La vita di Spinoza è un argomento affascinante. Alcuni hanno pensato che lo stile posato e placido potesse rivelare molto della sua filosofia; altri l’hanno definita come attraversata da una falsa modestia. Quel che è certo è che Spinoza non ha condotto una vita frizzante, mondana o sopra le righe. È per questo che Borges tratteggia uno Spinoza curvo e in disparte, impegnato a superare di gran lunga lo strato della superficialità. «[…] Qualcuno costruisce Dio nella penombra. / Un uomo genera Dio. È un ebreo / Di tristi occhi e di pelle olivastra […]» (Borges, 2002).
L’Epistolario spinoziano – ben più degli accenni biografici che si possono trovare sparsi fra le sue opere – è quindi un luogo interessante per ritrovare uno Spinoza privato, amichevole, che discute vivacemente di filosofia e di temi a lui cari. Come si fa notare in più di un’occasione nel recente Amice Colende. Temi, storia e linguaggio nell’epistolario spinoziano (De Bastiani, Manzi-Manzi, 2021), le lettere non possono leggersi come “parafrasi” dello spinozismo. Vorrebbe dire depotenziarle, renderle puro mezzo di speculazione. Ogni testo, invece, acquista una sua forma e una propria forza rispetto all’oggetto verso cui è diretto. Nella prassi del discorso (intendiamo qui la parola discorso nella sua accezione meno prescrittiva possibile) l’interlocutore non è mai neutro. Se non lo è per i libri, figuriamoci per l’epistolario privato.