Era il lontano 1885 quando Nietzsche concluse la sua opera più importante, il Così parlò Zarathustra, con queste parole:
Orsù! Il leone è venuto, i miei figli sono vicini, Zarathustra si è maturato, la mia ora è venuta: – Questo è il mio mattino, la mia giornata comincia: su, vieni su, grande meriggio! (Nietzsche 2010, 382)
Il suo appello alla nascita del superuomo aveva raggiunto la sua formulazione più completa, dopo la “dinamite” e la “filosofia con il martello” dei primordi che gli avevano permesso di aprirsi un varco nell’affollato campo della filosofia; finalmente il suo pensiero, la sua creatura, era maturo. Egli stesso era persuaso che se non tutta l’umanità, almeno alcuni eletti al suo interno, seguendo le orme del suo viaggiare sarebbero riusciti ad oltrepassarsi e dare vita ad un essere nuovo, un essere moralmente superiore: il superuomo.
Sono più di cento anni ormai, che la filosofia contemporanea continua ad addentrarsi nel labirinto di aforismi e frammenti in cui si articola la riflessione di Friedrich Nietzsche. Il che si traduce in più di un secolo di letture, riletture, interpretazioni, reinterpretazioni, interpretazioni delle interpretazioni; una letteratura critica vastissima che ha segnato in maniera indissolubile tutto il Novecento. Lo stesso Novecento i cui albori avevano assistito alla sua morte corporale – giacché la malattia mentale da cui era affetto, l’aveva sottratto al mondo già da una decina di anni (basti ricordare il celebre episodio del 3 gennaio 1889 a Torino, quando Nietzsche abbracciò un cavallo che veniva frustato violentemente dal vetturino, prima di crollare in preda ad una crisi di nervi: Safranski 2004, 339 – e nel quale il filosofo aveva riposto tutte le sue maggiori speranze per la nascita di una nuova umanità.
Quella degli uomini superiori cui è dedicata tutta la quarta parte del Così parlò Zarathustra, dei pochi che sarebbero stati capaci di reggere il peso della morte di Dio, perché:
Da quando egli giace nella tomba, voi siete veramente risorti. Solo ora verrà il grande meriggio, solo ora l’uomo superiore diverrà – padrone!
Avete capito queste parole, fratelli? Voi siete spaventati: il vostro cuore ha le vertigini? Vi si spalanca, qui, l’abisso? Ringhia, qui, contro di voi il cane dell’inferno?
Ebbene! Coraggio! Uomini superiori! Solo ora il monte partorirà il futuro degli uomini. Dio è morto: ora noi vogliamo, – che viva il superuomo (Nietzsche 2010, 333-334)
Eppure, risulta piuttosto facile immaginare che nonostante il tempo trascorso dalla comparsa delle sue opere, Nietzsche ancora oggi faticherebbe a riconoscere nell’umanità contemporanea il prodotto di quel processo emancipativo ed evolutivo di cui si era fatto profeta per bocca di Zarathustra. In troppi non sono riusciti ad attraversare l’abisso che si è spalancato sotto il loro piedi dopo l’annuncio dell’aforisma 125 di Gaia scienza: «Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso!» (Nietzsche 1991, 150) . Il “nichilismo europeo” — come definì lo stesso Nietzsche la tendenza culturale che si sarebbe affermata nel Novecento — non ha avuto la forza di oltrepassarsi in direzione di quel superuomo autodeterminato e autodeterminantesi nel quale il filosofo tedesco aveva riposto le sue speranze migliori. Volendo però fare lo sforzo di immaginare quali potrebbero essere state le cause principali della mancata realizzazione dell’auspicio nietzscheano, sicuramente la nostra attenzione finisce per ricadere su due responsabili in particolare, una “esterna” e una “interna”: l’abbondanza di contributi critici fuorvianti, e la degenerazione dell’umana volontà di potenza nel dominio della tecnica.
