli occupa il sedicesimo ed ultimo capitolo del trattato. Koerbagh li definisce, utilizzando le parole degli ecclesiastici, come quegli atti o fatti di Dio che si pongono sopra o contro natura. La tesi fondamentale sostenuta da Koerbagh è che la potenza divina coincide con la sua stessa essenza: se Dio potesse agire indipendentemente dalla propria natura avremmo invece un mondo non intelligibile, nel quale egli potrebbe disfare tutto quello che ha fatto, creare continuamente nuovi mondi, fare ciò che non ha ancora realizzato come se ci fosse un suo agire nel tempo. Se così fosse, non si avrebbe conoscenza naturale disponibile per tutti, ma si costituirebbero soltanto conoscenze privilegiate in possesso di chi si arroghi il privilegio del rapporto diretto ed esclusivo con Dio.

Le tesi dei sostenitori dei miracoli
Il procedimento retorico utilizzato da Koerbagh è diverso da quello di Spinoza: mentre quest’ultimo enuncia le proposizioni dirette a dimostrare l’ordine eterno e immutabile della natura, il primo elenca le tesi dei fautori dei miracoli che poi si impegna a confutare. Esse sono cinque che riportiamo dalla traduzione dal nederlandese:

1)    Dio può cambiare una semplice cosa da lui prodotta, anche se essa non può essere mutata da una causa esterna diversa o separata da Dio o dalla cosa stessa.
2)    Il potere di Dio, benché nel produrre miracoli modifichi la natura di una cosa, rimane immutabile.

A queste due tesi, che potremmo definire di carattere ontologico, ne seguono altre tre di carattere potremmo dire teleologico:
3)    I miracoli sono fatti da Dio per mostrare il suo potere.
4)    Dio fa miracoli affinché gli uomini credano in lui.
5)    I miracoli si ammettono soltanto per fede.

Quest’ultima tesi è seguita da un’appendice nella quale si ricorda come i fautori dei miracoli sostengano che la loro fede è conciliabile con la ragione e non è in contraddizione con la natura.

Confutazione delle tesi ontologiche sui miracoli
Per confutare le prime due tesi, Koerbagh pone due nozioni vere o assiomi tali che lo stesso Dio non sia in grado di cambiarli [8]. Il primo assioma sostiene:

Il potere di Dio è immutabile perché la sua essenza è immutabile e il  potere è incluso nella sua essenza

Da tale assioma, diretto alla confutazione della seconda tesi dei sostenitori dei miracoli, consegue che, se Dio agisce mediante la sua essenza, una certa azione non può essere modificata a piacimento (l’acqua che dal basso corresse verso l’alto conoscerebbe una modificazione della sua essenza). Troviamo in questo primo assioma tutti i presupposti ontologici enunciati da Spinoza nella prima parte dell’Etica e che costituiscono la confutazione dei principi della filosofia scolastica: dall’esclusione in Dio di intelletto e volontà, alla mancanza della distinzione tra potenza assoluta e potenza ordinata, fino all’unicità della potenza di Dio [9].

Il secondo assioma sostiene:

Dio deve conservare una semplice cosa prodotta da lui così a lungo che non sia modificata da una causa esterna separata da Dio

La prima tesi affermava che, sebbene nell’ordine naturale delle cose non possono esserci cambiamenti e modificazioni, Dio può comunque intervenire per modificare quelle singole cose e le leggi a cui sono sottoposte. Koerbagh sostiene, al contrario, che Dio deve sempre conservare una qualsiasi cosa da lui prodotta. Questo secondo assioma è seguito da una dimostrazione che aiuta a comprendere il contenuto dell’enunciato. In essa si sostiene che il potere che compete a Dio di produrre una cosa A, non implica soltanto l’affermazione di un potere astratto di produrre la cosa, ma anche la produzione effettiva della cosa A. Si tratta di un punto decisivo. Se, come nel primo assioma, si afferma che il potere di Dio è compreso nella sua essenza e se ora compete all’essenza di Dio produrre una cosa A, Dio la deve produrre perché, se non la producesse, non sarebbe Dio. Questo significa che Dio non è separabile da tutte le implicazioni della sua essenza: se il mondo non può esistere senza Dio, Dio stesso non può esistere senza il mondo [10].

Nella parte finale del corollario Koerbagh esprime alcune considerazioni per assurdo che servono a corroborare la confutazione delle due tesi ontologiche. In primo luogo egli ammette l’ipotesi del miracolo ad una condizione, ovvero che chi sostiene tale possibilità sia un profondo conoscitore della fisica e dell’intera natura: siccome però gli uomini non si trovano in questa condizione, non è possibile affermare che esistano fenomeni che sfuggano alle leggi naturali. In secondo luogo Koerbagh ammette la possibilità di eventi che obbediscano a leggi sovra naturali: in questo caso però, per poter dimostrare che qualcosa sia sopra l’universo, bisognerebbe non appartenere alla natura terrena con la conclusione che la possibilità di eventi che non obbediscano a leggi naturali è una pura finzione. In terzo luogo Koerbagh afferma che se c’è qualcosa sopra la natura essa deve essere contemporaneamente contro la natura; tuttavia, essendo la natura infinita e coincidente con Dio, essa non può avere altro fuori di sé a cui possa contrapporsi [11].

