Sono molti i libri nei quali Severino ha scritto sull’Europa e sulle prospettive dell’unificazione europea. Spesso si tratta di raccolte di articoli pubblicati sul Corriere della Sera dove il filosofo bresciano commentava periodicamente fatti e vicende della politica nazionale e internazionale. Fin dagli scritti riassunti in Gli abitatori del tempo del 1978 e poi in Téchne, il saggio sulle radici della violenza apparso l’anno successivo, è sembrato subito chiaro che le analisi di Severino superavano per lucidità quelle di tanti scienziati della politica. Tornano alla mente le parole di Leo Strauss secondo cui la scienza politica contemporanea, una volta messa di fronte alle tirannidi più terribili, non le seppe riconoscere. Severino al contrario dimostra subito di riconoscere una tirannide, quella della Tecnica, mascherata sotto le vesti della fede nel divenire che domina l’Occidente. Un tiranno sfuggente, senza volto, e per questo ancora più temibile. Ripercorriamo oggi la penetrante analisi del filosofo contenuta in alcuni dei suoi libri più significativi.
L’impossibilità dell’unificazione europea
Dopo aver avvertito in Gli Abitatori del tempo (che contiene in nuce molte delle tesi poi sviluppate successivamente) di voler ricostruire con necessità la struttura della civiltà occidentale, il libro che analizza in profondità le tesi del discorso filosofico sull’Europa è La tendenza fondamentale del nostro tempo del 1988 nel quale Severino discute non solo la questione dell’equilibrio di potenza tra Stati ma rimanda anche ai fondamenti teoretici del suo discorso. Contrariamente a quanto pensava Luigi Einaudi, il quale riteneva che fosse un elemento fondamentale per la pace, l’unità europea rappresenta per Severino un grande fattore di destabilizzazione politica e una minaccia per la pace. Normale dunque che contro di essa agisca congiuntamente il duumvirato tra Stati Uniti e Russia, così chiamato per la concordia discors con la quale le due superpotenze esercitano il loro dominio sul mondo.
Ma se anche non vi fosse un simile ostacolo, la volontà di unificazione europea è comunque destinata a fallire perché si fonda sulla fede greca nel divenire, forma massima di isolamento, che opera come spinta contraria ad ogni ipotesi di unificazione. «L’Europa è quella specifica volontà di separazione e divisione che appare con la riflessione greca sul senso dell’essere, del niente e del divenire»: queste parole suonano come una sentenza rispetto a qualsiasi velleità di costruzione europea. Da aggiungere anche che Severino non esita a criticare Heidegger che aveva sognato un’Europa come alternativa a USA ed URSS, dimenticando che non esiste una sola Europa ma tante quante sono le culture che condividono la medesima fede nel divenire. L’Europa insomma, più che una nozione geografica o culturale, è una categoria dello Spirito.
Gli anni successivi al libro del 1988 sono pieni di avvenimenti storici: il crollo dell’URSS e degli altri regimi socialisti dell’Est, la riunificazione della Germania, l’emergere degli Stati Uniti come unica potenza planetaria. Severino riconosce (La Bilancia del 1992) che nel libro di quattro anni prima vi era la convinzione che il processo di unificazione europea fosse più avanzato della crisi del socialismo. Ritornando alla sua tesi di fondo, egli ribadiva che l’unificazione europea è destinata a fallire perché il progetto contiene nel suo DNA gli elementi che puntano in tutt’altra direzione. Fondata sul senso della cosa, ovvero ciò che oscilla tra l’essere e il niente, l’Europa è concepita fin dall’origine come qualcosa di separato. Di conseguenza, la domanda su che cosa è l’Europa non può avere risposta, almeno fino a quando non si metta in questione la fede nel divenire, sulla quale essa è costruita. Da notare che il libro contiene un’interessante osservazione di metodo: discutendo infatti sulla previsione degli accadimenti futuri, Severino sostiene che «la previsione autentica non è la previsione di un accadimento, ma la visione di una contraddizione»: in altre parole, non si tratta di prevedere o meno la cronologia degli eventi, quanto piuttosto la forma dell’errore nella quale è avvolta una manifestazione storica (Stato, ideologia, evento collettivo ecc.). La contraddizione è definita da Severino come «credere in qualcosa di contraddittorio (cioè di impossibile, ndr) che tuttavia non appare come tale a chi crede in quel qualcosa». Il progetto di unificazione europea è questa contraddizione. Così come è contraddizione, per fare un esempio recente, un evento come la Brexit in quanto crede di volere qualcosa (il ritorno ad una forma tradizionale della sovranità statale) resa impossibile non solo dagli sviluppi dell’economia mondiale ma anche da quelli della tecnica.
