
Come di consueto, nel secondo fine settimana di settembre, Modena, Carpi e Sassuolo diventano le capitali della Filosofia. Anche quest’anno, infatti, si è svolto il tradizionale festivalfilosofia, centrato sul tema della gloria. Una tre giorni ricchissima e soprattutto inaspettata. Il sole e le temperature tardo estive hanno accompagnato più di duecento incontri nelle piazze delle tre città, invase da un popolo silenzioso e discreto, come quello amante della filosofia.
Per l’edizione 2014 RF era accreditata come stampa al festivalfilosofia. Di seguito riportiamo brevemente solo due (per motivi di lunghezza) delle lezioni cui abbiamo assistito e di alcune attività collaterali che hanno animato le città emiliane durante i tre giorni del festival.
La prima bella scoperta del festival è stato il professor Carlo Galli, dell’università di Bologna. La sua lezione, in piazza Grande a Modena, si è concentrata sul ruolo delle elites, sul potere e la gloria.
Galli ha ripercorso con una lucidità ed una chiarezza espositiva notevole tutto il tragitto all’interno dell’occidente del concetto di gloria, che egli ha definito essenzialmente politica. La polìs ha bisogno di gloria, perché attraverso la gloria mostra se stessa e la sua bellezza all’esterno. Per Roma il discorso è lo stesso: la gloria non è una faccenda privata, ma politica.
A questo stato di cose non poteva che opporsi il cristianesimo, per il quale la gloria non è degli uomini (al massimo è dei risorti), ma è di Dio – e solo i santi ne partecipano agli altari.
Chi, nel Rinascimento, riporta la gloria sul suo terreno originario è Machiavelli (Il principe, XXV), secondo il quale l’agire umano è mosso dalla gloria o dagli interessi. La politica è una manifestazione potente che si iscrive nel tentativo di raggiungere la gloria terrena.
La modernità, iniziata poco dopo Machiavelli vede apparire una grande risata sulla gloria europea, dice Galli, con il Don Chischotte di Cervantes. Il grande Hobbes (padre della politica moderna), sulla scia di Machiavelli, riporta ancora di più la gloria nell’ambito del politico assumendola come uno dei motivi più alti di indeterminatezza nella vita associata. Ella crea conflitto, perché gli uomini la trasfigurano: nella loro essenza essi sono vanagloriosi, cioè non vogliono il valore che gli altri danno loro, ma pretendono di autovalutarsi. Da questa situazione (la quale, spiega Galli, è politica, ma anche antropologica) non se ne esce se non attraverso il contratto, con lo stato.

D’ora in poi la gloria di stato sono gli onori, le onoreficenze. Grazie a ciò Nietzsche potrà scrivere che chi vuole la gloria deve congedarsi dagli onori. L’onore e l’onoreficenza sono misurabili, sono una concessione che lo stato fa ad un suo cittadino/suddito.
Nonostante questa storia, afferma Galli, le elites moderne non hanno tendenza ad acquisire la gloria (se non nei momenti rivoluzionari). Le elites prediligono il potere. La vera fondazione della politica moderna, allora, non sono le “gesta gloriose”, ma la ricerca costante del potere.
La gloria da eccesso è divenuta eccezione.
In Italia, conclude Galli, negli ultimi trent’anni, da una situazione costituzionale nella quale la gloria si riconosce attraverso le onoreficenze – e che quindi non induce i cittadini a cercare la gloria -, si è tornati ad un rapporto molto stretto fra ambito politico (nel senso lato del termine) e la gloria. Vi sono nuove elites che acquistano potere in modo direttamente proporzionale rispetto all’acquisizione di gloria, e allora la gloria è diventato l’obbiettivo di una classe, non certo elitaria, che ricerca una modalità di “utilizzo” della Gloria, guardando al suo lato sentimentale e strumentale, al suo lato dell’apparenza. Si cerca di essere gloriosi senza aver avuto dei meriti o aver compiuto atti notevoli.
Questa smisurata ricerca di gloria è una forma a-politica che porta, secondo Galli, a perdere di vista le concentrazioni di potere, invece, in mano a delle elites sempre più ristrette.
In un certo modo anche lo psicoanalista Massimo Recalcati ha parlato di questa deriva della gloria a livello personale, o meglio della mancanza della “gloria del padre”. Cosa resta, si è domandato Recalcati, della “gloria del padre”, cioè della figura paterna che è la figura di colui che impone i limiti perché mette in evidenza l’impossibile?
Recalcati ha provato a rispondere a questa domanda in una lezione che ha strappato applausi ad una piazza gremita, affascinata da una straordinaria capacità di analisi e di esposizione.
Cosa succede, insomma, nel nostro tempo che sembra fare a meno del padre?
Con Nietzsche possiamo dire di essere nel tempo della morte di Dio, dove si è anche rotto il legame che il padre ha sempre costituito fra l’interdizione e la donazione al figlio. Senza questo legame la legge impazzisce, diventando assoluta; oppure diventa godimento immediato dell’istante, cioè desiderio senza legge che diviene un capriccio e, in ultima analisi, schiavitù. Ecco, dice giustamente Recalcati, uno dei mali del nostro tempo: l’assoluta incapacità di “regolare” il desiderio.
Come se ne esce? Se ne può uscire attraverso una via nostalgica, ovvero il ritorno al padre-padrone, ma che è qualcosa di obsoleto oramai. Oppure se ne esce – e qui Recalcati ha preso ad esempio il romanzo di McCarthy, La strada – attraverso una via di mezzo fra il nichilismo anarcoide e deleuziano ed il ritorno al passato.
Nel romanzo di McCarthy, ad un certo punto, il padre sfiora il torace del bambino, in modo quasi materno, come fosse custode della sua vita, e non come una guida. Egli, il padre, nel romanzo, chiede al figlio – sul punto di morte – di tenerlo in vita, attraverso il ricordo.
Il figlio Telemaco è la continuazione del figlio di McCarthy; egli è il figlio giusto. Egli è il figlio giusto perché si oppone a Narciso e ad Edipo (rispettivamente colui che non ha esperienza della legge e colui che combatte il padre); egli è il figlio giusto perché sa cosa significa ereditare in modo non passivo, ma come ri-conquista, ciò che è stato dato, donato, dal padre. Telemaco sa bene che per riportare la legge ad Itaca deve rinsaldare l’alleanza con la vecchia generazione, perciò attende il padre. Poi decide che non basta attendere, non può rimanere paralizzato nell’attesa; e allora Telemaco si mette in viaggio, andando incontro al padre, cercando sue notizie, permettendo così il suo ritorno ad Itaca, a scacciare l’illegalità (i Proci).
Da questa storia di Telemaco, dice Recalcati, possiamo allora capire che ogni figlio giusto deve fare esperienza dell’assenza, sempre presente, del padre. E perché ciò succeda è necessario che il padre si faccia testimonianza per il figlio.

Oltre alle lezioni, il festivalfilosofia è stato colmo di eventi più “aperti”, presidiati da vari personaggi della cultura e dell’arte. È stato il caso di Alessandro Baricco, che ha tenuto una lezione su Achille e l’Iliade, o di Samuele Bersani che ha parlato per un’ora della sua esperienza musicale, suonando poi qualche suo brano al pianoforte.
Sabato 13, in piazza Grande, a Modena, era il turno di Emanuele Severino, che ha tenuto una lezione intitolata La Gloria (come uno dei suoi libri più famosi). La lezione di Severino è stata affascinante e prorompente, impossibile da ricapitolare. Perciò ve ne forniremo una trascrizione con commento nei prossimi giorni, qui su RF.