La relazione come atto per uscire dall’ontologismo (V)

Il modello sistemico relazionale, come abbiamo visto in precedenza, poggia sul primato della relazione rispetto ai termini relati. Ebbene, tale primato ha indotto John Dewey e Arthur F. Bentley (1946) a introdurre il concetto di transazione, che viene compiutamente tematizzato nell’opera Conoscenza e transazione.

Prendendo in esame le molteplici forme del “conoscere” e il loro rapporto con i “conosciuti”, i due Autori precisano che “qualsiasi conoscere [knowing] o qualsiasi conosciuto [known] si stabilisce o meno unicamente attraverso una continua e infaticabile ricerca, e mai sulla base di un qualche presunto ‘fondamento’, ‘premessa’, ‘assioma’ o ipse dixit estrinseco” (1946; trad. it., p. 62).

Qui il concetto di “ricerca” non fa che anticipare il concetto di “transazione”, giacché con esso si intende indicare la necessità di valorizzare il primato della relazione conoscitiva sui termini di cui essa si compone, e cioè sul conoscere e sul conosciuto: “i conoscere [knowings] sono sempre dunque inseparabili da i conosciuti [knowns]: essi sono aspetti gemelli di un fatto comune” (p. 68).

L’istanza transazionale indica dunque, come giustamente osserva Aldo Visalberghi (1958), “qualunque processo dove il corso delle attività in giuoco non sia riducibile a qualcosa di ‘accidentale’ fra entità ‘sostanziali’, ma al contrario ci si mostri tale da costituire o ricostituire di continuo i suoi propri termini” (p. 274).

Ciò comporta una critica radicale di ogni ontologismo, inteso come sussistenza di una res che funge da fondamento del rapporto: “1) in qualunque genere di ricerca dobbiamo tener presente che le distinzioni, determinazioni e specificazioni introdotte hanno valore funzionale rispetto ai problemi del caso, e non ontologico […]; 2) in qualunque genere di ricerca dobbiamo tener presente che le realtà che studiamo sono strettamente interdipendenti ed interconnesse, non solo fra loro ma anche con altri aspetti del reale lasciati necessariamente ai margini dell’indagine in atto” (pp. 282-283).

Difficile non riconoscere in questa concezione un modello circolare, e cioè un modello nel quale si intenderebbe valorizzare il rapporto, considerandolo prioritario rispetto ai termini, senza però che questa valorizzazione significhi il considerarlo “fondamento”, giacché quest’ultimo viene considerato, da Dewey e da Bentley, ma anche da Visalberghi, che sul pensiero di Dewey e Bentley riflette, una ipostasi, una sostantivazione di matrice ontologistica.

Chi, invece, ripropone il punto di vista ontologico, contrapponendosi in particolare a Martin Heidegger (1927) – che parla di “circolo ermeneutico” e di “apertura originaria”, proprio per valorizzare il ruolo della relazione –, è Nicolai von Hartmann (1935), il quale accusa di vuoto relazionalismo il circolo sussistente tra la relazione e i suoi relati.

Hartmann evidenzia che la concezione volta ad affermare il primato della relazione, se pure intende superare la presupposizione dei dati, in effetti non può non riproporla allorché la relazione viene intesa come medio.

Se, infatti, i dati sono impensabili senza la relazione, e per questa ragione vengono definiti “termini”, a sua volta la relazione è impensabile senza i termini, i quali si trovano a presupporre quella relazione che li presuppone, riproponendo quel regressus in indefinitum che invece si vorrebbe evitare.

È proprio per questa ragione che il circolo si rivela vizioso e Hartmann non manca di rilevarlo: “Si risolvono in relazioni i sostrati del rapporto. E non ci si accorge che si finisce così nel vicolo cieco del vuoto relazionalismo” (trad. it., p. 84).

Poco più avanti, Hartmann definisce “argomento correlativistico” l’affermazione del primato della relazione nella costituzione sia del soggetto sia dell’oggetto, ma tale argomento può venire esteso alla costituzione di ogni determinazione, in quanto questa si configura in forza del rapporto con altra determinazione: “Ma dietro questo disconoscimento del problema c’è ancora una considerazione che è molto più antica e che domina, come fonte d’errore con estese conseguenze, anche la critica della ragion pura. La si può chiamare l’‘argomento correlativistico’. Esso afferma che non c’è alcun oggetto di conoscenza senza un soggetto di conoscenza; che non si può separare l’oggetto dalla coscienza, che l’oggetto in generale è tale solo ‘per’ la coscienza” (p. 92).

E a tale argomento Hartmann oppone la sua concezione, che propone un ritorno alla ontologia tradizionale: “a differenza dalla rappresentazione, dal pensiero, dalla fantasia, l’essenziale nella conoscenza è che il suo oggetto non si risolve nel suo essere oggetto per la coscienza. Ciò a cui la conoscenza si rivolge effettivamente, cercando di comprenderlo e di sondarlo sempre più, ha un ‘essere’ superoggettivo. Esso è ciò che è, indipendentemente dal fatto che una coscienza lo faccia o no suo oggetto, e indipendentemente anche dal grado maggiore o minore in cui essa lo fa tale. Il suo essere oggetto è in esso, in generale, qualcosa di secondario” (Ibidem).

A nostro giudizio, quando Hartmann pretende di affermare che il fondamento oggettivo va inteso nella forma di una molteplicità di enti, i quali dovrebbero essere irrelati, ma anche determinati, ripropone un concetto ingenuo di realtà, nel quale le determinazioni avrebbero una loro identità autonoma e autosufficiente; dunque, esibirebbero un’immediatezza che invece è tolta proprio dal loro reciproco riferirsi.

Da un lato, dunque, non si può non concordare con Hartmann nel riconoscere che la soluzione transazionale non perviene ad un’autentica fondazione, ma semplicemente al circolo della presupposizione infinita, al diallele: se i termini presuppongono la relazione, a sua volta la relazione presuppone i termini.

Dall’altro, se si cerca di assumere la res come un’ipostasi, cioè nella forma dell’immediatezza, si dimentica il suo intrinseco carattere relazionale, ossia il fatto che essa si determina solo in virtù del suo differenziarsi.

Come uscire allora dall’aporia? A nostro giudizio, solo intendendo la relazione non più come costrutto, ma come atto. 

 

Riferimenti bibliografici

  • Dewey John, Bentley Arthur F. 1946. Knowing and the Known, Boston (Mass.), The Beacon Press (trad. it. Conoscenza e transazione, Firenze, La Nuova Italia, 1974).
  • Hartmann von, Nicolai. 1935. Zur Grundlegung der Ontologie, Berlin, Walter De Gruyter & Co Verlag (trad. it. La Fondazione dell’Ontologia, Fratelli Fabbri, Milano 1963).
  • Heidegger, Martin. 1927. Sein und Zeit, Tübingen, Neomarius Verlag (trad. it. Essere e tempo, Milano-Roma, Fratelli Bocca, 1953).
  • Visalberghi, Aldo. 1958. Il concetto di “transazione”, in F. Rossi-Landi (sotto la direzione di), Il pensiero americano contemporaneo, Milano: Edizioni di Comunità.

 

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Foto di Marek Piwnicki su Unsplash

 

Università per Stranieri di Perugia e Università degli Studi di Perugia · Dipartimento di Scienze Umane e Sociali Filosofia teoretica - Filosofia della mente - Scienze cognitive

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