Nell’anno 2022, secondo il romanzo Sottomissione di Michel Houellebecq uscito il giorno della strage di Charlie Hebdo a Parigi, un governo islamico vince le elezioni in Francia e inizia un processo di islamizzazione della società. L’Occidente, ormai stanco dei Lumi, si rassegna a comprendere che la libertà è troppo impegnativa e preferisce così sottomettersi ad una legge religiosa nella quale in fondo si vive comodi e senza tante preoccupazioni. Numerosi intellettuali, battendo altre strade, hanno preconizzato scenari simili secondo una tendenza spesso isterica nata all’indomani dell’attentato alle Torri Gemelle quando il cielo limpido di New York fu offuscato dal fumo dovuto al crollo di quegli enormi edifici, metafora dell’inquietante sfida dell’islam all’occidente. Il libro di Reza Aslan, Non c’è Dio all’infuori di Dio, contiene al contrario una previsione che va nella direzione opposta, quella cioè di una crescente occidentalizzazione dell’islam a partire dal presupposto secondo cui il conflitto in corso, anziché essere scontro di civiltà, è un conflitto interno tra musulmani. Apparso per la prima volta nel 2006, il libro è giunto nel 2011 alla terza edizione ed è stato tradotto in sette lingue. In undici capitoli l’autore dipana un affascinante viaggio di scoperta nella storia della religione di Maometto della quale vengono narrate origini, conflitti, eredità e possibili sviluppi futuri alla luce dei più recenti avvenimenti. Oltre a dottrine, personaggi storici e vicende che costituiscono il patrimonio di notizie indispensabili per la conoscenza dell’islam, il saggio aggiunge racconti biografici ed incursioni sull’attualità (sebbene non si parli dello Stato Islamico proclamatosi lo scorso anno) che rendono le 380 pagine del testo di lettura facile e scorrevole. Reza Aslan, 41 anni, nato e cresciuto in Iran, conta nel suo curricolo diversi titoli accademici ed insegna attualmente all’Università della California. Giornalista e scrittore è diventato celebre per il best seller Gesù. Il ribelle a lungo tra i top ten più venduti negli Stati Uniti. Educato dai gesuiti e cristiano di formazione confessa egli stesso di essersi avvicinato all’Islam. Il libro (No god but God è il titolo originale) non ha note ma nell’appendice sono aggiunte diverse pagine per ogni capitolo nelle quali l’autore dichiara le sue fonti e la storiografia seguita. Il quadro che ne esce è quello di un saggio a metà strada tra la pubblicazione scientifica e quella divulgativa in cui emerge una religione in continuo movimento, per niente chiusa in se stessa, in viaggio verso la propria riforma democratica.
Democrazia islamica
La tesi fondamentale, esposta nel penultimo capitolo, è quella secondo cui l’islam è sulla strada di un processo storico che lo porterà ad abbracciare la democrazia. I presupposti che sono alla base di questo sistema di governo, cioè il rispetto dei diritti umani e il pluralismo, non sono semplicemente “valori” o ideali da acquisire in quanto sono già incorporati nel messaggio del Corano. Saremmo in presenza dunque di una colossale distorsione del modo di guardare a questa religione, dovuta al terrorismo e alle stesse democrazie occidentali che molto spesso hanno promosso e incentivato la formazione di governi tirannici nella zona. L’islam stesso, secondo lo studioso, è incline a promuovere per sé il processo di secolarizzazione, con cui si intende il passaggio e la gestione del potere dall’autorità religiosa a quella politica, ma non il secolarismo, ideologia tutta occidentale che pretende di sradicare la religione dalla società.
