Audacia e umiltà sono le due caratteristiche che deve possedere lo spirito filosofico affinché possa cogliere ciò che si nasconde nel grembo della natura. La filosofia, dunque, come abbiamo già detto, è scoperta e ricerca continua, inevitabile processo che deve confrontarsi con la logica e i fatti, che non può e deve sfociare in una esposizione personale e individuale. La filosofia, scrive Whitehead, è «l’auto-correzione ad opera della coscienza del suo iniziale eccesso di soggettività» (Whitehead 2019, 177). La filosofia, allora, non è specialistica e nemmeno settoriale: è il più ampio dei discorsi sopra la natura; la filosofia è tale nel momento in cui è – in definitiva – metafisica. Ma per entrare in questa esposizione metafisica del reale, nel senso più completo del termine, ovvero che oltrepassi il fisico ricomprendendolo in una logica organicistica, è necessario definire alcune «nozioni primarie che costituiscono la filosofia dell’organismo» (Whitehead 2019, 187) e sulle quali, quindi, si fonda Processo e realtà.
Rovesciare lo schema: Processo e realtà di Alfred N. Whitehead (I)
Con questo articolo intendo avviare una serie di contributi che ci porteranno ad esplorare, in maniera quanto più possibile analitica e tuttavia fruibile, l’opus magnum di uno dei maggiori filosofi del Novecento occidentale: Processo e realtà di Alfred North Whitehead. Quest’opera, infatti, rappresenta il maggiore contributo filosofico del pensatore inglese che nelle sue oltre cinquecento pagine condensa e rimodella tutto quanto avesse in precedenza scritto. In Processo e realtà emerge senza dubbio l’anima metafisica di Whitehead, ma traspare evidentemente anche il suo retroterra matematico e scientifico. Prima però di inoltrarci nei temi dell’opera è bene conoscerne un po’ la genesi, la struttura e – credo – sia opportuno indicare la postura con la quale leggeremo Processo e realtà e quindi il ruolo che Whitehead immagino debba ricoprire all’interno di un discorso storico-filosofico completo. Continue Reading
La Storia pensata dalla linea di lotta
Come per Heidegger, anche per Hannah Arendt l’indagine sulla storia è centrale per stabilire il destino dell’uomo. Per entrambi è necessario un “salto”. In che modo? Arendt, a differenza di Heidegger, ha il pregio di ripercorrere in modo puntuale i percorsi filosofici tramite i quali si è arrivati alla condizione odierna mostrando, riferendosi alla parabola di Egli tratta da un racconto di Kafka, come quel salto sia reso difficile dal fatto che l’uomo è stretto tra due forze antagoniste, quella del passato e quella del futuro, in cui rischia di soccombere. La prospettiva è quella già profetizzata da Tocqueville: «Siccome il passato ha smesso di gettare luce sul futuro, la mente dell’uomo vaga nell’oscurità».
Nonostante ciò, Arendt non cessa di fare affidamento sul pensiero, unica risorsa dell’uomo contro la catastrofe. In Tra passato e futuro pubblicato nel 1961, la scrittrice (come usava definirsi) si esercita in otto saggi il cui unico obiettivo è quello di acquisire esperienza su come pensare. Tra di essi spicca Sul concetto della storia il quale riunisce molteplici spunti, a volte di difficile lettura, a volte tortuosi e tali da apparire fuorvianti ma il cui filo non è difficile rintracciare. Continue Reading
Che cos’è la sostenibilità?
Uno dei concetti più utilizzati nel dibattito odierno, soprattutto quello che intende commentare o valutare scelte e direzioni politiche (nel senso più ampio del termine), è quello di sostenibilità. Sempre più spesso è considerato “un tema centrale”, “una questione irrinunciabile”. Questo articolo non vuole minimamente sminuirne l’importanza, semmai approfondire quale schema c’è alle spalle di questo concetto e provare a offrire uno sguardo più aereo sulla tematica. Tale scavo ci permetterà forse di vedere il concetto di sostenibilità secondo un’ottica diversa, la quale non reitera alcuni dei problemi che le pratiche di sostenibilità intendono invece risolvere.
Questo articolo, quindi, è una primissima bozza di una genealogia della sostenibilità; proveremo a rispondere a domande come: cos’è la sostenibilità? O meglio, cosa presupponiamo alla base di questo concetto? Su quale visione della natura, del mondo e dei rapporti che regolano forze ed enti naturali, ci appoggiamo nel momento in cui facciamo della sostenibilità un mantra delle nostre scelte?
Bergson, lo slancio vitale che oltrepassa se stesso
Per Edizioni ETS è appena uscito il saggio Bergson oltre Bergson. La storia della filosofia, la metafisica della durata e il ruolo di Spinoza, scritto da Saverio Mariani, uno dei componenti di RF. Pubblichiamo qui l’introduzione al volume.
