L’innegabilità del fondamento: introduzione
Nel trattare l’innegabilità del fondamento, così scrive Severino: «Alla struttura originaria compete […] quanto Aristotele rilevava a proposito del principio di non contraddizione: che la sua stessa negazione, per tenersi ferma come tale, lo deve presupporre. Sì che ad un tempo lo nega e lo afferma: lo nega in actu signato, e lo afferma in actu exercito; e quindi, proprio perché insieme lo afferma e lo nega, non riesce a negarlo» (Severino 1981, 107).
La negazione del principio (fondamento), come abbiamo detto negli articoli precedenti, deve investire il principio nella sua interezza e, pertanto, deve essere esterna ad esso; ma deve altresì essere interna, stante il suo costituire un momento del fondamento (principio) stesso: da questo punto di vista, la soluzione al problema della negazione sembrerebbe quella del suo sussistere in entrambe queste forme.
Se di esse si considera la prima, e cioè la negazione esterna che investe il fondamento nella sua interezza proprio per poterlo effettivamente negare, si deve rilevare che essa non può, a rigore, realizzare il proprio progetto, perché non riesce a negare il principio (fondamento): del fondamento, infatti, essa necessita, onde essere fondata come negazione.
Quello appena indicato costituisce un punto cruciale. Per comprenderlo adeguatamente, notiamo che, nel fare riferimento alla negazione del fondamento, viene a riproporsi la situazione descritta da Aristotele a proposito del principio di non contraddizione. Non per niente, Severino esordisce dicendo che, per mostrare l’innegabilità del principio, si deve procedere ad esporre la struttura originaria: «L’esplicitazione della qual cosa [l’impossibilità che la negazione neghi effettivamente il principio] esige però l’esposizione della struttura originaria (mostrare cioè che la negazione della struttura originaria è possibile solo presupponendo questa struttura stessa – o che la condizione della negazione è quello stesso che vien negato –: mostrare questo importa innanzitutto che la struttura originaria sia disvelata, esposta); e quindi esige un notevole sviluppo discorsivo» (Ibidem).
Severino insiste con il mostrare che «La storia del fondamento è un elemento o un momento essenziale al fondamento stesso» (Severino 1981, 110), e tale storia si configura come il succedersi delle negazioni del fondamento. Solo successivamente, egli torna ad esaminare il ruolo della negazione in ordine al fondamento e precisa questo ruolo in riferimento alla posizione del fondamento.
Si potrebbe, quindi, affermare che prima si mostra l’innegabilità del fondamento e poi la sua posizione e ciò è dovuto al fatto che un «contenuto» vale come fondamento «solo in quanto quella capacità [di togliere assolutamente la sua negazione] è posta» (Severino 1981, 111).
Autenticità del fondamento come sua innegabilità
Come detto nel passo precedente, «La storia del fondamento è un elemento o un momento essenziale al fondamento stesso» e tale storia altro non è che il succedersi delle negazioni del fondamento così come la storia della filosofia le ha presentate. La storia delle negazioni è, dunque, l’esplicitazione del contenuto espresso in forma icastica da quella negazione del fondamento, che fa parte della struttura originaria: «la posizione del fondamento implica essenzialmente il toglimento della negazione del fondamento; o che questo si realizza come apertura originaria della verità solo in quanto è in grado di togliere la sua negazione, e quindi solo in quanto sta in relazione con questa. Sì che il fondamento è posto solo in quanto la sua negazione è posta (come tolta)» (Severino 1981, 111).
Riteniamo che il passo citato sia davvero centrale, forse il più importante del I Capitolo, e per questo cercheremo di analizzarlo attentamente. In esso viene affermato, in forma esplicita, quanto Severino ha già anticipato, in una forma più criptica, nel passo che abbiamo citato all’inizio del paragrafo precedente, nel quale egli fa riferimento al principio di non contraddizione di Aristotele e cioè al fatto che la stessa negazione del principio, per tenersi ferma come negazione, lo deve presupporre.