Le origini, il Corano e lo sviluppo della teologia
L’anno della Rivelazione a Maometto (610 d.C.) è quello decisivo per la nascita dell’islam: con la professione di fede “Non c’è dio all’infuori di Dio” (la cosiddetta shahada), Maometto, prima di proclamare una nuova religione, intendeva portare un attacco al potere economico-religioso stabilito dai Quraysh, i gestori ufficiali del santuario del deserto denominato Ka’ba, il Cubo, che ospitava a La Mecca gli dei delle varie religioni. Con quella formula il Profeta dichiarava che il Dio dei cieli era accessibile a chiunque senza alcun intermediario con la conseguenza che gli idoli del santuario, così come i sacerdoti che lo gestivano, diventavano inutili. La lotta antiidolatrica è dunque al cuore del messaggio di Maometto (di cui si narrano le vicende sentimentali e il suo rapporto privilegiato con la moglie Aisha) da subito impegnato ad organizzare la sua comunità (Umma) a Medina. Il primo atto fu quello di emanare una costituzione caratterizzata da norme di uguaglianza sociale nella quale assumeva rilevanza la parità tra uomo e donna i quali, a differenza della Bibbia, furono creati insieme da una singola cellula (ma l’autore dimentica che i racconti della creazione nella Genesi sono due in cui, nel primo, Dio crea contemporaneamente maschio e femmina come narrato in Gn 1, 27). La donna, secondo l’autore, trova nell’islam una collocazione di grande e straordinaria parità: l’obbligo di portare il velo ad esempio non si trova nel Corano ma fu reso obbligatorio da giuristi e studiosi ansiosi di riprendere il predominio economico e sociale sottratto loro dalle riforme del Profeta. Sostenendo a più riprese che la religione è interpretazione e che essa riflette prima la cultura degli individui e poi le loro convinzioni religiose, Aslan sottopone ad indagine molti concetti e luoghi comuni tra cui quello di Jihad a cui è dedicato un capitolo a parte. Conosciuto e spacciato come “guerra santa” e strumentalizzato in senso bellico, il termine indica piuttosto lo “sforzo” (il conatus si potrebbe dire) finalizzato a raggiungere un certo obiettivo in una condizione di difficoltà. Il libro tenta di fornire un quadro quanto più esaustivo della religione di Maometto tanto da contenere un capitolo specifico sul sufismo, la via mistica dell’islam, che mette in secondo piano sia la teologia sia la legge per concentrarsi sulla dimensione dell’amore verso Dio che giunge fino a vette impensabili, tra cui il riferimento a Iblis (Satana) indicato come modello di amore perfetto in quanto, pur gettato all’inferno per essersi rifiutato di inchinarsi di fronte ad Adamo, continua a desiderare Dio senza speranza di poter essere riamato.
La parte più propriamente teologico-filosofica è inserita al centro del libro. La discussione si focalizza sulla natura del Corano e vede contrapposte due teorie: quella dei razionalisti, secondo i quali il testo sacro ha natura di cosa creata, e quella dei tradizionalisti per i quali il Corano è eterno ed increato. Il prevalere di questa posizione decretò la vittoria storica degli Ulema, i dotti o sapienti che costituiscono l’autorità religiosa, i quali poterono consolidare la loro posizione dando vita alla Sharia, la legge islamica. I razionalisti affermavano che Dio è all’interno della ragione umana sicché tutte le argomentazioni teologiche devono aderire ai principi del pensiero razionale. L’autore cita Ibn Rushd (1126-1198), meglio noto con il nome di Averroè, il quale propose la dottrina della doppia verità grazie alla netta divisione tra religione e filosofia: la prima adatta la verità alla comprensione dei semplici, la seconda la riserva alla speculazione dei saggi e dei sapienti. In questa tesi, proveniente da uno dei pensatori che meglio riuscì a coniugare la riflessione filosofica a quella teologica, vi è una schiacciante supremazia della ragione rispetto alla rivelazione. Scontata l’opposizione dei teologi tradizionalisti che osservavano come con la conoscenza razionale non vi sarebbe stato bisogno né di profezia né di rivelazioni. Corollario fondamentale della tesi tradizionalista è la dottrina secondo cui il Corano è direttamente Parola di Dio, addirittura Dio stesso, ed in quanto tale non può essere tradotto in nessuna altra lingua e deve necessariamente essere letto e recitato in arabo.
Sunniti e sciiti
In una lettera del settembre 1675, Spinoza sostiene che la chiesa maomettana supera di molto la chiesa cattolica in quanto la prima non fu mai travagliata da nessuno scisma. In realtà una divisione, che si protrae in modo violentissimo fino ad oggi, esiste ed è quella tra sunniti e sciiti. La scissione risale all’VIII secolo e riguarda il problema della successione a Maometto. Mentre i sunniti sostengono che ciò che conta è l’unità e l’efficienza della comunità, nonché l’esemplarità della vita del Profeta come criterio per la designazione del successore, gli sciiti pongono attenzione alla guida religiosa che deve rimanere nella discendenza della famiglia di Maometto. La diversità tra i due rami finisce per interessare sia la sfera religiosa che quella politica. Per i sunniti l’imam designa la persona che è capo della preghiera mentre per gli sciiti esso è figura determinante della rivelazione in quanto gli uomini, non essendo in grado di conoscere Dio, hanno bisogno di un’autorità affinché il messaggio venga loro chiarito. Gli imam non solo non sono esseri umani come gli altri (il primo Imam fu addirittura Adamo) ma soprattutto sono in possesso di una conoscenza esoterica che si tramanda a partire da Maometto. Più controversa, in ambito sunnita, è la dinamica dei rapporti tra potere politico e autorità religiosa. Il califfo indica semplicemente il successore del messaggero di Dio con la sua autorità che dovrebbe essere ristretta all’aspetto secolare del potere, ovvero a mantenere unita e coesa la Umma. In realtà fin dalle sue origini il titolo di califfo è sempre rimasto in una sorta di volontaria ambiguità e il suo modo d’essere legato ad un’interpretazione oscillante. Ad esempio, quando è stato ridotto all’ambito secolare, gli Ulema hanno spesso guadagnato un ruolo maggiore facendo le veci del potere secolare rivestendo la funzione storica di mantenere unito l’Islam. Il ritorno del califfato con l’IS (lo Stato Islamico proclamato nel 2014 il cui leader ha scelto il nome di Abu Bakr, il primo successore di Maometto) sembra rimettere in gioco la questione degli equilibri tra potere religioso e potere politico.
