La Storia pensata dalla linea di lotta

Come per Heidegger, anche per Hannah Arendt l’indagine sulla storia è centrale per stabilire il destino dell’uomo. Per entrambi è necessario un “salto”. In che modo? Arendt, a differenza di Heidegger, ha il pregio di ripercorrere in modo puntuale i percorsi filosofici tramite i quali si è arrivati alla condizione odierna mostrando, riferendosi alla parabola di Egli tratta da un racconto di Kafka, come quel salto sia reso difficile dal fatto che l’uomo è stretto tra due forze antagoniste, quella del passato e quella del futuro, in cui rischia di soccombere. La prospettiva è quella già profetizzata da Tocqueville: «Siccome il passato ha smesso di gettare luce sul futuro, la mente dell’uomo vaga nell’oscurità».
Nonostante ciò, Arendt non cessa di fare affidamento sul pensiero, unica risorsa dell’uomo contro la catastrofe. In Tra passato e futuro pubblicato nel 1961, la scrittrice (come usava definirsi) si esercita in otto saggi il cui unico obiettivo è quello di acquisire esperienza su come pensare. Tra di essi spicca Sul concetto della storia il quale riunisce molteplici spunti, a volte di difficile lettura, a volte tortuosi e tali da apparire fuorvianti ma il cui filo non è difficile rintracciare.

Erodoto, Vico e la tecnica
Anche per Arendt, ruolo decisivo nel cambiamento storico è attribuito alla tecnica. Con l’idea di processo, la tecnica è prima di tutto responsabile della cancellazione della differenza tra scienze naturali e scienze umane. In questo modo, essa è riuscita a saldare il regno della storia con quello della natura: l’uomo non è più interessato al singolo evento o alla singola azione, ma il processo diventa il vero protagonista e il comune denominatore della storia. Ogni fatto, ogni cosa è ormai diventata funzione di un processo storico. Non era così nell’antichità, che invece si affidava al concetto di immortalità. È per questo infatti che, con Erodoto, nasce la storia: ricordare le azioni degli uomini che altrimenti sarebbero cancellate dal tempo. Questa prospettiva fu confermata con il sigillo della verità da Vico con la sua dottrina del verum factum: se l’uomo è incapace di arrivare a conoscere interamente il mondo naturale, egli conosce la storia perché lui ne è l’artefice. La storia è fatta dagli uomini, così come la natura è fatta da Dio.

I due fatti decisivi della modernità
In epoca moderna però si verificano due fatti che mutano la prospettiva su cui era fondata la storia.

Il primo fatto è il venir meno della distinzione tra soggetto e oggetto nelle scienze naturali, a causa della scoperta che il soggetto non è più spettatore imparziale delle vicende che accadono fuori di lui. Non esiste più l’osservatore galileano che pone di fronte a sé l’esperimento oggettivo. Questo cambiamento è riassunto da un’osservazione di Heisenberg, il padre della fisica moderna, secondo cui il più importante risultato della fisica nucleare è stato il riconoscimento della possibilità di applicare diversi tipi di leggi naturali al medesimo evento fisico, e ciò senza contraddizione. In altre parole quindi, come osserva Arendt, cade l’equivoco di un’oggettività nella quale si potevano pretendere delle risposte senza domande e risultati indipendenti dal modo di porre le domande, sicché «la vecchia diatriba tra la soggettività della storiografia e l’oggettività della fisica ha perso molto della sua rilevanza».

Il secondo fatto è l’inserimento dell’azione umana nei processi naturali; l’uomo cioè diventa una sorta di Dio creatore che, a differenza di quello della tradizione religiosa, non è però in grado di comandare e prevedere le conseguenze dei processi naturali nei quali mette mano: l’uomo diventa così una sorta di apprendista stregone per il quale le scienze non rischiarano più sul fine della sua azione.