Confutazione delle tesi teleologiche sui miracoli
Alla terza tesi, secondo la quale Dio manifesterebbe la sua potenza attraverso i miracoli, Koerbagh oppone l’idea per cui Dio manifesta la sua potenza precisamente non compiendo miracoli. Se Dio infatti non mantenesse in esistenza la cosa da lui prodotta, questa finirebbe per cadere nel nulla: conservare dunque è segno di maggiore potenza rispetto alla distruzione dell’ordine naturale effettuata dal miracolo.
L’argomento contro la quarta tesi, secondo la quale Dio si serve dei miracoli per suscitare la fede, è semplice: il credere in Dio, lungi dal nascere ex auditu o da qualsiasi altra forma di immaginazione, proviene solo dalla conoscenza chiara e distinta. Koerbagh utilizza poi un argomento ad hominem di carattere storico. In un immaginario dialogo con i Riformati, egli conclude che i miracoli non accadono più semplicemente perché non sono mai accaduti. Non c’è diversità di tempi ma solo un’unica parola di Dio che è sempre esistita, sempre uguale a se stessa, che si chiama ragione. Quelli che vengono chiamati miracoli sono in realtà allegorie e metafore della conoscenza razionale che vanno interpretate nel loro contesto.

L’inconciliabilità fede-ragione e la ragione divina
La confutazione della quinta tesi e dell’appendice, secondo la quale i miracoli devono essere creduti e che tale fede non contraddice necessariamente la ragione, si ha sostenendo il principio che la ragione è l’orizzonte insuperabile di ogni conoscenza eterna. Ci sono dei testi della Scrittura che sembrano confutare questa verità attraverso l’opposizione paolina di Dio e natura [12]. Koerbagh argomenta che l’apostolo ha ragione se si intende l’uomo naturale come quello che persegue vani desideri: in realtà però l’uomo naturale non si oppone alla razionalità, dimensione che rende invece l’uomo divino.

Il capitolo e l’intera opera si chiudono con una nuova esortazione a seguire la ragione in modo da non errare né essere ingannati. Significative le parole contenute nella nota che chiude il testo:

Gli ebrei chiesero sempre segni e miracoli, e anche quelli della Chiesa cattolica parlano continuamente di segni e miracoli, i greci però cercarono la saggezza e di ciò mi accontenterò anch’io, perché la saggezza è il miracolo più grande del mondo”.

La contrapposizione tra Gerusalemme e Atene era così nuovamente ribadita in modo radicale.

 


 

[1] Interessante la ricostruzione del concetto di miracolo dalla Bibbia all’età moderna fatta da R. Taradel, La critica di Spinoza al concetto di miracolo. Caratteristiche e implicazioni, in http://www.swif.uniba.it/lei/filmod/testi/spinoza.htm, 1999. Vedi anche le note di P. Totaro nel suo commento al cap.VI del Trattato teologico politico di Spinoza, Bibliopolis, Napoli, 2007, pp.573-584.

[2] “Per quasi tutti i filosofi del Medioevo e della prima Età moderna la possibilità metafisica dei miracoli non poteva essere messa in discussione. Vuoi per sincera devozione religiosa vuoi per il desiderio di non entrare in conflitto con le facoltà teologiche, i predecessori e i contemporanei di Spinoza non erano disposti a escludere, almeno in linea di principio, possibili sospensioni di origine divina del corso regolare della natura. Dio poteva forse non essere in grado di fare ciò che era logicamente impossibile – non poteva rendere cerchio un quadrato – ma poteva sicuramente fare ciò che era naturalmente impossibile, e questo perché i limiti di ciò che era naturalmente possibile – ovvero le leggi di natura – erano stati stabiliti da Dio stesso in S. Nadler, A Book forged in Hell. Spinoza’s Scandalous Treatise and the Birth of the Secular Age, Princeton University Press, 2011 (trad. it., Un libro forgiato all’inferno, Einaudi, Torino, 2013, p.81).

[3] Vedi il cap.VI del Trattato teologico politico e l’epistolario tra Oldenburg e Spinoza, in particolare dalla lettera n.22 fino alla n.28 nell’edizione delle Opere di Spinoza a cura di F. Mignini e O. Proietti, Mondadori, Milano, 2007, pp.1300-1313.

[4] A. Koerbagh, A light shining in dark places, to illuminate the main questions of theology and religion, a cura di Michiel Wielema, Leiden, Brill, 2011.

[5] J.I. Israel, Radical Enlightenment, Oxford University Press, 2001, p.193.

[6] “Fate attenzione alla parola dei profeti, come a lampada che brilla in luogo oscuro” (2 Pt 1,19).

[7] Per il ruolo di Koerbagh nel circolo di Spinoza vedi K.O. Meinsma, Spinoza et son cercle, Vrin, Paris, 1983, pp.321-385.

[8] Gli assiomi di Koerbagh pongono un problema in quanto l’assioma è per definizione una proposizione autoevidente che non richiede procedimenti dimostrativi mentre gli assiomi (Kundigheit) di Koerbagh, soprattutto il secondo, contengono delle vere e proprie dimostrazioni.

[9] Vedi a questo proposito F. Mignini, Le Dieu-Substance de Spinoza comme Potentia absoluta, in Potentia Dei, L’onnipotenza nel pensiero dei secoli XVI e XVII, a cura di G. Canziani, M.A. Granada, Y.Ch. Zarka, Angeli, 2000, pp.387-409.

[10] Per una discussione sull’argomento, vedi anche G. Deleuze, Il problema dell’espressione, Quodlibet, Macerata, 1999, pp.71-73.

[11] Vale la pena ricordare che la distinzione tra sovra natura e contro natura non è utilizzata da Spinoza che sostanzialmente equipara i due concetti.

[12] I brani indicati da Koerbagh sono Rm 8,7; 2 Cor 3,19 (indicazione fatta però in modo errato in quanto il testo citato si trova in 1 Cor 3,19); 1 Cor 2,14.

Photo by Anton Zaharchenko on Unsplash

Insegnante con dottorato di ricerca in Filosofia. Vive e lavora a Nocera Umbra, autore del podcast che prende il nome dal suo motto: Hic Rhodus Hic salta.

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