L’avvicinamento tra Europa e Russia
Già l’anno successivo, in Il declino del capitalismo del 1993, Severino avanzava una tesi che, nel nuovo quadro geopolitico venutosi a determinare con gli eventi a cavallo degli anni ottanta e novanta, sarà costantemente ripresa negli anni successivi: l’avvicinamento tra la Russia e l’Europa. L’idea è semplice e si fonda sul più classico matrimonio di interessi: se la Russia è potente militarmente ma debole economicamente, l’Europa, sempre meno disposta a soggiacere alla protezione americana, è invece forte dal punto di vista economico ed in grado di fornire il proprio sostegno in cambio della protezione militare. La stessa tesi veniva ripresa dieci anni dopo in Dall’Islam a Prometeo in cui Severino paragona l’Europa agli stati italiani del Rinascimento, non tanto per via della litigiosità o della frammentazione, quanto per l’idea secondo cui l’unione politica è qualcosa di troppo angusto rispetto alla ricchezza di tradizioni culturali e linguistiche di cui l’Europa, così come gli stati italiani del cinquecento, è caratterizzata. Severino non manca di osservare che la guerra nei Balcani, in corso durante quegli anni, è lo strumento grazie al quale gli Stati Uniti hanno osteggiato con successo l’avvicinamento tra Europa e Russia.
Salvezza e identità dell’Europa
In Capitalismo senza futuro del 2012, uno dei saggi più acuti della prolifica produzione severiniana, l’analisi si arricchisce grazie al confronto con studiosi, intellettuali e politici. Il primo di questi è Giulio Tremonti, ex ministro dell’Economia ai tempi del governo Berlusconi, fautore dell’idea secondo cui l’Europa sarebbe salvata solo con il riferimento a Dio e alle radici cristiane. Severino capovolge completamente la tesi in virtù dell’argomento secondo cui la vera salvezza può farsi avanti solo se ci si allontana dalle tradizioni europee e si recidono le radici giudeo cristiane dell’Europa: questo a motivo del fatto che la filosofia mostra che la Tecnica è più potente rispetto alla potenza costituita dai valori della tradizione (tra cui Dio). L’Europa si salva solo se si allea con essa, ma per fare ciò deve riuscire ad ascoltare la voce del sottosuolo filosofico del nostro tempo che indica la necessaria distruzione di ogni immutabile.
Riguardo al problema dell’identità europea, Severino (in un confronto con le tesi di Biagio De Giovanni) ricorda che i Paesi dell’area in oggetto non hanno nulla in comune tra di loro ad eccezione del senso del produrre derivante dal pensare la Cosa come continua oscillazione tra l’essere e il nulla, tra creazione e distruzione. In ciò (come ribadito nell’Intima mano del 2010) il valore supremo dell’Europa è la guerra, valore poi esteso a tutto il pianeta.
