Per riprendere il discorso sull’aporia del nulla (prima e seconda parte, ndr), rileviamo che, a quanto detto nel precedente articolo, viene aggiunta da Severino un’importante precisazione, nella quale si dice che il momento positivo del «significato nulla» (inteso come «sintesi») non è costituito soltanto dall’essere formale, come invece poco prima aveva detto: «Precisando il senso del positivo significare del nulla, si osservi che la positività del significare non è data semplicemente dall’essere (essere formale) del nulla, ma anche dal concreto contenuto semantico che conviene al significato “nulla” in quanto distinto dal significato “essere” (formale)» (La struttura originaria, p. 214). In questo passo, egli vuole dire che anche il concreto contenuto semantico del nulla esprime una positività, per il fatto che ciò che esso concretamente significa non è ciò che concretamente significa l’essere.
Non solo. Severino specifica ulteriormente: «il positivo significare del nulla non è dato semplicemente dall’“è” che compare nella proposizione: “Il nulla è”, ma anche dal concreto contenuto semantico che viene pensato allorché, ponendo il nulla, è posto l’“altro dalla totalità dell’essere”: se ciò che sta oltre l’intero non ha alcuna positività o alcun essere, questa assoluta negatività è d’altronde significante in modo così complesso da includere, nella struttura del suo significato, addirittura l’intero semantico (appunto come ciò rispetto a cui si istituisce il senso della negatività assoluta)» (ibidem).
In precedenza, Severino aveva detto che il nulla, come significato incontraddittorio, era un momento del nulla, come significato autocontraddittorio, e, in particolare, era l’assolutamente negativo: il puro e assoluto nulla, incontraddittoriamente nulla. Ora egli dice che questo negativo è anche positivo: «questa assoluta negatività è d’altronde significante».
La positività, pertanto, non consiste soltanto nell’essere formale del nulla, ma viene anche espressa dal suo concreto significare: «Se il positivo significare del nulla, che è momento del nulla come significato autocontraddittorio, è costituito da un lato dall’essere (formale) del “nulla”, e dall’altro lato dal concreto contenuto semantico di “nulla”, si potrà comunque usare il termine essere per indicare l’intera struttura del positivo significare del nulla (per indicare cioè l’intera struttura di ciò che vale come momento semantico del significato autocontraddittorio “nulla”)» (ibidem).
Il contenuto concreto del significato nulla, insomma, non è soltanto l’assolutamente negativo, ma è anche un positivo. Perché? Per un duplice ordine di ragioni: innanzi tutto, perché il nulla esprime un concreto contenuto semantico dotato di un suo positivo significare; in secondo luogo, per la ragione che l’assoluta negatività include, nella struttura del suo significato, il riferimento all’intero semantico.
Severino, in effetti, non dice che il contenuto concreto del significato «nulla» include il riferimento all’essere, ma, più radicalmente, afferma che «questa assoluta negatività è d’altronde significante in modo così complesso da includere, nella struttura del suo significato, addirittura l’intero semantico», cioè l’essere, che è la positività stessa. E questa ci sembra un’affermazione ancora più impegnativa. Per cercare di comprendere bene, dobbiamo procedere lentamente e con molta cautela.
È indubbio che Severino intenda sostenere che la negatività assoluta si pone a condizione di riferirsi all’assoluta positività, cioè all’intero semantico. Tuttavia, ci sembra fuorviante affermare che l’assoluta negatività includa nella sua struttura l’intero semantico. Semmai, come dicevamo poc’anzi, include il riferimento all’intero semantico: non l’intero semantico stesso. Se effettivamente lo includesse, allora l’assolutamente negativo includerebbe l’assolutamente positivo, così che non più di opposizione tra essere e nulla si tratterebbe, ma di inclusione dell’essere nel nulla.
Facciamo notare che questa, in effetti, è la seconda volta che si è costretti a chiarire tale concetto: anche in precedenza, infatti, Severino aveva parlato di inclusione del positivo nel negativo, allorché aveva parlato del nulla come «orizzonte dell’essere» (ivi, p. 212). Poiché la relazione di inclusione ha un ruolo importantissimo nel discorso di Severino, avremmo auspicato maggiore chiarezza: se ciò che è incluso nel nulla è il riferimento, allora l’essere non è inglobato nel nulla, per lo meno secondo il senso ordinario di intendere la relazione; se, invece, ciò che è incluso è l’essere, allora l’intero semantico è inglobato nel nulla, senza che valga la reciproca, e ciò non può non significare l’annullamento del positivo.
Il secondo punto che merita di venire chiarito riguarda la relazione-opposizione di essere e nulla. Questa relazione, da un lato, dovrebbe instaurarsi, in quanto costrutto, tra essere e nulla, che dovrebbero valere come i suoi termini. Da questo punto di vista, però, essa non potrebbe non eccedere l’essere, visto che quest’ultimo è solo un suo termine. Di contro, da un altro punto di vista, la relazione non potrebbe non inscriversi nell’essere, stante il fatto che si afferma che essa, appunto, è. In questo caso, sarebbe l’essere che, inglobando la relazione al nulla, ingloberebbe, almeno mediatamente, anche il nulla.
