“Esiste ancora il libero arbitrio?” è il titolo di un seminario che si è svolto a Vercelli sabato scorso 28 maggio 2011. Organizzato dall’assessorato alla cultura della città, il programma ha visto la presenza di nomi noti della filosofia e della ricerca neurologica: il sottotitolo dell’iniziativa infatti indicava il ruolo del cervello tra libertà e determinismo. La domanda portante tuttavia, se esiste ancora il libero arbitrio appunto, è sembrata subito una domanda retorica: chi crede più al libero arbitrio se si vuole veramente pensare qualcosa? Parafrasando Schopenhauer: o si pensa o si crede..al libero arbitrio! Questo è stato detto sottovoce, in maniera gentile, riconoscendo che la nostra cultura è profondamente permeata dal bisogno di credere alla libertà; un bisogno che forse è anche una necessità per preservare concetti, come quello di premio e punizione, che sono al fondamento delle società umane. Se si ammettesse il determinismo che ne sarebbe della responsabilità umana e in che modo sarebbe regolata la società?
Divulgativo, ma essenziale nei contenuti e come al solito ironico, l’intervento di Maurizio Ferraris. Il suo contributo si è incentrato sull’idea leibniziana di automa spirituale. Che significa? Che l’uomo è come le macchine ma una macchina talmente complicata da sembrare libera: il fatto cioè di non conoscere, per motivi pratici, la determinazione del tutto, ci fornisce l’illusione della libertà. Da ciò la conclusione kantiana: la libertà ha carattere noumenico, cioè inconoscibile (quel modo gentile per un filosofo per dire che la libertà non esiste); tuttavia dobbiamo presupporla, e quindi ipotizzarla, perché è meglio ritenerci liberi che determinati.
In realtà, come ha controbattuto Armando Massarenti citando Diderot, è al contrario proprio dalla penetrazione della necessità che si acquista il senso della libertà e si accresce la civiltà. Nonostante il suo sia stato l’intervento più breve, questo sasso (profondamente spinoziano) gettato nello stagno ci suggerisce che la vera libertà nasce dalla contemplazione della necessità di tutte le cose.
Io riassumerei la domanda che è emersa tra i due interventi in questo modo: appurato che il libero arbitrio è una finzione, si tratta di una finzione utile da doversi perpetuare oppure è preferibile demolirla definitivamente? È giusto, cioè, lasciare al volgo la credenza sul libero arbitrio e allo stesso tempo negarla nella comunità dei filosofi?
I due sopra citati sono stati gli inteventi più filosofici dei quattro che ho ascoltato. Quello di Franca D’agostini si è incentrato sul rapporto tra filosofia e neuroscienze. Da parte di queste ultime è di moda oggi fare della filosofia un bersaglio polemico, criticandone il suo stesso modo d’essere. Il problema è che le neuroscienze, meglio dire gli scienziati che parlano in loro nome, non si rendono conto che le teorie di fondo grazie alle quali essi elaborano i loro studi e le loro conclusioni sono profondamente filosofiche. Cosa fanno questi scienziati in altre parole? Da una parte elaborano delle teorie grazie a concetti come coscienza, Io, intenzione, libertà ecc. che non solo sono filosofici ma fanno riferimento ad una certa filosofia che è quella essenzialmente cartesiana.
Poi, dichiarando come ormai superati i concetti di soggetto, Io, coscienza, mandano all’aria non solo la filosofia cartesiana ma tutta la filosofia. In definitiva tali “scienziati” (e già vi potete immaginare chi siano) finiscono per costruirsi dei fantocci di paglia a cui danno fuoco credendo di avere fatto opera per la quale debbano essere ricompensati. La loro audacia è pari alla loro stupidità (questo ovviamente è un mio commento). Questi cosiddetti scienziati elaborano poi delle teorie, spesso a partire da risultati di laboratorio, che spacciano e mettono in circolazione con gli altisonanti nomi anglosassoni con le quali sono nate (blind sight, split brains, ecc.), che in realtà celano dei contenuti risaputi se non addirittura banali. Basti pensare all’esperimento di tale Libet che mostra la differenza tra consapevolezza e azione: il cervello cioè si mette in moto prima che l’Io ne sia consapevole per cui la spiegazione delle nostre azioni viene fatta sempre a posteriori. Embè, dico io? Schopenhauer non diceva la stessa cosa duecento anni fa? C’era bisogno di fare uno stupido esperimento con il dito per capire che il volere umano è una costruzione a posteriori? O, ancora, la grande “trovata” secondo la quale il cervello inventa delle spiegazioni confabulatorie per cui la storia che ci raccontiamo è sempre molto diversa dalla realtà (l’ipotesi dello split brains). Insomma meglio chiudere con un no comment.
Non mi sono fermato per assistere nel pomeriggio alla risposta dei neuroscienziati presenti (De Caro, Oliveiro, Lavazza) ma in definitiva non mi interessava più di tanto conoscere ulteriori teorie sul perché o il percome il cervello dica delle cose che la filosofia ha da tempo non solo reso note ma ampiamente superato. Ho avuto il tempo per fermarmi però al buffet offerto dall’organizzazione (ottimo e ben fornito) e per maturare alcune riflessioni sul modo in cui si debbano organizzare gli eventi culturali. L’assessore, che ha guidato i lavori per tutto il periodo, si è dimostrato più che all’altezza, anche se a volte mi è sembrato facesse eccessiva mostra delle sue conoscenze filosofiche. Ma per questo, cioè per il modo di organizzare in futuro magari anche a Nocera eventuali incontri di questo tipo, lascio il giudizio al neo assessore Luciano il quale credo potrà fornirci degli argomenti più meditati.
Molto interessante la sintesi di MM del convegno sul libero arbitrio. Non riesco però a capire come si possa dire che la libertà deriva dalla consapevolezza della necessità di tutte le cose, cioè che tutto è già stabilito in anticipo. Forse è la mia scarsa conoscenza di Spinoza…
interessante poi la teoria degli “split brains”, secondo cui il cervello interpreta la realtà a suo uso e consumo. Magari potremo approfondire in occasione del prossimo ritiro…