L’intento di questo lavoro è già in parte espresso dal titolo: Bergson oltre Bergson. Esso indica il tentativo di rileggere Bergson liberandolo da alcuni pesanti pregiudizi che ne hanno a volte impedito una lettura radicale e perciò capace di ricondurre la sua opera entro una vera e propria tradizione eretica del pensiero occidentale. Si tratterà dunque di ragionare sul pensiero dell’autore nella sua totalità, in quanto tale eccedente le singole parti. Come per la durata, anche il pensiero, preso nella sua interezza, sconfina dal recinto costituito dai frammenti che lo compongono. La filosofia di Bergson è mossa da una tensione all’accrescimento, si spinge continuamente verso ciò che è (ancora) virtuale; per questo motivo essa deve essere trascesa, non può subire una chiusura concettuale che ne eliminerebbe, invece, proprio quella volontà di sviluppo. Ma è doveroso andare oltre Bergson giacché fermarsi significherebbe precludersi tutto l’ampliamento insito nel pensiero dell’autore, essere refrattari al cambiamento e alla novità. Il gesto qui richiesto è quello che lo stesso Bergson richiede al suo lettore, costituendo un pensiero aperto che è immediatamente tradito da chiunque lo consideri finito, concluso, definitivo.
Procederemo considerando la sua una svolta centrale nella storia della filosofia moderna e contemporanea, con la deliberata volontà di includere nella nostra ricerca il suo “metodo”, evitando però di compiere gli stessi errori che egli imputa a buona parte della filosofia: definire le proprie tesi come dogmi indubitabili e pensare al metodo come a una strada obbligata e chiusa. Questo, come detto, è un passaggio essenziale per assumere a pieno la portata teoretica delle tesi bergsoniane. Non dobbiamo, e non possiamo, fermarci a Bergson; piuttosto, proprio grazie a Bergson, occorre essere capaci di proseguire l’itinerario di ricerca aperto dalle sue riflessioni, finanche rigettandone alcune conclusioni. Per dare ragione di questo processo si può dire, dunque, che da una parte è contenuta in Bergson stesso la tendenza ad oltrepassarsi; dall’altra questa risulta un’urgenza agli occhi della ricerca contemporanea.
Per dimostrare la necessità di superare Bergson al fine di comprenderlo intimamente, e per dar prova della sua appartenenza ad una tradizione filosofica ben precisa, ho esaminato due strade, che appaiono separate ma si richiamano a vicenda nella costituzione del medesimo orizzonte: la lettura che il Bergson professore fa degli antichi greci e il rapporto molto particolare che egli intrattiene con Spinoza. È quindi il rapporto con il passato che ci permette di “mettere in moto” un meccanismo inclusivo che eviti di pensare a Bergson isolatamente – come un filosofo svincolato da ogni legame ed estraneo a ogni tessuto del pensiero – e soprattutto ci dà la possibilità di mostrarne l’importanza nel panorama filosofico occidentale.
Entrambi i corni dell’argomentazione – filosofia antica e rapporto con Spinoza – sono infatti tappe imprescindibili al fine di scorgere, da una parte, il vivo radicamento di Bergson all’interno della storia della filosofia; dall’altra la sua distanza rispetto ai maggiori modelli nei quali essa si è manifestata. Nel contesto di questo secondo momento dell’argomentazione, utilizzo il termine eretico, intendendo non chi, quasi per statuto preso, rompa con gli schemi prefigurati o si limiti a rovesciare l’ordine dei fattori, ma chi sposti la posizione dalla quale si guarda il reale. L’eretico è molto più di un distruttore, di un filosofo col martello alla Nietzsche, poiché non disloca l’attenzione da un elemento a un altro, ma rivolta il punto (se possiamo definirlo “punto”) dal quale osserviamo i fenomeni e il mondo.
Nelle lezioni di Bergson sulla filosofia greca è in questa direzione che possiamo rintracciare quelli che per il filosofo francese sono caratteri originari del pensiero filosofico. Gli antichi si trovano infatti “prima” di quella rivoluzione condotta in porto dalla modernità che, secondo Bergson, è il cuore pulsante del generale fraintendimento della filosofia: la cristallizzazione del rapporto di subordinazione dell’oggetto rispetto al soggetto nell’atto del conoscere. Vedremo invece Bergson muoversi all’interno di una serie di snodi concettuali nei quali è fortemente attivo il dispositivo della relazione fra soggetto e oggetto, della coessenziale appartenenza di questi al medesimo campo semantico, fino alla dissoluzione di queste stesse categorie. Tale analisi non sarà soltanto un passaggio atto a esaminare alcuni frammenti del Bergson professore, al fine di metterne in mostra le capacità didattiche. Gli autori scelti aiutano Bergson a sviluppare alcuni temi che torneranno operativi all’interno della sua proposta filosofica e registrano una singolare consonanza anche con alcune tesi spinoziane: si pensi ad esempio alle questioni del nulla, dell’ordine, del possibile, della stessa durata, come si avrà modo di sottolineare. Il materiale maneggiato da Bergson torna a essere plastico e quindi diventa nuovamente una cera da modellare. L’eco delle dottrine antiche sarà ben udibile nelle pagine di Materia e memoria, de L’evoluzione creatrice e di altri testi bergsoniani. Con Bergson, e attraverso di esse, si delinea sempre più una filosofia che si pensa non come un sapere definitivo di un soggetto sul mondo, ma come un sapere in continua evoluzione e perenne scoperta che prescinde da ogni conoscente. La filosofia antica infatti non si trova soltanto prima di ogni scissione fra soggetto e oggetto ma, in generale, è antecedente a ogni spaccatura e divisione.