La tendenza ad analizzare i contributi precedenti in una data materia, per metterne alla prova i passaggi più incerti con l’intento di proporne una migliore formulazione, o anche un totale stravolgimento, è nella natura stessa della riflessione filosofica. Nel caso delle letture critiche di Nietzsche tuttavia, la questione è ben più complessa: in primo luogo per via della convinzione che la contemporaneità abbia perso la Verità:
La novità nella nostra attuale posizione verso la filosofia è una convinzione che finora non fu propria di nessuna epoca: che cioè non possediamo la verità (Nietzsche 1964, 306-307)
Quest’apparente mancanza di punti di riferimento chiari, unita alla scrittura per aforismi che sicuramente complica di molto l’acquisizione di una visione d’insieme esaustiva, ha finito col prestare il fianco a letture che — laddove non li inventano tout court — pongono al centro nuclei concettuali del tutto secondari. Ho in mente tutte le varie declinazioni politiche date del pensiero nietzscheano che pretendono di far passare come chiave di lettura dell’intero corpus delle opere di Nietzsche una qualsivoglia corrente politica, sia essa di destra o di sinistra (cfr Losurdo 2004). Tuttavia non bisogna lasciarsi ingannare da simili stratagemmi linguistici, perché, pur richiedendo un sacrificio cospicuo in termini di facilità di comprensione, nondimeno, favorendo il connubio tra il concetto filosofico e la metafora poetica, questi si propongono di recuperare un approccio alla verità che ormai è andato perduto: quello della saggezza antica. Una prospettiva quest’ultima, messa sapientemente in luce dall’analisi di Karl Löwith (Löwith 1982) che propone di riprendere alla lettera quanto sostiene lo stesso Nietzsche alla fine della prefazione di Aurora:
Un libro del genere, un problema del genere non ha fretta: inoltre, noi siamo entrambi amici del lento, tanto io che il mio libro. Non per nulla si è stati filologi, e forse lo siamo ancora: la qual cosa vuol dire, maestri della lettura lenta (Nietzsche 1964, 8)
Lowith sottolinea la necessità di una lettura molto attenta e ponderata di ogni singolo passaggio, perché nella ricchezza di riferimenti impliciti ed espliciti contenuti in ogni aforisma, si nasconde una fitta trama di rimandi interni; e solo comprendendo questa si può pensare di provare ad attingere alle profondità degli abissi nietzscheani. Non si tratta quindi tanto di guardare ai contenuti che le varie letture critiche danno, non perché non siano preziosi, anzi, quanto al rigore metodologico dell’analisi che propongono. Perché la filosofia di Nietzsche non è l’accozzaglia caotica di massime che emerge da certe letture, bensì un percorso ponderato che si propone di mostrare al lettore la via che conduce all’oltrepassamento della propria condizione, un percorso che è contemporaneamente il suo stesso percorso . Al lettore attento non sfuggirà di certo il sottile gioco di richiami che legano indissolubilmente il superamento della morale e la morte di Dio all’affermazione del nichilismo, e di qui alla consapevolezza del potere autodeterminante della volontà di potenza e alla comprensione dell’eterno ritorno quali trampolini verso la nascita del superuomo. Un itinerario filosofico tutt’altro che esente da svolte brusche e contraddizioni, ma che ciononostante non perde la sua forza, anzi, finisce col favorire l’emersione del carattere aporetico di certune posizioni filosofiche, come metterà sapiente in evidenza il filosofo italiano Emanuele Severino (si veda Severino 1999).
Proprio dal contributo severiniano, prende il via l’analisi di quella che precedentemente è stata definita la causa “interna” al pensiero nietzscheano, del mancato avvento del superuomo. Il passaggio decisivo sta nella comprensione del ruolo dell’umana volontà di potenza, il quale può essere compreso a pieno, solo dopo l’affermazione del nichilismo. Morto Dio infatti, sono venuti meno tutti quei “tu devi” che arginavano il suo pieno esercizio da parte dell’uomo, e si apre l’orizzonte dell’autodeterminazione di sé. L’assenza di punti di riferimento predeterminati rende possibile l’esercizio reale della propria libertà. Qui è doveroso precisare che il pensiero di Nietzsche incappa in una delle sue più evidenti contraddizioni, giacché egli avanza contemporaneamente la pretesa che l’esercizio della propria volontà di potenza consenta all’uomo di oltrepassare se stesso accettando