Il novecento filosofico ha visto fiorire alcune interpretazioni dei dialoghi platonici che hanno inteso rimettere in discussione, soprattutto nell’ambito della politica e nonostante una tradizione consolidata, il loro stesso significato. Dopo Popper, la lettura di Leo Strauss è quella che maggiormente si è imposta a motivo della sua originalità e genialità. Secondo Strauss, l’interpretazione di Popper di un Platone totalitario e infedele rispetto agli insegnamenti del suo maestro Socrate, è vittima di un difetto originario: quello di prendere Platone troppo sul serio. I testi del fondatore della filosofia occidentale infatti non intendono affermare quello che dicono in modo esplicito, quanto piuttosto provocare il lettore rispetto alle varie questioni in ballo e, se proprio si vuole rinvenire un significato, quei testi vogliono significare il contrario di quello che dicono. In altre parole, Platone sta conducendo una sorta di gioco e questa volontà di non prendersi sul serio sarebbe dimostrata dall’analisi filologica e dal contesto nel quale i dialoghi sono scritti e ambientati.
In generale, il pensiero di Platone si lega per Strauss all’interpretazione dei testi filosofici come testi dissimulati che devono essere letti “tra le righe” a causa della persecuzione che, altrimenti, si avrebbe a danno del suo autore. La difformità tra testo e significato del resto è segnalata anche da Platone quando, come avviene nel Simposio, Alcibiade confronta Socrate e i suoi discorsi a certe statue molto brutte se viste dall’esterno ma addirittura divine se contemplate dall’interno. Le premesse di questa tesi sono almeno due: la prima è che solo lettori che pensano, ovvero che siano in grado di comandare tutte le variabili con le quali è stato scritto un determinato testo, sono in grado di leggere testi filosofici; la seconda è che uno scrittore di normale intelligenza (come dice Strauss) è più intelligente dei più intelligenti dei censori che lo perseguitano. La conseguenza di queste premesse è che anche la dottrina di Platone, come quelle della maggior parte dei filosofi, contiene un messaggio esoterico (ristretto a pochi) e un messaggio essoterico (diretto al volgo e agli occhiuti, ma non altrettanto intelligenti, censori): solo il primo esprime il vero significato del suo pensiero mentre il secondo ha spesso la funzione di una nobile menzogna. La conclusione di tale tesi è quella secondo cui Platone ha di fatto lasciato un messaggio radicalmente contrario a quello che viene da lui formulato in modo esplicito. In quelli che sono i principali scritti dedicati a Platone (The city and the man e il secondo capitolo della Storia della filosofia politica), Strauss si concentra su tre questioni.
Ironia e aporeticità dei dialoghi di Platone
La prima questione riguarda l’ironia dei dialoghi e la conseguente aporeticità che ne discende. A ben vedere, sostiene Strauss, Platone non ha proposto nessun insegnamento. La conferma di ciò è il fatto di presentare nelle sue opere la figura di Socrate, maestro dell’ironia, cioè della dissimulazione del proprio sapere. Anche gli altri personaggi di Platone mostrano che i dialoghi insegnano cose diverse a seconda del livello delle persone incontrate, senza un significato unitario. Si tratta questo di un aspetto della sua ironia la quale, osserva Strauss, «consisterà nel parlare in maniera diversa a diversi generi di persone. L’ironia giunge così a significare il saper rispondere a questioni generali in maniera diversa, a seconda dei diversi generi di persone a cui ci si rivolge, e non rispondere mai alle domande, bensì porne continuamente».
La seconda questione sollevata da Strauss fa leva sulla stessa aporeticità dei dialoghi che deriva dall’impossibilità di mettere a fuoco e di risolvere la tematica affrontata. Ogni singolo dialogo è parziale, nel senso che affronta il problema oggetto di discussione astraendo da altri aspetti teorici rilevanti. Ma se è così, allora la soluzione del problema è impossibile; e l’impossibile, se trattato come possibile, è ironico. L’esempio portato da Strauss per questo genere di impossibilità è quello del rapporto tra comunismo ed eros: il progetto della società comunista è infatti contraddetto in modo irriducibile dal progetto di rendere pubblico l’eros, il quale per sua natura è invece privato. Di conseguenza la comunità politica di Platone è innaturale ed impossibile.