L’Europa, il seme che genera un frutto vecchio e il Superstato tecnico
In uno dei suoi ultimi saggi, Il tramonto della politica del 2017, Severino conclude con una tesi ancora più radicale, quella secondo cui l’unità politica dell’Europa non conviene più nemmeno all’Europa. Il ragionamento parte dalla supposta necessità di avere un’unione politica che renda effettivo il funzionamento della moneta unica. Se la premessa è giusta (necessità di una gestione unitaria della moneta), la conclusione non è affatto scontata (unione politica) perché ciò che realizza la premessa non è la politica ma la tecnica: «L’unità politica non conviene all’Europa in quanto seme che genera un frutto già vecchio». In tale contesto anche la tesi dell’avvicinamento tra Europa e Russia assume un altro significato: nel trionfo della tecnica, quell’avvicinamento prefigura la nascita di un Superstato tecnico che supera la categoria della sovranità statale fondata su popolo e territorio (da questo punto di vista non è escluso che la Brexit sia stata il frutto della volontà inglese di porsi alla guida di uno Stato simile). Torna in questo contesto l’indicazione del gigantesco Meccanismo all’opera nella storia dell’Occidente: le forze della tradizione (democrazia, capitalismo, cristianesimo ecc.), credendo di servirsi della tecnica per raggiungere i propri scopi, favoriscono il suo incremento di potenza; così facendo tuttavia, esse finiscono per considerare la Tecnica come scopo della propria azione, rinunciando di fatto a perseguire il proprio.
Suicidio o grande avvenire dell’Europa?
In un articolo del 2004, scritto in occasione del concepimento della costituzione europea (poi mai nata), Severino ricorda che l’Europa, continente della filosofia, è patria dello spirito critico. «L’atteggiamento critico si estende sin dove gli è possibile. Non si ferma quando gli è possibile detronizzare tiranni e abbattere idoli. Si ferma cioè solo dinanzi all’innegabile – e l’innegabile autentico è la verità». Si potrebbe pensare, nel momento in cui la tecnica rende tutto calcolabile distruggendo speranze ed avvenire, che l’Europa stia commettendo un vero e proprio suicidio, così come sosteneva Pietro Barcellona in uno dei suoi ultimi saggi. Per Severino, al contrario, l’Europa è come un albero in cui i rami più alti (tecnica ed essenza profonda della filosofia del nostro tempo che distrugge gli immutabili) fanno appassire quelli più bassi (le varie forze della tradizione prima indicate). Il futuro dell’Europa è il futuro della Tecnica intesa come forza che riassume in sé la potenza che salva. Tante sono le specificazioni, gli incisi e le sfumature che rendono congrua e penetrante l’analisi di Severino. Ma per questo rimandiamo ai suoi libri via via indicati.
Grazie Maurizio, articolo molto interessante e attuale, che raccoglie una riflessione sull’Europa, che Severino ha svolto in vari momenti.
Faccio queste domande/ commenti, su cui desidererei, se possibile, la tua opinione, alla luce della visione espressa da Severino:
1) La costituzione di una difesa comune Europea, avversata da Stati Uniti d’America (USA) e Russia, appare quindi un sogno irraggiungibile ?
2) La guerra attuale in Ucraina può essere vista come una parte della guerra tra Russia e Usa per la conquista dell’Europa e un tentativo degli USA di separare l’Europa dalla Russia ( stop alle forniture di gas, etc) ?
3) Infine una domanda su un punto che non mi è chiaro nel discorso di Severino, cioè perché egli ritenga più verosimile un avvicinamento dell’Europa alla Russia piuttosto che un permanere sotto il protettorato degli Usa.
Ti ringrazio per il tempo che potrai dedicare a questi argomenti e ti mando un caro saluto
Marco
“Per prevalere uno scopo escludente altri scopi è costretto a escludere se stesso” in questa frase di Severino (che recupero da “Tecnica e architettura”, p. 81) s’intravede il destino dell’Europa o di qualsivoglia entità ritenuta (categoria dello spirito o nozione culturale): ossia sciogliersi nel flusso della Tecnica.
“Cacciari ritiene,con Heidegger, che il pensiero abbia la possibilità di uscire dal giogo della tecnica” ma “quei critici non comprendono che il pensiero dell’Occidente è originariamente tecnica” (Dall’Islam a Prometeo, p. 201), ossia fede nel divenire, nel principio di contraddizione (vedasi Hegel e Gentile) funzionale alla volontà di dominio.
Tuttavia la dimensione del Destino non scongiura la predominanza della Tecnica e del divenire, ontico anche se non ontologico (“o divenire in senso non nichilistico” direbbe Severino), proprio perché Identità è propria solo di Quello (il Destino) e inafferrabile. Tutte le cose, Europa compresa, non sono, sono solo idee confuse. Non vi è molteplicità nella Totalità, intrinseca.