Il modello sistemico-relazionale (IV)

Dopo avere esaminato – nei precedenti saggi – il modello riduzionistico, prendiamo in esame il modello sistemico-relazionale. Con tale modello, si impone innanzi tutto la necessità di valorizzare il costrutto relazionale. In tale modello, infatti, viene messa in primo piano la relazione e si enfatizza il suo ruolo.

Così scrive Bottaccioli, a proposito dell’affermarsi del modello sistemico: “Insomma siamo dentro un epocale cambiamento del paradigma della biologia molecolare: nel micro mondo della vita, dove sembrava obbligatorio il dominio dell’approccio riduzionista, emerge con forza dirompente l’approccio sistemico” (Bottaccioli 2014, 11). E aggiunge: “Quello che conta quindi è l’interazione tra gli elementi, non semplicemente la loro analisi. Comprendere come interagiscono tutti gli elementi significa darsi una rappresentazione del sistema che opera” (Bottaccioli 2014, 12).

Ciò che si impone come imprescindibile è dunque l’esigenza del recupero di una visione d’insieme, di una sintesi che sappia ricomporre la molteplicità degli elementi in una configurazione unitaria. A muovere dalla Teoria generale dei sistemi (Bertalanffy 1968), che costituisce il manifesto del nuovo programma della fisica teorica, anche le altre scienze, incluse le scienze mediche e psicologiche, sono diventate scienze di relazioni. Non più soltanto nel senso di originare da una relazione, che viene sciolta nelle sue componenti secondo i dettami dell’analisi, ma nel senso di mettere capo a nuove relazioni, che sappiano riunificare ciò che è stato precedentemente diviso.

La consapevolezza, che ha fondato l’autentica rivoluzione epistemologica rappresentata dai modelli della complessità e dell’olismo, è precisamente quella che coglie la determinazione come intrinsecamente connessa a tutte le altre, giacché queste ultime sono essenziali al suo porsi come “quella” determinazione.

Come abbiamo cercato di indicare nei precedenti saggi, senza la relazione, cioè senza il limite, nessuna identità potrebbe porsi in forma determinata; ma quella identità, che viene posta in forza del limite, è un’identità che si vincola inscindibilmente alla differenza e solo astrattamente può venire separata da essa.

La scienza, dopo il suo enorme sviluppo analitico, tende ora a dispiegarsi in forme altrettanto compiute sul versante della sintesi, della ricomposizione di ciò che è stato diviso.

Si potrebbe così affermare che, se la spiegazione vale come esplicitazione della genesi di un fenomeno, la genesi tuttavia non può esaurirsi, ingenuamente, nella individuazione di una causa unica.

Parlare di “causa” comporta il riferirsi, almeno implicitamente, al concetto di “concausa”. Il modello multifattoriale, in tal modo, viene progressivamente ad imporsi in virtù della consapevolezza del valore della relazione, che consente di porre in essere un tipo di spiegazione sempre più aperta, perché non dogmatica, non più basata, cioè, sulla pretesa assolutizzazione di un elemento, di una causa, di una teoria.

Si prenda, come esemplificazione, il modello bio-psico-sociale. Questo nuovo modello di spiegazione che si è imposto in ambito medico, in grado di far interagire sistemi teorici diversi – oltre che diverse sezioni di esperienza, che a quei sistemi si riferiscono –, è più comprensivo, nel senso che è in grado di cum-prehendere una molteplicità di fattori che entrano in gioco nel prodursi di un fenomeno, anche somatico.

Più in generale, ogni evento può venire effettivamente conosciuto solo perché viene colto nella fitta rete di rinvii che lo vincola ad altri eventi, in quel tessuto (textus) che è appunto l’esperienza, la cui concretezza non può venire intesa in un senso che non sia il cum-crescere degli eventi, cioè il porsi e l’evolversi di ciascuno in riferimento a tutti gli altri.

Questa molteplicità di riferimenti determina un’influenza reciproca tra gli eventi, così che assolutizzarne uno soltanto, promuovendolo a causa unica, equivale a configurare un’autentica astrazione, ossia un abstrahere, un tirare fuori un dato dalla catena dei riferimenti che lo vincola agli altri dati.

Se il riduzionismo preso in esame in precedenza aveva messo capo ad una concezione fisicalistica e materialistica, il modello complesso produce una concezione funzionalistica, la quale, in una qualche misura, determina una nuova forma di riduzionismo: un riduzionismo funzionalistico, piuttosto che materialistico.

La concezione funzionalistica, infatti, consente bensì di andare oltre l’aspetto ingenuo del determinismo e del meccanicismo e abbandona la pretesa di definire le essenze ultime dei fenomeni, giacché si accontenta di descriverli nei termini di processi funzionali; tuttavia, la conoscenza viene risolta in termini computazionali: conoscere una cosa significa ormai conoscere i rapporti che la vincolano a tutte le altre cose, così che il calcolo diventa la forma ideale di una descrizione che è soprattutto quantitativa e misurazionistica.

