Fondamento e Sistema

Nella prima sessione del XVII Ritiro Filosofico, svoltosi il 21 e 22 settembre, la riflessione ha preso le mosse da una semplice domanda: perché vige, in filosofia, la differenziazione fra pensiero e linguaggio? In realtà, una consistente parte della filosofia novecentesca ha sostenuto che solo quest’ultimo esiste veramente, poiché il pensiero si riduce essenzialmente al linguaggio. Tuttavia è da questa stessa separazione, potremmo dire originaria, che il prof. Aldo Stella ha offerto la sua lettura di Anassimandro e Parmenide, proponendo un modello ontologico-teoretico di indubbio interesse. Del resto, ha argomentato principalmente nella prima sessione, se il linguaggio è espressione del pensiero egli rinvia a quel qualcosa di cui esso è segno e pertanto è contradditorio pensare la coincidenza del secondo nel primo.

Risiede già qui uno snodo decisivo nel proseguo dell’argomentazione (per ascoltare il podcast, clicca qui). Infatti, nella misura in cui ci collochiamo all’interno dell’universo empirico-formale, ovvero quello del linguaggio, siamo costretti a oggettivare la «condizione incondizionata che richiediamo come fondamento del sistema dei condizionati», ovvero dei determinati.

Ma, facendo un passo indietro: nel momento in cui il pensiero si esprime esso lo fa per mezzo del linguaggio, è inevitabile che sia così e che, dunque, il pensiero si dia sotto forma di enunciati. I segni però, gli enunciati, rimandano a qualcosa che va oltre se stessi, la loro essenza è infatti quella di rinviare, di essere riferendosi ad altro. Il segno è «un essere che coincide con il suo rinviare oltre se stesso». L’oltre a cui il segno rimanda è qualcosa che non può darsi come segno, altrimenti sarebbe una cosa fra le altre cose che, esprimendosi, sono di per sé determinate, finite. Ciò che sfugge al segno è dunque il Fondamento. I segni sono il Sistema.

>Per capire al meglio e più profondamente il concetto di segno (e ciò che esso si trascina dietro) è bene vederlo contestualmente al complesso di idee che c’è all’interno del concetto di limite. Il limite è ciò che rende determinata una cosa, ed ha una duplice faccia: quella rivolta verso il limitato e quella rivolta verso il limitante. Pertanto: A (il limitato) si pone a condizione che si ponga NON-A (il limitante). Se questo è vero, è dunque vero che ogni ente è quel che è poiché necessita dell’altro per essere; è, allora, in quanto dimora all’interno di una relazione. L’ente — ogni ente, ogni cosa determinata e limitata — è quindi insufficiente, non autonoma, è un finito che deve riferirsi ad altro infinito per sua stessa essenza. Di questo riferirsi potremmo mostrare un infinito ripetersi (un finito che si riferisce ad altro finito per determinarsi, per esprimersi, che a sua volta si riferisce ad altro, all’infinito) cadendo però in quella che Hegel ha definito «cattiva infinità». L’esigenza di “sfuggire” il limite si condensa nella necessità della filosofia, fin dalla sua origine, di indagare il principio e l’intero.

Per ascoltare il podcast della prima sessione del XVII Ritiro Filosofico:

La somma (quella che Bergson avrebbe chiamato la «giustapposizione») di enti insufficienti, cioè di finiti, di limitati, di determinati, non produce una sufficienza. Sarebbe come dire — per tradurla in termini politici — che l’unione di una massa di uomini componga una società. Questa non può ridursi ad essere il risultato di una somma. Il Fondamento trascende il Sistema dei finiti, la sua essenza è infinita e indeterminabile — se fosse finito e determinabile sarebbe un Sistema in mezzo agli altri Sistemi, e non lo fonderebbe. Contestualmente, il Fondamento (che è dunque quel qualcosa a cui rimanda il segno di cui si parlava all’inizio) non può porsi in relazione con gli enti che compongono il Sistema di cui esso è fondamento. Fondare significa infatti «valere come condizione in virtù della quale è possibile rintracciare il limite dei condizionati e del sistema dei condizionati». In altre parole, il Fondamento condiziona il Sistema ma non ne è a sua volta condizionato.

La coscienza filosofica che coglie il limite, all’interno di questo quadro teoretico, malgrado lo colga dall’interno del Sistema, è in grado di oltrepassare il limite e di trascenderlo. Questa facoltà gli è data, ontologicamente, dal fatto che ci sia un Fondamento che fonda il Sistema dei finiti e non ne è condizionato. È solo grazie pervenendo alla verità del finito (che è il suo stesso finire, il suo andare oltre sé) che si può attivare il processo di toglimento del finito e riconoscere così il volto incondizionato del Fondamento, dell’assoluto essere, completamente sciolto da vincoli.

Se questa prospettiva impedisce di assolutizzare il finito, allo stesso tempo essa sembra reintrodurre una insanabile separazione fra i due termini del ragionamento: Sistema e Fondamento. Ribadendo: è bene evitare che il Fondamento sia una maschera indossata dal finito reso assoluto e, per questo, non infinito e nemmeno assoluto ma pur sempre in relazione con altro per definirsi; tuttavia è bene non dare spazio alla possibilità che l’infinito si configuri come un ente sospeso e inaccessibile al pensiero. Piuttosto nel richiamarlo continuamente da parte dei segni e dei determinati dovremmo vedere lo spazio di manovra che può condurci alla sua vera comprensione e, di conseguenza, a formulare una prima risposta all’esigenza umana che ha dato vita alla filosofia.

Laureato in filosofia, lavora nel mondo della comunicazione e dell'organizzazione culturale. Coordinatore della redazione di questa rivista, ha pubblicato il saggio filosofico "Bergson oltre Bergson" (ETS, Pisa, 2018) e "La spedizione italiana al K2" (Res Gestae, Milano, 2024)

Lascia un commento

*