Togliere la sordina a Machiavelli

Il 2013, come ormai noto, sarà dedicato alla celebrazione dei cinquecento anni dalla pubblicazione del Principe di Machiavelli. Ormai dall’inizio dell’anno, ogni settimana, è un susseguirsi di  convegni, seminari, trasmissioni radiofoniche, saggi e articoli sul tema in questione. L’ultimo è quello apparso oggi sul Foglio di Giuliano Ferrara. Due pagine scritte da Stefano Di Michele il quale vuole tratteggiare una lettura sui caratteri biografici e intellettuali del segretario fiorentino. Nel sottotitolo si dice che Il Principe è «il libro più importante dei tempi moderni, un impasto di arte della politica, filosofia della storia, scienza e tattica del potere, psicologia dell’esistenza affacciata sul vuoto». L’articolo, costruito in gran parte sugli aspetti biografici, si sofferma essenzialmente sulla disgrazia di Machiavelli impegnato, suo malgrado, nelle bettole e nelle osterie nelle quali trascorse la seconda parte della sua vita a causa dell’esilio nel quale fu condannato a partire dal 1512. Di Michele ricorda così come il Principe sia nato da una grande ed umanissima disperazione, «quella di un genio stanco e umiliato che tentava di tornare al centro delle cose».
E tuttavia anche questo articolo, come molti contributi che fin qui abbiamo letto in questo inizio di centenario, dimentica (chissà se più o meno consapevolmente, vista l’impostazione dichiaratamente “devota” di quel giornale) il fatto che Machiavelli è stato essenzialmente e prima di tutto un autore anticristiano. E questa verità, da cui non si può prescindere se si vuole davvero affrontare il pensiero di questo autore, ce l’ha ricordata in una recente trasmissione su Radio 3 proprio Gennaro Sasso, il più grande ed acuto studioso di Machiavelli che abbiamo oggi in Italia. Machiavelli non è tanto e solo un pensatore anticlericale (anzi si può in realtà dubitare che esso lo sia effettivamente), quanto un pensatore che ha messo in crisi i fondamenti del pensiero cristiano. Trascriviamo, perché lo merita, la parte finale del dialogo dello studioso con l’intervistatore:
Sasso: Mi sono convinto di una cosa: che questo autore non è mai stato letto nelle cose essenziali (…). È possibile che non abbiamo capito che per Machiavelli l’Italia non esisteva, non riusciva ad esistere e che bisogna fondarla in modo profondo? E che per fondarla in modo profondo bisognava realizzare una serie di riforme etico-politiche in cui il problema fondamentale fosse il rapporto con la Chiesa? Perché questo è il nocciolo del pensiero di Machiavelli. Lei prima citava la Svizzera: ma Machiavelli dice che se noi trasportassimo la sede della Chiesa romana nella incorrotta Svizzera in capo a due generazioni la Svizzera sarebbe corrotta come noi. E questo anticipa il punto per cui la storia italiana è nata…(interrotto, ndr)
Intervistatore: Ma allora questa ferita è originaria, intatta!
Sasso: Sì…sì…In questo senso Machiavelli è veramente un autore rivoluzionario che è stato messo tra parentesi, che è stato allontanato…Perché io sono convinto che anche i più grandi estimatori di Machiavelli, nel dettaglio, non hanno mai veramente detto che Machiavelli non è uno scrittore cristiano. Potrà piacere, potrà dispiacere, uno può anche rimanere indifferente per rispetto a questa questione. Scientificamente però uno ne prende atto. Machiavelli non è uno scrittore cristiano e lo dice, lo dice…e lo scrive e sposa dottrine che sono definite anti cristiane nell’ambito della cultura teologica. In un capitolo dei Discorsi Machiavelli scrive sulla eternità del mondo. Ora, quando uno dice che il mondo è eterno, vuol dire che non è creato e se il mondo è eterno non c’è Dio che lo crea. Adesso, per dire le cose in maniera molto, molto…(interrotto, sigh, ndr)
Intervistatore: Ma allora Gennaro Sasso sta elevando la categoria del non cristianesimo o anticristianesimo di Machiavelli ai fondamenti…
Sasso: Guardi, avendo avuto la ventura di studiarlo per molti e molti anni e di esserci tornato spesso, mi sono reso conto tardi di questa cosa, me ne sono reso conto tardi. Perché? Ma perché c’era un condizionamento a tenere in sordina questo tema, a considerarlo una nota di anticlericalismo…(nuovamente interrotto, sigh, ndr)
Intervistatore: Soprattutto qualcosa legato ai tempi, alla particolare corruzione, i Borgia…
Sasso: Se uno considera l’atteggiamento di un altro grandissimo personaggio contemporaneo di Machiavelli, Francesco Guicciardini, nei confronti della Chiesa, beh le pagine di Guicciardini sono ancora più potenti di quelle di Machiavelli nella esecrazione della Chiesa. Chiesa che poi, d’altra parte, il Guicciardini era costretto a servire a differenza di Machiavelli…Ma non si può dire che Guicciardini sia anticristiano…per Machiavelli sì e su questo bisogna battere l’accento: può piacere, può dispiacere ma Machiavelli è questo. Ed è per questo che non è un autore della letteratura italiana e chi si è avvicinato a Machiavelli, anche laicamente, ha messo la sordina su questo punto.
Intervistatore: Allora questa sordina l’abbiamo strappata!