Il concetto da cui partire è, dunque, quello per il quale il fondamento è tale se è in grado di mostrare di essere autentico. E mostrare l’autenticità equivale a mostrare l’innegabilità: il fondamento è autentico se, e solo se, è innegabile ed è innegabile se «è in grado di togliere la sua negazione». Questo è il punto da cui prende avvio la presente riflessione: per Severino, innegabile significa ciò che resiste alla negazione e, anzi, le impone di togliersi.
Qui egli non precisa che cosa debba intendersi per «negazione»: lo dà, come dire, per scontato e aggiunge soltanto che il fondamento che viene negato – e che deve togliere la sua negazione – può farlo perché «sta in relazione con questa». La relazione del fondamento alla sua negazione (sia che la si intenda come negazione interna che come negazione esterna ad esso) è la prima relazione che ci è dato di incontrare e sulla quale, dunque, si impone una attenta analisi.
Tale relazione costituisce la traduzione, in termini logico-teoretici, della struttura originaria stessa, dal momento che si instaura tra i due poli in cui si articola l’originario: il polo positivo, costituito dal fondamento, e il polo negativo, costituito dalla sua negazione. In effetti, come Severino preciserà in seguito, la negazione non rappresenta il polo assolutamente negativo, per la ragione, appunto, che si pone come un polo e, per questo suo porsi, vale come un positum, cioè come un positivo (positivum).
Che si tratti di una relazione di estrema importanza lo si evince anche da un altro passo, che concerne il fondamento inteso nella sua concretezza: «Esso è invece soltanto un momento astratto del fondamento, l’intero o il concreto del fondamento essendo appunto la relazione posizionale tra questo momento e la sua negazione» (Severino 1981, 111-112).
Poiché Severino parla di relazione del fondamento alla sua negazione (e, ripetiamo, ciò vale tanto per la relazione intrinseca quanto per quella estrinseca), a noi sembra che anche la negazione debba venire pensata in relazione al fondamento. Ciò ha un’enorme rilevanza, perché equivale a gettare un’ipoteca non di poco conto sul concetto di negazione: quest’ultima, infatti, viene intesa come relazione negativa, cioè come attività estrinseca o funzione logica del negare.
La negazione come essenziale al fondamento
Come detto poc’anzi, la negazione intesa come funzione logica è la relazione negativa. Se la negazione viene intesa come un’attività che si dispone estrinsecamente su ciò che viene negato, e per questa ragione parliamo di “relazione negativa”, allora si deve mettere in evidenza che, per quanto possa apparire sorprendente e contrario al modo ordinario di pensare, il negato non viene mai effettivamente negato. O, più precisamente, esso viene richiesto come essente perché si possa procedere alla sua negazione.
Che è come dire: la negazione viene a negare ciò che essa stessa è costretta a postulare. Se, infatti, il negato non fosse, allora la negazione non potrebbe venire determinata, dal momento che non si eserciterebbe su qualcosa e cesserebbe di essere negazione: valendo come negazione-di-nulla si capovolgerebbe in negazione-nulla.
Con questa conclusione: il negato è essenziale al costituirsi della negazione intesa come relazione negativa, dal momento che di questa relazione esso costituisce un termine, così che la relazione non lo può negare senza negare sé stessa.
Le considerazioni svolte sul concetto di negazione sono decisamente importanti, perché il discorso di Severino, svolto nei passi citati, comporta che la negazione risulti essenziale al costituirsi della struttura originaria, «l’intero o il concreto del fondamento essendo appunto la relazione posizionale tra questo momento e la sua negazione» (pp. 111-112).
Severino, quindi, afferma che ad essere innegabile è soltanto il fondamento; di contro, il discorso da noi svolto ha come conclusione che ogni determinazione resiste alla negazione, se questa viene intesa come negazione formale, cioè come negazione estrinseca. Come sappiamo, ogni significato (ente) per Severino è eterno e ciò, a nostro giudizio, non fa che confermare che la negazione formale risulta comunque inefficace. Detto con altre parole: ogni determinazione è innegabile proprio perché l’ente non può diventare un non-ente.