Del resto, è da considerare anche un altro aspetto. Se con l’espressione “essere” si intende un particolare significato, allora è indiscutibile che esso si ponga in relazione al significato “nulla”. La questione, però, è se l’essere sia riducibile a un significato e su questa questione ragioneremo tra poco. Qui vogliamo aggiungere che la consapevolezza dell’essere di un significato, per Severino, coincide con la posizione di quel significato. A noi sembra che questa concezione debba venire adeguatamente precisata. Per porre qualcosa, dunque anche un significato, è richiesta la consapevolezza di quel qualcosa, ma per una precisa ragione: perché la coscienza emerge oltre ciò che viene posto (saputo). Senza il coglimento del limite, insomma, non si pone alcunché e, per cogliere il limite, lo si deve trascendere.
Soltanto la coscienza, dunque, può valere come condizione di ogni posizione, ma proprio perché non è una posizione come le altre: non è assimilabile ad alcuna posizione né ad alcun significato o ente. In questo senso – ed è ciò che vorremmo sottolineare con forza –, la coscienza configura una positività che emerge oltre la positività del significare e oltre la positività di ogni significato, essere e nulla compresi. Riteniamo che questo aspetto, a nostro giudizio cruciale, non venga adeguatamente trattato da Severino.
Il terzo punto, che vorremmo sottoporre all’attenzione del lettore, concerne l’assolutezza tanto del positivo, quanto del negativo. Quando si parla di «negatività assoluta», cosa si intende con l’aggettivo «assoluta»? Più in generale, cosa si intende con l’espressione “assoluto”? Ci siamo già posti questi interrogativi, ma pensiamo di doverli riproporre, perché la questione ci sembra molto importante. Severino non dice espressamente cosa si debba intendere con la parola «assoluto», così che non possiamo evitare di fare riferimento al significato che viene indicato dallo stesso etimo della parola: “privo di vincoli, di relazioni”.
Ne consegue che, quando si parla dell’assoluto nulla, si deve operare una scelta, perché ci si trova di fronte alla seguente alternativa: aut si privilegia l’aggettivo (assoluto), ma allora il nulla non può venire inteso come una determinazione, perché non si pone in relazione ad altro da sé; aut si privilegia il sostantivo (nulla) e lo si intende in senso determinato, ma allora si nega la sua assolutezza, che è la sua irrelatività.
Questo a noi sembra il cuore del problema. A seconda di quale corno dell’alternativa proposta si scelga, deriverà anche il modo di intendere l’essere. Severino valorizza il sostantivo e fa valere la determinatezza tanto del nulla quanto dell’essere. Proprio per la determinatezza di entrambi, essere e nulla si contrappongono. Ma la domanda è: si contrappongono perché determinati oppure si determinano perché si contrappongono?
In effetti, si tratta di un circolo, perché non v’è un’antecedenza logica di uno dei due momenti rispetto all’altro. Non si contrappongono perché determinati, per la ragione che non verrebbe giustificata la loro determinatezza, la quale dovrebbe porsi indipendentemente dalla contrapposizione. Non si determinano perché contrapposti, per la ragione che non verrebbe giustificata la loro contrapposizione, la quale dovrebbe porsi indipendentemente dalla determinatezza. Anche qui, pertanto, ci si trova di fronte a quella che Severino è solito definire «determinazione reciproca», stante il fatto che ciascun momento è essenziale all’altro.
Per noi questo equivale alla necessità del venir meno di entrambi i momenti, per la seguente ragione: se due momenti sono coessenziali, allora l’essenza dell’uno è rappresentata dall’altro momento, così che il secondo momento entra nella costituzione intrinseca del primo, in modo tale che l’identità di ciascun momento non può non richiedere la differenza come momento essenziale del proprio costituirsi. Ciò non può non comportare che ciascun momento è, in sé, sé e la propria negazione; dunque, è in sé il proprio contraddirsi. Il contraddirsi dei due momenti ha come conseguenza che essi si tolgono in quanto momenti distinti, ossia dotati di una propria specifica identità, e dal loro togliersi come distinti emerge un’unica e medesima realtà. Ebbene, da questa unica e medesima realtà solo astrattamente si estraggono, appunto, i due momenti distinti.
Per Severino, invece, parlare di momenti coessenziali non implica il loro togliersi nell’unità, ma comporta la posizione di due momenti, i quali si costituiscono ciascuno con una propria identità – dunque con una propria autonomia, essenziale al configurarsi dell’identità –, in modo tale che l’identità di ciascun momento si riferisce, reciprocamente e scambievolmente, all’identità dell’altro momento.
Precisamente per questa ragione per Severino l’originario è una struttura, cioè una relazione tra due termini distinti, laddove a nostro giudizio l’originario, ossia il concreto, non può non essere l’unità.
Riferimenti bibliografici
— Severino, Emanuele. 19812. La struttura originaria. Milano: Adelphi.
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