la verità dell’eterno ritorno dell’identico, però contemporaneamente lo inserisce all’interno di un contesto dominato dalla necessità dell’eterno ritorno stesso, la quale esige che tutto ciò che è, sia già stato almeno una volta (Nietzsche 2010, 181). Un vicolo cieco al quale la formula dell’amor fati quale soluzione conciliatrice pone solo parzialmente rimedio, ma proprio in questo punto si apre una doppia via: la prima è quella auspicata dalla proposta nietzscheana per cui l’uomo superiore impari a rovesciare il proprio disprezzo in amore per “l’anello del ritorno”, elevandosi così al grado di superuomo; la seconda è quella messa in luce dall’analisi della contemporaneità proposta da Severino. Su quest’ultima in particolare vorremmo soffermarci, per far notare che con l’espressione ultimo uomo Nietzsche si riferisce ai suoi contemporanei, alla massa che predica la propria esaltazione dell’uguaglianza di tutti e che si batte per trascinare al suo interno chiunque tenti di elevarsi al di sopra, a positivisti e romantici della propria epoca, accecati da se stessi e dal proprio ruolo di protagonisti del tempo (Nietzsche 2010, 10-12), affollatori della la piazza del mercato in cui vacillò Zarathustra (Nietzsche 2010, 3-19) e che tale concetto non sia stato superato, ma anzi, se possibile è ripiombato ancora più a fondo, sotto il giogo di una nuova dominazione: quella della tecnica. Pur senza averlo colto a pieno, lo stesso Nietzsche aveva compreso il ruolo decisivo della necessità che regola l’eterno divenire in circolo del tempo al fine di costituire un freno al delirio d’onnipotenza dell’uomo. Questo però l’ultimo uomo non l’ha saputo cogliere, e probabilmente non sarà mai in grado di farlo, accecato com’è dalla propria volontà di potenza – inconsapevole e quindi incapace di orientare l’agire oltre l’uomo stesso – e dal desiderio di essere l’unico arbitro del reale; ora che Dio non c’è più, è la tecnica ad averne preso il posto. Questa è il nuovo idolo di fronte al quale l’umanità ha deciso di inginocchiarsi in vece delle vecchie morali, un idolo in grado di dare la percezione della prossimità di un rimedio universale a qualsiasi male particolare; in altre parole quello che un tempo veniva richiesto alla divinità come miracolo, oggi lo si chiede alla scienza. Dell’amor fati e del superuomo sembra non esserci più traccia nemmeno quale auspicio futuro ormai.
Se il continuo studio dei testi nietzscheani potrà portare un giorno alla concretizzazione del suo pensiero, questo ancora non possiamo saperlo, quello che però possiamo fare nel frattempo, è mantenere vivo lo spirito critico del quale questo illustre filosofo è stato una delle massime espressioni. Esercitare con la massima onestà l’arte del pensiero, sempre in linea con l’input di Zarathustra:
Il vostro nemico voi dovete cercare, e fare la vostra guerra, per i vostri pensieri! E se il vostro pensiero soccombe, la vostra onestà deve giubilarne!
Dovete amare la pace come mezzo per nuove guerre. E la pace breve più della lunga (Nietzsche 2010, 49)
Riferimenti bibliografici
- Losurdo, Domenico, 2004. Nietzsche, il ribelle aristocratico. Biografia intellettuale e bilancio critico. Torino: Bollati Boringhieri
- Löwith, Karl. 1982. Nietzsche e l’eterno ritorno. Bari-Roma: Laterza
- Nietzsche, Friedrich. 1964. OFN volume V tomo I, Aurora e Frammenti postumi 1879-1881. Milano: Adelphi
- Nietzsche, Friedrich. 1991. OFN volume V tomo II, La gaia scienza, Idilli di Messina e Frammenti postumi 1881-1882, Milano: Adelphi
- Nietzsche, Friedrich. 2010. Così parlò Zarathustra. Milano: Adelphi
- Safranski, Rüdiger. 2004. Nietzsche. Biografia di un pensiero. Milano: TEA
- Severino, Emanuele. 1999. L’anello del ritorno. Milano: Adelphi
Abstract
It was the 1885 when Friedrich Nietzsche ended his principal work: Thus spoke Zarathustra, sure that was the time in which his philosophical son: the overman, could born also in the reality. More than one-hundred years later this wish seems to be still prophecy. Nor the great number of studies made upon his writings, neither the human nature have been able to understeand what kind of devolution fot human acting could represent the coming of a generation of overmans. Without giving up with the target of a better comprehension of Nietzsche’s fascinating philosophy, the most important thing we can do to facilitate his understanding, is studing it attentively and honestly.
