Machiavellerie

a cura di Mauro Longo

BENE COMUNE

«Ma se voi noterete il modo di procedere degli uomini, vedrete tutti quelli che a ricchezze grandi e a grande potenza pervengono o con frode o con forza esservi pervenuti; e quelle cose, dipoi, ch’eglino hanno con inganno o con violenza usurpate, per celare la bruttezza dello acquisto, quello sotto falso titolo di guadagno adonestano. E quelli i quali, o per poca prudenza o per troppa sciocchezza, fuggono questi modi, nella servitù sempre e nella povertà affliggono; perché i fedeli servi sempre sono servi, e gli uomini buoni sempre sono poveri; né mai escono di servitù se non gli infedeli e audaci, e di povertà se non i rapaci e frodolenti. Perché Iddio e la natura ha posto tutte le fortune degli uomini loro in mezzo; le quali più alle rapine che alla industria, e alle cattive che alle buone arti sono esposte: di qui nasce che gli uomini mangiono l’uno l’altro, e vanno sempre col peggio chi può meno».
Istorie fiorentine, III, 13.

CRISTIANESIMO

La religione antica, oltre a di questo, non beatificava se non uomini pieni di mondana gloria come erano capitani di exerciti e principi di republiche. La nostra religione ha glorificato più gli uomini umili e contemplativi che gli attivi. Ha di poi posto il sommo bene nella umiltà, abiettione, e nel dispregio delle cose umane; quell’altra lo poneva nella grandezza dello animo, nella forteza del corpo e in tutte le altre cose apte a fare gli uomini fortissimi. E se la religione nostra richiede che tu abbi in te forteza, vuole che tu sia atto a patire più che a fare una cosa forte. Questo modo di vivere, adunque, pare che abbi renduto il mondo debole e datolo in preda agli uomini scelerati; i quali sicuramente lo possono maneggiare, veggiendo come l’università degli uomini (per andarne in paradiso) pensa più a sopportare le sue battiture che a vendicarle.
Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, II, 2, 28-32.

UOMO

Perché gli è uffizio d’uomo buono quel bene che la malignità de’ tempi e della fortuna tu non hai potuto operare, insegnarlo ad altri; acciò che, essendone molti capaci, alcuno di quelli più amato dal cielo possa operarlo.

Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, II, Proemio, 24.

Edizioni utilizzate:

  • Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, a cura di Rinaldo Rinaldi, Utet, Torino, 2006.

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