Sì l’abbiamo proprio strappata, aggiungiamo noi. Ora deve decidersi a farlo anche la cultura e il pensiero storico-filosofico italiano (e possibilmente anche quello della divulgazione quotidiana) se non si vuole condannare al permanente esilio post-mortem questo straordinario pensatore.

Insegnante con dottorato di ricerca in Filosofia. Vive e lavora a Nocera Umbra, autore del podcast che prende il nome dal suo motto: Hic Rhodus Hic salta.

1 Comment

  1. Gennaro Sasso al suo meglio. Non è facile esprimere certi concetti nell’ambito di un’intervista radiofonica, con l’intervistatore che incalza e interrompe (il retro-pensiero del giornalista sembra essere questo: siamo riusciti a trasformare la politica in cabaret, perché non dovrebbe mutarsi la scienza in avanspettacolo?)
    L’idea che il pensiero di Machiavelli debba essere inteso quale discorso radicalmente acristiano è una delle idee più feconde proposte da Sasso. E veramente -a mio modo di vedere- l’affermazione dell’eternità del mondo è il nucleo pulsante del pensiero di Niccolò, quello che poi innerva tutto la sua opera.
    Nelle cose umane “nulla si crea e nulla si distrugge”: Gennaro Sasso rinviene l’eco profonda di questa idea quando esamina -ad esempio- la valutazione di Machiavelli circa la trasformazione e la decadenza dell’ imperium della Roma antica. Niccolò costruisce l’ideologia dell’ imperium in termini di permanenza. L’ imperium costituisce la manifestazione prioritaria della distribuzione della virtù nel mondo reale e dunque nell’esperienza storica: esso è permanente, mutando solo i termini di tale distribuzione. Dice Sasso: «Era in altri termini, quella che Machiavelli descriveva, la permanenza del sistema all’interno del quale la virtù s’alterna con la non virtù senza che per questo si abbia una diminuzione del quantum intrinseco all’una, all’altra, e al sistema stesso» (Sasso, 116). E cos’è, dunque, codesta “permanenza”, se non la manifestazione esteriore dell’eternità del mondo?
    Così definito il fuoco della questione, Sasso fa un passo in più: se l’idea dell’ imperium come connotato essenziale dell’antichità acquista senso soltanto nell’ambito di una concezione che riconosca il mondo come eterno, allora nel pensiero di Niccolò è il cristianesimo a definire la fine dell’antichità e, viceversa: «se l’antico avesse mai a risorgere con i suoi caratteri autentici, l’esserci di nuovo della res publica imperiale significherebbe il necessario non esserci più del cristianesimo» (Sasso, 104). Nel pensiero di Machiavelli, dunque, Sasso legge l’intrinseca e radicale incompatibilità fra antichità e cristianesimo, appunto in relazione all’accettazione o al rifiuto dell’idea dell’eternità del mondo.
    Incidentalmente, va osservato come tale incompatibilità non innesti però catene causali: l’antichità non cade “a causa” del cristianesimo, come finirà invece per concludere la storiografia dell’illuminismo (per tutti: Gibbon, II, XXXVIII). L’accenno in tal senso in Discorsi II, V, 4 («La quale cosa si conosce considerando e modi che ha tenuto la setta cristiana contro alla gentile; la quale ha cancellati tutti gli ordini, tutte le cerimonie di quella, e spenta ogni memoria di quella antica teologia») è troppo tenue per individuare nel pensiero di Niccolò un collegamento causale fra cristianesimo e decadenza dell’antichità che è ancora di là da venire.