Mi lascia un po’ perplesso la tua lettura in chiave prettamente metafisica, Alessandro. L’Ubermensch mi appare piuttosto come “il puro possibile”, legato alla terra e alla realtà che pure trascende. In tal senso è irrealizzabile (rectius inafferrabile) sia fisicamente sia teoreticamente, essendo colui che continuamente si supera, che vuole eternamente tramontare per vivere ancora una volta il meriggio della vita, che aspira incessantemente ad una nuova aurora e che rifiuta di farsi “soffocare” dalla spelonca asfittica della morale e della religione (quale rifugio nichilistico all’orrore suscitato dalla tragicità dell’esistenza umana). Eppure questa inafferrabilità non ne esclude la soggettività e la concretezza, la possibilità di farsi soggetto, per interpretare la realtà e creare autonomamente quei valori affermativi/attivi che un’entità metafisica non potrebbe creare, essendo quei valori medesimi espressione di una verità di vita vissuta piuttosto che di un’astratta dottrina.
Grazie Giandomenico per il tuo commento e mi scuso per il ritardo nel rispondere.
Aldilà delle interpretazioni, il problema è che questo tipo di Ubermensch non si è mai avverato.
Usando la grammatica di Nietzsche, quello che vedo è che ci sono tanti ultimi uomini che sapendo che Dio è morto pensano che tutto sia lecito se soddisfa i propri desideri. Poi c’è un’elitè di aspiranti superuomini che pensano di essere e di poter attuare come degli dei. L’oltre-uomo (robotizzato, ciberneutico, etc.) non è più fantascienza.
L’uomo pensa di poter creare e distruggere senza avere nessun limite (in questo senso parlerei di metafisica del soggetto creatore). Questa è la follia dell’uomo contemporaneo che rischia di autodistruggersi.
Se l’Übermensch come lo intendeva Nietzsche (peraltro oggetto di varie interpretazioni) non si e’ avverato, sicuramente l’ultimo uomo si e’ concretizzato. Di ultimi uomini ce ne sono tanti, tutti coloro che sapendo che Dio e’ morto pensano che tutto va bene se soddisfa i propri desideri.
Inoltre io vedo il tentativo di costruirlo un superuomo. L’uomo-macchina (cibernetico, robotizzato, geneticamente modificato) che agisce secondo codici prestabiliti (al di la’ del bene e del male), a-mortale. Il superuomo che diventa lui stesso l’immutabile capace di stare sopra, di dominare il divenire e magari viaggiare nel tempo (l’eterno ritorno?).
Certo, al momento sono solo sogni. Ma c’e’ un’elite, composta soprattutto da scienziati, che non esclude che un giorno il sogno si avveri, anche se invece di un sogno probabilmente sara’ l’avverarsi di un incubo.
Credo che il superuomo, come lo intendeva Nietzsche, sia piuttosto colui che accetta il divenire rinunciando all’idea di un immutabile capace di stare sopra.
Grazie per il contributo Maurizio. Si, può essere letto così. Ma dato che il superuomo è al centro di tutto e domina il tutto io lo leggo in chiave metafisica. Il superuomo, massima espressione della volontà di potenza, che sostituisce Dio, le Idee e tutti gli immutabili del passato.
Comunque non pretendo di dare la corretta interpretazione ma solo una chiave di lettura diversa.
Grazie ai curatori del sito per lo spazio concesso.
Nella attesa del Superuomo, offro il mio umile contributo.
Anzitutto credo sia più corretto usare l’espressione OltreUomo anzichè Superuomo, questa falsa e condiziona la comprensione di Nietzsche al punto di trovare in esso delle contraddizioni.
Certo l’Oltreuomo non è arrivato ma questo perchè ancora “Dio non è finito” : il Dio dei monoteismi ha certo iniziato a morire ma la sua fine non è ancora giunta. Perchè essa sia il nichilismo dovrà aumentare e saranno i disastri che le apocalissi, di tutto il mondo antico, ci hanno preannunciato ciò che porterà, il nichilismo e la morte del falso Dio e infine la nascita del Nuovouomo, al compimento.
Quel Nuovouomo o Oltreuomo nascerà vedendo l’errore in cui è stato portato : vedrà quel “-proprio- pensiero che deve soccombere” affiché “la propria -onestà- possa giubilarne” : deve morire l’Io-materialità, deve essere la “melete thanatou”, perchè egli possa ritrovare il Sè-onesto Vero-Uno, quella onestà stoica che lo porta al divino, Potente ma inesistente in sè.
Senza contraddizione quell’uomo vedrà una “propria (onesta) volontà” di potenza interna al divino, interna alla Verità di un eterno ritornare della vita fisica che, sempre diversa, è pur sempre ugauale a sè stessa, Vita.
@benadam49