Il rapporto con la filosofia di Spinoza sarà l’oggetto della seconda parte del lavoro. Con il filosofo olandese Bergson condivide il carattere non convenzionale della propria filosofia che si mostra in modo palese nell’annullamento di ogni trascendenza del pensiero. Per entrambi, potremmo dire, tutto è ricondotto a un’unità piena, dinamica e tuttavia semplice poiché assoluta. Di nulla si dà uno statuto ontologico diverso da quello immanente. Della trascendenza invece necessita l’uomo intento a giudicare il mondo – nella misura in cui giudicare significa appunto raffrontare, porre in relazione le parti di un intero che rimangono malgrado ciò scisse – da una posizione, al fine, staccata dalla realtà. Per Bergson, vedremo, si tratta di «guardare la realtà non con occhi umani, ma con quelli stessi della realtà se essa ne possedesse»[1], come dice Giuseppe Rensi parlando proprio di Spinoza. Occorre compiere un gesto eretico ed eroico, continua il filosofo e giurista veronese, perché la vera e più profonda forma di eresia filosofica è sforzarsi di guardare il mondo non attraverso le nostre limitate categorie e dall’esterno ma, nel tentativo di fonderci con l’unità, dall’interno. Per Bergson tale passaggio sarà segnalato da uno slittamento fondamentale che dalla conoscenza analitica ci conduce alla conoscenza più direttamente sintetica propria dell’intuizione.
Si proverà quindi a commentare Bergson anche attraverso il riflesso generato alle sue spalle dallo specchio dello spinozismo, inteso sia come cristallo puro della modernità determinista, ma anche come modello verso cui indirizzare i propri sforzi. Tenteremo insomma di riscrivere i contorni del bergsonismo in una messa in scena che tenga conto del ruolo svolto nel suo “retroscena”, per così dire, dal – probabilmente – più radicale sistema filosofico eretico della storia del pensiero occidentale: lo spinozismo.
Il confronto con Spinoza ci aiuterà infine ad approfondire il bergsonismo e a superare alcune sue evidenti difficoltà. Bergson è suo malgrado un po’ vittima del suo stesso linguaggio e anche di una serie di interpretazioni critiche che lo hanno, già pochi anni dopo la sua morte, spostato ai margini del dibattito filosofico.
In altre parole, l’operazione al cuore di questo lavoro sarà quella di tornare alle fonti del filosofare bergsoniano, a quel magma sempre vivo che lo ha mosso nella ricerca, per poi proseguire. Bergson stesso ha pensato a una filosofia che non si blocca, che continua a decostruire e ricostruire, in piena sintonia con la scienza del XX secolo. Questo significa che il passato va continuamente reinterpretato alla luce del nuovo, con ciò che emerge dalla ricerca, ma anche che occorre essere pienamente coscienti dell’inevitabile oltrepassamento implicito a ogni indagine storico-filosofica. Non si può indagare un pensiero se non risalendo alle sue fonti guardandone il percorso e poi trasferirlo nel proprio atto filosofico. Ciò nonostante Bergson (ma anche Spinoza) ha cercato di evitare – almeno dal punto di vista teoretico – di imputare al soggetto la totale proprietà dell’atto filosofico, andando, quindi, sempre oltre se stesso, riproducendo all’infinito una meccanica che può legittimamente chiamarsi “processo”.
[1] G. Rensi, Spinoza, a cura di R. Evangelista, Edizioni Immanenza, Napoli 2014, p. 31. La citazione è tratta dalla prima redazione del famoso testo di Rensi su Spinoza, datato 1929. Ve ne fu un altro, riportato nel testo citato, postumo, del 1941, più articolato e lungo ma sostanzialmente uguale dal punto di vista dell’interpretazione.
XIV Ritiro Filosofico, un resoconto
Come largamente preannunciato si è svolto, dal 30 settembre al 2 ottobre, il XIV Ritiro Filosofico nella consueta cornice di Nocera Umbra (PG). La quattordicesima edizione del Ritiro è stata condotta dal prof. Rocco Ronchi – docente di filosofia teoretica all’Università de L’Aquila -, sul tema L’immanenza assoluta. Una tre giorni davvero interessante e ricca di dibattiti, suscitati dalle lezioni del relatore che ha potuto contare su una platea eterogenea di ascoltatori attenti e, nella loro diversità, complementari.
Le tre sessioni di lavoro (due al sabato, e una la domenica) hanno affrontato la tematica dell’immanenza assoluta attraverso una critica del concetto di contingenza, per poi passare all’esposizione della nozione di processo ed infine indagando una terza accezione della causalità metafisica. Obiettivo di Rocco Ronchi era quello di mostrare una via alternativa sia al necessitarismo sia al personalismo che fa della libertà il proprio unico orizzonte.