Considerazioni finali sul ritiro

A chiusura postuma del ritiro vorrei esporvi le seguenti considerazioni.

La scelta di studiare da vicino il Trattato sull’emendazione dell’intelletto è stata fatta per diversi motivi.

Innanzitutto esso costituisce un ottimo esempio per comprendere in che modo nasce e si sviluppa una filosofia. Tesi, obiezioni, ricerca di concetti, strade intraprese e poi interrotte per prenderne delle altre, precisazioni ecc. Il pensiero, in questo senso, non è qualcosa di statico bensì un qualcosa di estremamente vivo che si nutre soltanto tramite il confronto con altri pensieri tra cui il proprio. In questo senso la filosofia non è sistema e non è ideologia: il fatto che essa sia decaduta a ciò consiste nel fatto che essa si sia ridotta a slogan, schema, compendio, disciplina tra le altre discipline. Solo il il confronto con un testo, seguendo il modo in cui si sviluppa la costruzione dell’argomentazione (tema che noi moderni abbiamo completamente smarrito in quanto non ci viene più insegnata l’arte della retorica), è in grado di restituirci l’idea originaria della filosofia come verità e non come sapere astratto. Noi abbiamo preso il TIE ma lo stesso sarebbe stato se avessimo preso un testo come la Critica della ragion pura, ingiustamente accusata, tra l’altro, di essere un’opera sistematica quando invece presenta curve, difficoltà e aporie proprie. Molto probabilmente anche in questo caso siamo in presenza di una delle caratteristiche degli odierni filosofi (che io chiamo piuttosto intellettuali) che si dicono tali senza aver letto e meditato i testi.
Riguardo a Spinoza ho ritenuto doveroso confrontarsi con il suo primo testo che, come avete visto, risente in maniera decisiva della sua formazione iniziale; formazione che Spinoza prima accoglie, poi comincia a discutere e infine la rifiuta nel momento in cui capisce che c’è qualcosa che non può essere compatibile con la verità dell’essere e del pensiero. Gli excursus da me posti sul concetto di idea e di ente si sono resi indispensabili per iniziare ad introdurci alla dottrina compiuta di Spinoza che, ricordo ancora, presenta un pensiero e delle categorie che (come ricorda lo stesso Mignini) non sono state accolte dalla tradizione occidentale (o, laddove ciò è stato fatto, lo si è fatto al prezzo di grandi stravolgimenti, riduzioni o modifiche).

Conosciamo lo slogan “ritornare a Parmenide”. Ebbene io proporrei il “ritornare a Spinoza” il quale, rispetto all’eleate di cui ci restano soltanto alcuni frammenti, presenta un’estesa applicazione della verità dell’essere al regno dell’esperienza.

Questa mia osservazione deve essere colta come parziale critica ad un filosofo come Severino il quale, quando si tratta di porre mano alle questioni essenziali, o rimanda ad altri testi ed altri luoghi oppure finisce per utilizzare metafore o concetti altrui (il castello di Diderot o la celeberrima frase dell’Etica: sentimus experimurque nos aeternos esse).

Un’ultima osservazione. Il dibattito ha fatto emergere valutazioni diverse in ordine soprattutto alla politica, tema imprenscindibile in quanto altro fondamentale aspetto della filosofia è quello di confrontarsi con il potere e di porre domande ai potenti. Ora io credo che il problema non sia tanto quello di dividersi in fautori di un ideale platonico rispetto ad uno di tipo machiavellico. Credo che sia inutile e perniciosa una diatriba consistente nel parteggiare per un governo di filosofi oppure per un governo di realisti senza prima considerare attentamente gli uomini e il particolare periodo storico che deve essere governato. L’unico fine che ci indica Spinoza è il conseguimento della perfezione umana, da conseguirsi tramite la filosofia, la filosofia morale, la pedagogia, la medicina e la meccanica (oggi diremmo l’informatica?). Questo deve essere fatto altrettanto nei confronti della politica. Dove per perfezione (anche in questo caso è necessario un lessico, come per l’idea, l’ente ecc.) s’ intende non un ideale morale bensì la beatitudine che scaturisce dal riconoscimento della necessità ed eternità della propria e delle altrui esistenze.

Insegnante con dottorato di ricerca in Filosofia. Vive e lavora a Nocera Umbra, autore del podcast che prende il nome dal suo motto: Hic Rhodus Hic salta.

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