Verità come unificazione nella Fenomenologia dello spirito (II)

Già dalle prime battute della Prefazione alla Fenomenologia dello spirito si va delineando la concezione hegeliana, secondo la quale la verità deve venire pensata in forma dinamica, così che di essa deve venire colta l’esposizione, ossia il suo estrinsecarsi, che è poi il suo divenire, fatto di forme che si succedono.

Tali forme, se considerate in un’ottica angusta, risultano essere l’una in opposizione all’altra; se, invece, vengono considerate alla luce dell’intero, allora risultano collegate (relate) fra di esse e parimenti essenziali, perché costituiscono i momenti in cui l’intero, ossia la verità pensata da Hegel come “unità organica”, si articola e si esprime (manifesta).

Una nuova domanda, che il testo di questa Prefazione ci suggerisce, è la seguente: nel dichiarare che il vero e il falso non possono venire rigidamente contrapposti – e che l’uno tende a capovolgersi nell’altro – nonché nel far valere l’intero come sintesi di determinazioni diverse, finanche opposte, Hegel intende forse sostenere il primato della contraddizione, in modo tale che di fatto finisce per assumere la verità come la contraddizione stessa?

Non sarà inutile ricordare che l’hegelismo cosiddetto “di sinistra”, cioè quel filone di pensiero che prende avvio dagli scritti di Marx ed Engels e si conclude con il programma del materialismo dialettico esposto in varia guisa e da molteplici marxisti, valorizza proprio la contraddizione e intende la dialettica nel senso che essa non farebbe che esprimere il dinamismo insito nella contraddizione.

La realtà, per questa concezione, sarebbe contraddittoria così come la materia, che della realtà costituirebbe l’essenza ultima (la determinante in ultima istanza), e precisamente per questa ragione realtà e materia sarebbero in continuo divenire. La contraddizione, infatti, non è uno status, ma una condizione instabile e per questo tende a superarsi.

Se non che, il superamento della contraddizione viene pensato, dalla prospettiva indicata, come un procedere orizzontale, le cui tappe sono costituite dalle singole determinazioni, le quali sono appunto in continua trasformazione.

In tal modo, non si perviene ad un superamento della contraddizione, ma quest’ultima permane la verità ultima della realtà, di ogni realtà: della realtà materiale, cioè della natura, come della realtà economica e sociale.

In effetti, Hegel non considera di certo la contraddizione come la verità e per avvalorare questa nostra affermazione basterebbe citare quanto egli scrive nell’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio: “Ciò che muove il mondo in generale è la contraddizione, ed è ridicolo dire che la contraddizione non può essere pensata. Quest’affermazione è giusta solo in quanto non ci si può accontentare della contraddizione e la contraddizione supera se stessa mediante se stessa” (Hegel 1830, 321).

Hegel non giudica la contraddizione come vera, ma solo come qualcosa di inevitabile: il pensiero intellettivo si impiglia in contraddizioni nelle quali rimane invischiato.

Di contro, la ragione supera le contraddizioni e approda all’unità dello spirito assoluto, il quale non di meno viene interpretato da Hegel come un’unità determinata, così che è da chiedersi se la contraddizione in esso sia stata effettivamente superata.

Se l’assoluto, cioè la verità assoluta, possa venire pensato come un “determinato”, ebbene questo costituisce il nodo teoretico fondamentale, sul quale ci proponiamo di riflettere.

Per procedere pazientemente, e senza saltare i passaggi necessari ad un’adeguata comprensione della tematica, torniamo al concetto principale che emerge in queste prime pagine della Prefazione: il concetto di “verità” come “unità organica”.

La cosa principale, che deve venire notata, è che Hegel parla di “unità” (Einheit). Se non che, tale unità non viene intesa come un’unità compatta, e per questo effettiva (autentica), ma come un’unità articolata, che appunto viene definita “organica” (organischen).

A nostro avviso, sarebbe stato più corretto definirla “unificazione” (Vereinigung), stante il fatto che si tratta, appunto, di una sintesi, cioè di una relazione.

A questo proposito riportiamo un importante passo di Enrico De Negri: “Per indicare questa [l’unità], lo Hegel usa Einheit; mentre per indicare l’universalità che supera la scissione e la Einheit, preferisce più spesso Einigkeit (traducibile in modo approssimativo come unione) e Vereinigung, unificazione. Quest’ultima nel suo valore supremo è l’assoluto o idea” (De Negri 19733, 47).

L’unificazione è l’idea stessa proprio perché l’intero viene concepito da Hegel come una sintesi e dire “sintesi” equivale a dire “unificazione”, cioè “relazione”.

Rileviamo che la differenza tra unità e unificazione costituisce un tema cruciale anche in questa Prefazione.

Se, infatti, l’unità non è in sé divisibile, perché è semplice, ossia elementare, di contro l’unificazione, valendo come una relazione, si costituisce come un costrutto mono-diadico, formato cioè di due termini estremi e di un nesso che li vincola (congiunge).

A nostro giudizio, tale costrutto configura la conciliazione di inconciliabili.

In esso, infatti, si postula, da un certo punto di vista, l’indipendenza dei termini, che devono presentare, ciascuno, una propria identità – diversa da quella dell’altro –, e per questa ragione ogni termine è in sé assumibile e in sé codificabile (“A” non è “non-A”).