Il filosofo e la città: una grande contraddizione
Strauss ha dedicato anche un ciclo di conferenze al problema di Socrate (contenute nel volume Atene e Gerusalemme) nel quale si mostra come la domanda essenziale della filosofia è chi deve comandare, domanda da cui discende l’idea di un’aristocrazia che costituisce il motore che orienta il mondo. Nella quarta conferenza Strauss fornisce un criterio ermeneutico per la comprensione dei dialoghi platonici distinguendoli in tre generi: dialoghi socratici e dialoghi non socratici; dialoghi agìti (cioè quelli in cui sono all’opera delle strutture drammaturgiche) e dialoghi narrati (dove si fornisce un resoconto della conversazione indicando le ragioni apportate da ciascuno); dialoghi spontanei e dialoghi obbligati. La Repubblica, il principale scritto di Platone, è un dialogo obbligato (Socrate viene costretto contro la sua volontà da alcuni giovani a fermarsi al Pireo per discutere della giustizia) e ciò significa che «l’individuo è capace di una perfezione di cui la città non è capace». Da ciò segue la terza questione affrontata da Strauss che prende in esame l’enorme contraddizione contenuta nel settimo libro della Repubblica, secondo la quale se i filosofi sono necessari alla realizzazione del progetto platonico, essi tuttavia non intendono governare. In questo modo la città dovrà obbligare i filosofi a prendere parte all’azione politica, quei filosofi a cui è assegnato il compito di educare la città: i filosofi, in altre parole, dovranno convincere la città ad obbligarli a scendere in politica contro la loro volontà. Si produce un cortocircuito riassunto da Strauss con la sua consueta acutezza: «Per quanto possa sembrare strano, giunti a questo punto dell’argomentazione, pare più facile persuadere la massa ad accettare il governo dei filosofi, piuttosto che convincere i filosofi a governare sulla massa: i filosofi non possono essere persuasi, possono solamente venire obbligati a governare le città. Solamente i non filosofi potrebbero costringere i filosofi ad occuparsi delle città. Ma, dato il pregiudizio verso i filosofi, questa costrizione è lontana dall’essere applicata se prima i filosofi non persuaderanno i non-filosofi a costringere i filosofi a governarli, e quest’atto di persuasione è lontano dal verificarsi data la riluttanza dei filosofi a governare. Giungiamo dunque alla conclusione che la città buona non è possibile data la riluttanza dei filosofi a governare». La divaricazione tra filosofia e politica conferma la strutturale impossibilità della città platonica con la conseguenza che, se prima la coincidenza tra le due era improbabile, ora diventa impossibile. Il mito della caverna dimostra questa impossibilità: gli uomini sono attaccati alle opinioni e non gli interessa nulla della verità; i filosofi, a loro volta, anche a motivo delle figure ridicole a cui sarebbero esposti, preferiscono volentieri rimanere nello studio della filosofia.
Ironie e utopie
Nel suo studio sulle interpretazioni del Platone politico, Mario Vegetti solleva alcune difficoltà a cui va incontro l’interpretazione di Strauss e, in generale, di coloro che hanno affermato la non desiderabilità delle soluzioni proposte da Platone stesso. Vegetti fa notare che il problema dell’ironia consiste nel sapere quando c’è ironia, in altre parole nella necessità di individuare i segni testuali che permettono di dire che in un determinato passo Platone non parla sul serio ma lo fa per dissimulare il suo pensiero. Non si tratta di una strategia facile anche perché il rischio, come si può facilmente capire, è quello di considerare tutta l’opera platonica o almeno la sua opera principale, come una sorta di esperimento mentale che finirebbe per dire il contrario di quello che espressamente dice. Lo studioso italiano osserva, ad esempio, che la lettura su eros e soldati non può essere quella di Strauss: se da una parte, la Repubblica sembra reprimere in modo esplicito gli istinti sessuali fino alla loro rigorosa regolamentazione, dall’altra essa sembra consentire una certa liberalità attraverso i rapporti omosessuali e la libertà di fare l’amore per i soldati.
Oltre a quella di Strauss, altre letture novecentesche hanno cercato di riguadagnare Platone contro il discredito nel quale è stato gettato dall’interpretazione di Popper. Una di queste è l’interpretazione di Gadamer il quale ha iscritto Platone nel filone della tradizione della letteratura utopistica. Anche in questo caso però il prezzo da pagare è quello di non prendere alla lettera i testi di Platone, considerati troppo compromessi con il pensiero totalitario. In entrambi i casi, sia in quello di Strauss in cui domina l’ironia, sia in quello di Gadamer dove la soluzione consiste nel porre la città come “un paradigma in cielo” (secondo l’espressione utilizzata dallo stesso Platone), il pensiero del fondatore della filosofia occidentale non cessa ancora oggi di interrogarci.
Bibliografia
– Platone. 1997. Tutti gli scritti (a cura di Giovanni Reale). Milano: Rusconi.
– Strauss, Leo – Cropsey, Joseph. 1993. Storia della filosofia politica. vol. I. Genova: Il Melangolo.
– Strauss, Leo. 1998. Gerusalemme e Atene. Torino: Einaudi.
– Vegetti, Mario. 2018. «Un paradigma in cielo». Roma: Carocci Editore.