    Trovo questo pensiero di Sasso profondamente convincente, e confermato giorno per giorno -da cinquecento anni- dalla storia di questo disgraziato paese.

    Altre sensibilità (ed altri contesti storico-politici) hanno però declinato il pensiero di Machiavelli in termini diversi. Autori che hanno affermato come, nel pensiero di Machiavelli, sparsi qua e là «come papaveri in un campo di grano, troviamo numerosi riferimenti a Dio», e che hanno dunque definito il Dio di Machiavelli come «il creatore, la divinità somma, provvidenziale, reale, universale; un Dio dai molti nomi, personale, che si può invocare, ringraziare, venerare; un giudice, giusto e misericordioso, che ricompensa e punisce, che incute timore, una forza trascendente, separata dal mondo ma operante su di esso» (de Grazia, 69 e 468-469). Questo filone di pensiero tende a ritenere che Machiavelli «aveva indicato l’esigenza di riformare la religione cristiana riportandola ai princìpi originali e aveva del pari esortato a reinterpretare il contenuto morale della religion cristiana secondo la virtù», sul presupposto che «Machiavelli trova il suo Dio nella tradizione del cristianesimo repubblicano che viveva a Firenze», tradizione che «si fondava sul principio che il vero cristiano è il buon cittadino che serve il bene comune e la libertà per realizzare il disegno divino nel mondo» (Viroli, 205 e VIII).

    Letture affascinanti, certo, ma che trascurano, a mio modo di vedere, un dato essenziale, che è appunto il cardine sul quale ruota invece la riflessione di Sasso: il mondo del cristiano non è eterno, quello di Machiavelli lo è. Chi vuole parlare di Machiavelli cristiano è allora costretto a definire un cristianesimo che perde di vista il suo presupposto fondativo (la non eternità del mondo) e finisce con l’ancorarlo ad elementi del tutto accidentali: la morale, la virtù, la libertà, il bene comune. Operazione che non condivido e che –a contrario– mi pare confermi la fecondità dell’idea di Sasso.

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    Ho citato (in ordine di apparizione):
    – Gennaro Sasso, Niccolò Machiavelli, Vol. II, La storiografia, Il Mulino, Bologna, 1993;
    – Sebastian de Grazia, Machiavelli in Hell, Princeton University Press, Princeton, 1989 (traduzione italiana: Machiavelli all’inferno, Laterza, Roma-Bari, 1990);
    – Maurizio Viroli, Il Dio di Machiavelli e il problema morale dell’Italia, Laterza, Roma-Bari, 2005;
    – Edward Gibbon, The History of the Decline and Fall of the Roman Empire, London, 1776-1789 (fra le numerose traduzioni italiane, ho indicato: Storia della decadenza e caduta dell’impero romano, Einaudi, Torino, 1967, nella nuova edizione del 1987).

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