Per chiarire ulteriormente il concetto, riprendiamo ad indagare il rapporto che sussiste tra il fondamento (principio) e la sua negazione. Questo rapporto è essenziale, perché senza di esso il fondamento non potrebbe configurarsi in forma determinata.
Da un certo punto di vista, la negazione del fondamento (qui si fa riferimento alla negazione intrinseca) ne consente la posizione determinata; da un altro punto di vista, invece, la negazione di questa negazione (qui si fa riferimento alla negazione estrinseca) attesta l’innegabilità del fondamento stesso. Questo è il punto di vista di Severino, il quale non intende sottoporre a questione il concetto di negazione, ma intende affermare che l’innegabilità del fondamento consiste nel fatto che la negazione non può non richiederlo, in modo tale che, non potendo negarlo, non può non negare sé stessa: «Pertanto, non solo la negazione dell’originario è originariamente tolta in quanto intrinsecamente contraddittoria, e cioè in quanto per realizzarsi presuppone la struttura originaria […]; ma tale negazione presuppone ciò che essa nega» (Severino 1981, 127-128).
Per il fondamento, quindi, Severino ripropone il discorso che Aristotele fa per il principio di non contraddizione: come quest’ultimo, anche il fondamento viene richiesto dalla negazione che pretenderebbe di negarlo: «Di qui segue che la problematizzazione del fondamento è autocontraddittoria. Essa è un modo della negazione del fondamento» (Severino 1981, pp. 139-140, nota 1).
L’autocontraddittorietà della negazione del fondamento viene affermata anche nel sesto paragrafo del III Capitolo: «la negazione dell’incontraddittorietà [dell’essere] è autocontraddittoria» (Severino 1981, 177) e ribadita ulteriormente in Ritornare a Parmenide, dove viene messa in evidenza, inoltre, la caratteristica della negazione come tale, che noi abbiamo con forza sottolineato: «L’ἔλεγχος è appunto l’accertamento di questo autotoglimento della negazione, ossia è l’accertamento che la negazione non esiste come negazione pura, ossia come negazione che non abbia bisogno, per costituirsi, di affermare ciò che nega. Dire che l’opposizione [che in Ritornare a Parmenide costituisce il vero principio, in quanto opposizione di essere e nulla] “non può” essere negata, significa dunque rilevare che, proprio perché il fondamento della negazione è ciò che essa nega, essa consiste nella negazione di se medesima, nel suo togliersi come discorso» (Severino 1972, 44).
Conclusione: negativo come essenziale al positivo
In primo luogo, ci interessa sottolineare che per lo stesso Severino la negazione non può essere «pura», nel senso del valere «come negazione che non abbia bisogno, per costituirsi, di affermare ciò che nega». Ebbene, ciò dimostra che la negazione, per porsi (costituirsi), necessita del “negato”, così che non potrà mai effettivamente negarlo. In secondo luogo, come caso particolare dell’impossibilità di negare il “negato”, si dovrà affermare che la negazione non riesce neppure a negare il fondamento (principio). In tal modo, essa esibisce la propria inefficacia.
D’altro canto, invece, la negazione svolge, per Severino, una duplice e fondamentale funzione: consente di determinare il principio (fondamento) e consente di farne emergere l’innegabilità, togliendosi. Ciò significa che, senza la negazione, non si porrebbe il fondamento né emergerebbe la sua innegabilità, così che la negazione, anche se per venire negata, risulta essenziale al fondamento.
Ciò significa che, sempre per Severino, il negativo è essenziale al positivo o, in altre parole, l’errore è essenziale al costituirsi della verità o, ancora, all’essere è essenziale il non-essere. Ci domandiamo: risulta davvero intelligibile quella posizione teoretica che faccia poggiare il vero sul falso, capovolgendo così l’assunto spinoziano per il quale «veritas norma sui et falsi» (B. Spinoza, Ethica, parte II, prop. 43, scolio)?
Riferimenti bibliografici
- Severino, Emanuele. 1972. “Ritornare a Parmenide”, in Essenza del nichilismo. Brescia: Paideia.
- Severino, Emanuele. 1981. La struttura originaria. Milano: Adelphi.