Con il verificarsi di questi due fatti, che cosa accade alle tesi dei due grandi pensatori che più di tutti hanno impostato il modo del pensare storico?
Rispetto a Erodoto, accade che l’immortalità è sostituita dalla tecnica la quale, servendosi della concezione cristiana che pone Cristo al centro della storia, procede ora in due direzioni infinite: una verso il passato e una verso il futuro. Parafrasando Nietzsche, si potrebbe dire che quella di Cristo è la vera porta carraia da cui partono due eternità, con la differenza però che, nelle mani della tecnica, la concezione cristiana lineare della storia viene interamente stravolta e il tempo si converte in un infinito senza sbocchi. L’espediente di mettere la nascita di Cristo al centro della storia (introdotto nel XVIII secolo) si rivela così funzionale allo scopo tecnico di rendere il tempo eterno in modo da permetterne la sua appropriazione infinita.
Rispetto a Vico, Arendt ritiene che egli si sarebbe rivolto alla tecnologia in quanto essa compie e realizza l’azione divina nella natura e l’azione umana nella storia. E tuttavia quello che sarebbe stato impensabile al filosofo napoletano è l’idea che l’uomo possa fare nel regno della natura ciò che egli può fare nel regno della storia. Come conseguenza di ciò, la dottrina vichiana  del verum factum perde il suo carattere di verità per diventare meramente ipotetica (secondo l’essenza della tecnica) con l’uomo che dispera di conoscere anche ciò che ha costruito con le sue stesse mani.

Conseguenze dell’avvento della tecnica e ruolo del pensiero
Arendt sviluppa il suo saggio con numerosi riferimenti a Kant, Hegel, Marx e a fenomeni come quello della secolarizzazione: a volte si tratta di vere e proprie digressioni che rischiano di far smarrire il filo argomentativo. Filo che riprende maggiore intelligibilità nel momento in cui Arendt descrive alcune conseguenze dei due fatti sopra indicati (la rivoluzione nella fisica e la manomissione dei processi naturali da parte dell’uomo).

La prima è quella per cui l’uomo, qualsiasi strada prenda, incontra sempre se stesso, le sue contraddizioni, i percorsi delle sue azioni: ormai tutti i processi della terra sono fatti dall’uomo o potenzialmente fatti da lui.
La seconda è che la distinzione tra mezzi e scopi è abolita: lo scopo infatti è interamente contenuto nel mezzo e questo significa che possiamo mettere ogni ipotesi alla prova, ovvero ogni cosa è possibile.
La terza conseguenza discende da quest’ultima: dire che ogni cosa è possibile significa affermare l’essenza del totalitarismo che si fonda, appunto, sull’idea che ogni cosa è possibile ed in cui ogni azione può essere giustificata in nome di qualsiasi interesse.

Arendt tornerà qualche anno dopo sulla parabola di Kafka dell’uomo schiacciato sulla linea di lotta tra passato e futuro. Lo farà in un poderoso saggio dal titolo La vita della mente in cui la scrittrice evidenzia il non-luogo nel quale avviene l’esercizio della filosofia. Questo non-luogo è il pensare, in cui «la lacuna tra passato e futuro si spalanca nella riflessione, il cui oggetto è costituito da ciò che è assente. (…) È solamente perché egli pensa che il passato e il futuro si manifestano come pure entità: ora egli può rendersi consapevole di un non-più che lo incalza in avanti, di un non-ancora che lo respinge indietro».

Il salto di Arendt è il salto nella regione senza tempo chiamata pensiero, in cui l’uomo non soccombe più alle due forze antagoniste del passato e del futuro ma diventa egli stesso arbitro della storia.


Riferimenti bibliografici

Arendt, Hannah. 1968. Between Past and Future.  New York: Penguin.
Arendt, Hannah. 2009. La vita della mente. Bologna: Il Mulino (ed.orig. The Life of the Mind, 1978).

Foto di Kid Circus su Unsplash

Insegnante con dottorato di ricerca in Filosofia. Vive e lavora a Nocera Umbra, autore del podcast che prende il nome dal suo motto: Hic Rhodus Hic salta.

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