Milan Kundera, lo scrittore cecoslovacco scomparso l’11 luglio scorso, appartiene a quella grande tradizione di scrittori europei (come Dante, Cervantes, Musil, Kafka, tanto per fare alcuni nomi) in cui la riflessione filosofica ha sempre avuto un ruolo di primordine. La sua principale caratteristica in tal senso era l’ironia la quale, come disse in una delle sue rare interviste, irrita non perché deride ed attacca ma perché ci priva delle nostre certezze, rivelando il mondo nella sua ambiguità. Nelle sue pagine si ritrova una vera e propria vena socratica che sconfina nello scetticismo, virtù che, a differenza di quanto si pensa, costituisce condizione del vivere felice.
In Italia Kundera è diventato celebre grazie ad un romanzo (L’insostenibile leggerezza dell’essere) spacciato dai salotti radical chic come un rifugio nella sessualità e cifra dell’edonismo degli anni ottanta con il risultato che il libro è stato venduto anche nei supermercati ma letto (e compreso) da pochi.
Un occidente prigioniero della decadenza
Kundera, che ha sempre rifiutato l’etichetta di dissidente vivendo in un Paese in cui era vietata la libertà di espressione, ha scritto sia in modo esoterico (per chi ha voglia di setacciare i suoi romanzi), sia in modo essoterico con alcuni suoi interventi pubblici. Il principale di questi è sicuramente lo scritto dal titolo Un Occidente prigioniero del 1983, pubblicato recentemente da Adelphi. Il sottotitolo del saggio è La tragedia dell’Europa centrale, riflesso a sua volta della tragedia dell’Europa e dei suoi valori costitutivi. Questa crisi è dovuta a diversi fattori, il primo dei quali il venir meno del ruolo della cultura nel mantenere viva una società e un popolo. In generale, osserva Kundera, così come un tempo Dio cedette il posto alla cultura, tocca oggi alla cultura cedere il suo. Si tratta di quella stessa cultura per cui un europeo dell’est vive l’Europa come un insieme di tradizioni e valori mentre l’Europa occidentale, non percependosi come valore in sé, non riesce a percepire nemmeno se stessa.
In particolare Kundera fa risalire a Sartre, con il suo mito dell’impegno e del ruolo dell’intellettuale nei confronti della società civile, l’origine dell’abdicazione della cultura come forza autonoma. Cosa che, nella complessiva analisi dello scrittore ceco, sarebbe stato più giusto retrodatare a quel motto di Marx secondo cui la filosofia non deve limitarsi a comprendere il mondo ma a cambiarlo, principio nel quale risiede la svalutazione della filosofia nei confronti della politica.
Il focus di Kundera rimane comunque sulla cultura dell’Europa centrale che, presa dalla passione della diversità, consente di vedere la cultura russa come «uniforme, uniformante, centralizzatrice, tesa a trasformare con temibile determinazione tutte le nazioni del suo impero (ucraini, bielorussi, armeni, lettoni, lituani) in un unico popolo russo». Egli fa riferimento ad un altro scrittore ceco (Karel Havlicek) che (già nel XIX secolo) metteva in guardia contro la russofilia idiota e priva di realismo (oh, quanti personaggi potremmo annoverare in Italia). «Ai russi piace definire slavo tutto ciò che è russo, in modo poi da poter definire russo tutto ciò che è slavo»: ecco il ruolo dell’ideologia nel sistema di potere russo che una volta si chiamava sovietico, oggi nazionalismo sostenuto dall’ortodossia. L’Europa, intesa quella occidentale, non ha notato tutto ciò semplicemente perché non sente più la propria unità come unità culturale. Date queste premesse non stupisce il fatto che la discussione sull’invasione ucraina è stata interamente caratterizzata dall’aspetto politico e geopolitico (come va di moda questa parola!) dimenticando completamente quello culturale e filosofico.
Il ruolo degli ebrei
Un posto tutto particolare nell’analisi di Kundera occupa il discorso sugli ebrei. La nazione ebraica infatti è considerata essere il più autentico difensore dei valori europei: nel XX secolo gli ebrei sono stati il principale elemento cosmopolita e integratore dell’Europa centrale, il suo cemento intellettuale, il compendio del suo spirito, i fautori della sua unità spirituale.
Ma gli ebrei sono amati da Kundera anche perché essi, così come le altre nazioni dell’Europa centrale, sono una piccola nazione. In quanto tale, gli ebrei hanno maturato una specifica diffidenza nei confronti della storia, soprattutto quella hegelianamente intesa, che dovrebbe insegnarci molte cose. «Dea di Hegel e Marx, incarnazione della Ragione che ci giudica e decide in noi, la storia è quella dei vincitori. E i popoli centroeuropei non sono certo vincitori. Sono inseparabili dalla storia europea, senza di lei non potrebbero esistere, ma di questa storia sono il rovescio, le vittime e gli outsider.(…) Non scordiamo che solo opponendoci alla storia in quanto tale possiamo opporci a quella di oggi».
La difesa della libertà di pensiero contro ogni intolleranza
Forti di questa lezione, appare così che la guerra della Russia all’Ucraina, in quanto scatenata contro una piccola nazione, nasconde non solo un attacco all’Europa occidentale (venato di profondo antisemitismo) ma anche un attacco alla libertà di pensiero. Notevole quello che Kundera dice nel Discorso al Congresso degli scrittori cecoslovacchi su letteratura e piccole nazioni fatto nel 1967 alla vigilia dell’intervento russo a Praga. Qui l’obiettivo polemico sono i vandali, descritti da Kundera come «quei letterati soddisfatti di sé e con una discreta posizione sociale, che incarnano quella superba ristrettezza di vedute la quale crede che il potere di adeguare il mondo alla propria immagine sia un diritto inalienabile, finendo così per distruggerlo». Vale la pena di riportare ancora le parole di Kundera che precorrono l’odierna cultura della cancellazione: «Un adolescente decapita in un parco una statua colpevole di superare oltraggiosamente la sua essenza umana e, dal momento che ogni atto di autoaffermazione è appagante per l’uomo, esulta nel farlo. (…) Il vandalismo contemporaneo non si manifesta unicamente in forme condannabili agli occhi della legge. Se un comitato di cittadini oppure di burocrati incaricati di un’indagine stabilisce che una statua (un castello, una chiesa, un tiglio centenario) è inutile e decide di eliminarla, non fa che mettere in atto una diversa forma di vandalismo. Fra una distruzione legale e una illegale non c’è grande differenza, così come fra una distruzione e una proibizione». Per questo motivo Kundera rinviene nel motto di Voltaire a Diderot il principio etico su cui si deve fondare la cultura moderna: «Non sono d’accordo con quanto dite, ma mi batterò fino alla morte perché abbiate il diritto di dirlo».