Come esemplificazione, potremmo indicare il funzionalismo computazionale in cui si esprime il Modello Cognitivo Classico o Simbolico, mediante il quale viene descritta la mente.

Precisamente per le ragioni addotte la matematica costituisce il paradigma essenziale di ogni scienza empirica e sperimentale, configurando la modalità più precisa per formalizzare e calcolare i nessi che sussistono tra le determinazioni.

Ciò comporta, però, la valorizzazione del solo aspetto sintattico e la messa in parentesi dell’universo dei significati (universo semantico).

Ma la dimensione del significato non può venire eliminata, giacché costituisce l’elemento qualitativamente più rilevante almeno di una funzione, della funzione psichica. In questo senso, parliamo di riduzionismo funzionalista, per l’incapacità che questo modello denuncia nel trattare il tema della coscienza, che è intrinsecamente vincolata alla dimensione semantica.

Villani, nel suo lavoro che abbiamo indicato nel primo saggio da noi dedicato al tema del riduzionismo e dell’olismo – e al quale rinviamo –, per sottolineare il ruolo avuto dal modello sistemico-relazionale nella definizione del concetto di vita, parla di “complessità sistemica” (Villani 2014, 34) e scrive:  “Lungo la storia della biologia, l’alternativa è sempre stata […] tra una visione ‘passiva’ della materia e con proprietà (come la vita) generate dalla sua organizzazione (meccanica) spaziale e una visione ‘attiva’ della materia (come quella chimica), ma le cui proprietà (compresa la vita) dovevano essere inglobate negli elementi costitutivi, fossero essi le particelle vive o una materia organica specifica» (Villani 2014, 35).

Per giungere a questa conclusione: «L’opposizione quindi, tra proprietà e organizzazione, tra materia attiva e passiva, è eliminata dicendo che è vero che le caratteristiche originali dei costituenti (le loro proprietà e la loro attività) preesistono al sistema, ma esse sono modificate per avere nuove proprietà e attività dall’organizzazione che, tuttavia, non va intesa come semplice organizzazione spaziale e meccanica. In pratica, abbiamo sistemi che, interagendo, costituiscono nuovi sistemi” (Ibidem).

Abbiamo parlato di “riduzionismo funzionalista” per sottolineare che la contrapposizione tra il modello riduzionista e quello sistemico non ci convince.

A noi sembra, infatti, che la valorizzazione della relazione rispetto ai termini relati non tenga conto che essa si pone solo a condizione di poggiare sui termini stessi.

Del resto, il dibattito sul primato o meno della relazione non costituisce di certo una novità. Martin Heidegger (1927), prima, e John Dewey (insieme ad Arthur F. Bentley, 1946), poi, hanno affermato proprio questo primato, laddove Nicolai von Hartmann (1935), criticando questa concezione, definita “vuoto relazionalismo” (stante che, se i termini presuppongono la relazione, quest’ultima, a sua volta, presuppone i termini, all’infinito), ha riproposto una concezione ontologista, volta ad affermare, appunto, il primato dei termini.

Di tale dibattito intendiamo ora dare rapidamente conto, per evidenziare che la questione non è stata risolta, almeno da un punto di vista teoretico-concettuale.

 

Riferimenti bibliografici

  • Bertalanffy von, Ludwig. 1968. General System Theory. Foundations, Development, Applications, New York: George Braziller (trad. it. Teoria generale dei sistemi, Milano, Mondadori, 1983).
  • Bottaccioli, Francesco. 2014. La fine della grande illusione del riduzionismo in biologia e in medicina, «Epistemologia», 37, pp. 5-21.
  • Dewey John, Bentley Arthur F. 1946. Knowing and the Known, Boston (Mass.), The Beacon Press (trad. it. Conoscenza e transazione, Firenze, La Nuova Italia, 1974).
  • Hartmann von, Nicolai. 1935. Zur Grundlegung der Ontologie, Berlin, Walter De Gruyter & Co Verlag (trad. it. La Fondazione dell’Ontologia, Fratelli Fabbri, Milano 1963).
  • Heidegger, Martin. 1927. Sein und Zeit, Tübingen, Neomarius Verlag (trad. it. Essere e tempo, Milano-Roma, Fratelli Bocca, 1953).
  • Villani, Giovanni. 2014. L’approccio sistemico della chimica al concetto di vita, Epistemologia, 37, pp. 22-36.

 

Articoli di questa serie già pubblicati

Foto di Nadir sYzYgY su Unsplash

Università per Stranieri di Perugia e Università degli Studi di Perugia · Dipartimento di Scienze Umane e Sociali Filosofia teoretica - Filosofia della mente - Scienze cognitive

Lascia un commento

*