Da un altro punto di vista, invece, si postula la dipendenza reciproca dei termini stessi, dal momento che, essendo essi in relazione, dipendono l’uno dall’altro e, inoltre, si determinano l’uno in funzione dell’altro e l’uno come funzione dell’altro (“A” in tanto si pone in quanto si differenzia da “non-A”, così che “A” senza “non-A” non può stare o, detto altrimenti, l’uno dipende interamente dall’altro).

Proprio per la ragione che l’unificazione è una relazione e la relazione, intesa come costrutto mono-diadico, configura una contraddizione, la verità autentica non può venire pensata al modo di una unificazione, cioè di una sintesi, ma di una vera unità.

Che è come dire: la verità non può non andare oltre l’unificazione e coincidere con quell’unità che, intesa come ablatio alteritatis, trascende ogni dualità, dunque ogni differenza.

Se, insomma, l’intero (la verità) viene inteso come sintesi, od anche come insieme, allora esso non costituisce un effettivo superamento della contraddizione, stante che l’intero così concepito viene risolto nella coesistenza di opposti.

Eppure, come abbiamo già visto, lo stesso Hegel afferma che “l’Assoluto solo è vero”. L’unità espressa dall’assoluto – questo è il punto che a noi interessa mettere bene in luce e, dunque, ci si permetta di insistere su di esso – non può venire confusa con l’unificazione, la quale, essendo una relazione intesa come costrutto, mantiene in sé quella conciliazione di inconciliabili che è la contraddizione stessa.

Per essere ancora più chiari, aggiungiamo che l’intero non può venire assunto come un insieme per una ragione ulteriore: come indica il suo stesso etimo, “intero” è da integrum e significa “l’intatto” e “l’intangibile”, ossia ciò che non può in alcun modo venire alterato.

Se non che, qualora l’intero fosse un insieme di elementi, allora su di esso si sarebbe già esercitata l’attività dell’analizzare, così che esso sarebbe stato necessariamente alterato e trasformato in “composto”.

Da un lato, dunque, l’attività dell’analizzare avrebbe dovuto richiedere, come propria condizione legittimante e originaria, non altro che l’intero: solo l’intero, infatti, può valere come il prerequisito dell’analisi, cioè come la condizione a parte ante del suo costituirsi.

Dall’altro, solo il composto, cioè l’insieme, costituisce ciò su cui l’analisi può effettivamente esercitarsi, perché solo il composto può venire analizzato senza venire alterato.

Ma il composto non può costituire il prerequisito dell’analisi, bensì solo il suo presupposto. Quest’ultimo, inoltre, presenta la seguente caratteristica: pretende di valere come ciò che precede l’analisi, ma in effetti ne costituisce il risultato, dal momento che si ottiene mediante l’attività del riunificare gli elementi ottenuti con l’analisi stessa.

La caratteristica del presupposto, insomma, è l’antilogia, così che lo si deve necessariamente distinguere dal “prerequisito”, che vale invece come effettiva condizione dell’analisi. Con questa inevitabile conseguenza: se l’intero è il prerequisito, allora non può valere quale presupposto.

In sintesi e per ricapitolare: l’insieme (il composto) è il presupposto dell’analisi, perché costituisce l’oggetto su cui essa può esercitarsi, senza alterarlo. Se non che, il presupposto è tale perché, a sua volta, presuppone l’analisi che lo presuppone: l’insieme, infatti, presuppone un’analisi compiuta e obliata. L’insieme, quindi, è presupposto di presupposto, all’infinito, od anche il circolo vizioso del presupporre.

Allorché Hegel intende l’intero come l’insieme delle forme che la verità ha assunto nel suo dispiegarsi, dà per scontato non solo il fatto che la verità si dispieghi – ancora, infatti, non ha offerto alcuna ragione che legittimi questa sua affermazione –, ma anche il fatto che valgano come verità le figure di questo dispiegarsi, nessuna esclusa, così che ci si viene a trovare in una moltiplicazione della verità e nella sua riduzione a determinazione.

Se, infatti, la verità è un insieme di elementi, essi stessi veri, allora la verità risulta molteplice e determinata, perché sono determinati tanto gli elementi quanto l’insieme che di essi si costituisce.

Ebbene, il punto che deve venire sottolineato con forza è precisamente questo: Hegel sceglie di identificare la verità con l’unificazione, e non con l’unità, per la ragione che nell’unità – la quale, se è autentica, non può non valere quale esito dell’ablatio alteritatis – il determinato viene meno.

Va aggiunto, inoltre, che, con il venir meno del determinato, viene meno anche la contrapposizione di determinato e indeterminato, nella quale anche l’indeterminato viene, di fatto, determinato, stante il suo valere come “termine” in relazione.

Hegel pretende, quindi, di conciliare due aspetti che, a nostro giudizio, sono inconciliabili: l’assolutezza et la determinatezza della verità. Precisamente per questa ragione sceglie di assumere come verità ultima l’unificazione e non l’unità.

 

Riferimenti bibliografici

  • De Negri, Enrico.  19733. Interpretazione di Hegel. Firenze: Sansoni.

  • Hegel, Georg Wilhelm Friedrich. 1830. Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften im Grundrisse (1830), in Sämtliche Werke, dritte Auflage der Jubiläumsausgabe, Bd. 6, hrsg. von H. Glockner. Stuttgart-Bad Cannstatt: Frommann-Holzboog, 1968 (trad. it. di V. Verra, 1981. Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, Parte Prima, La scienza della logica. Torino: Utet).

 

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