Aspetti geo-teo-politici
L’Islam odierno presenta un certo paradosso: il campo sunnita, che sembra essere più aperto alla riforma e meno integralista, ha come leader uno Stato i cui presupposti ideologici volgono verso una direzione fondamentalista. Il versante sciita, che al contrario si potrebbe pensare più propenso allo sviluppo integralista, è quello che invece mostra segni di maggiore apertura al cambiamento. Il principale stato sunnita è l’Arabia Saudita. L’ideologia da cui è guidato è il wahabismo, dottrina che prende il nome da un predicatore itinerante vissuto all’inizio del XVIII (Abd al-Wahhab) il quale diede vita ad una interpretazione puritana, intollerante e fanatica dell’islam. È stata l’Arabia Saudita a fondare la Lega musulmuna mondiale attraverso cui la dottrina wahabita ha influenzato le ideologie e i movimenti dei Fratelli musulmuani, di Hamas (il movimento palestinese) e la jihad islamica. L’Arabia saudita è uno stato feudale ben lontano dalla democrazia ed è tuttora il principale alleato degli Stati Uniti (di cui Aslan ricorda giustamente la stucchevole crociata per l’esportazione della democrazia promossa dall’amministrazione Bush). L’Iran è invece lo stato leader del blocco dei Paesi governati dagli sciiti e sta lentamente uscendo dalla grande involuzione politico-religiosa del 1979 quando l’ayatollah Khomeini si legittimò come l’“imam nascosto” introducendo un governo assoluto gestito direttamente dai religiosi. Oggi l’Iran è al centro dei mutamenti strategici della regione: sia per l’avvicinamento voluto da Obama (e che recentemente si è tradotto nell’accordo sul nucleare con il quale sono state abrogate le sanzioni economiche verso quel regime) sia per la sua opposizione al movimentismo del sunnita Stato islamico.
Un tentativo ancora a metà strada
Il libro di Aslan si presenta non solo come “un riesame critico delle origini e dell’evoluzione dell’islam e un resoconto della battaglia in corso tra i musulmani” ma anche come un’argomentazione a sostegno della riforma che si sta sviluppando in questi anni. L’argomentazione però, come riconosce l’autore al termine del libro, non s’impone da sé. “Una maggiore conoscenza dell’Islam non è sufficiente per modificare la percezione corrente dei musulmani” in quanto “soltanto attraverso la lenta e costante costruzione di relazioni personali scopriamo una verità fondamentale, e cioè che tutti gli esseri umani hanno gli stessi sogni e le stesse aspirazioni: che lottano contro le stesse ansie e le stesse paure”. Questa costruzione di legami, secondo Aslan, è oggi resa possibile grazie a internet che sta unendo le variegate forme del mondo musulmano e promuovendo una dimensione pacifica e dialogica dell’islam. L’idea di internet come motore della riforma tuttavia non convince ed è eccessivamente ottimistica per almeno due ordini di motivi. Da una parte, come riconosce lo stesso autore, la rete costituisce non solo l’abbattimento in senso positivo dell’autorità religiosa ma anche la proliferazione di interpretazioni violente dell’esperienza interiore. In questo senso Internet finisce spesso per favorire il jihadismo come nel caso di Osama Bin Laden (paragonato impropriamente a Lutero nel suo processo di interpretazione della Scrittura) e dei movimenti fondamentalisti che ne sono seguiti. D’altra parte, aggiungiamo noi, internet non è quello strumento neutro di cui si può disporre senza conseguenze. Al contrario: la tecnica (di cui internet è una delle tante espressioni) manipola e assoggetta chi intende servirsene, sicché non è detto che essa anziché aiutare finisca paradossalmente per distruggere l’Islam svuotandolo dall’interno (su questo vedi i primi due capitoli della raccolta di saggi Dall’Islam a Prometeo di Emanuele Severino). Ma il punto che l’autore avrebbe dovuto discutere, e che invece si limita soltanto ad accennare, riguarda la questione se il Corano sia o meno di natura divina. La risposta a tale quesito porrebbe in secondo piano anche il problema, secondo noi del tutto ininfluente, circa la preferibilità di un islam guidato da un’autorità religiosa centrale oppure da una proliferazione di interpretazioni a carattere individuale: in entrambi i casi non si ha garanzia che la religione assuma un volto moderato e non fondamentalista. Il vero passo in avanti sulla strada della democrazia e della libertà si avrà soltanto nel momento in cui la Parola di Allah non sarà vincolata al Corano ma estesa fino a comprendere gli aspetti etici dell’agire umano e religioso. Si tratta di un passaggio enorme quanto necessario per un’evoluzione democratica ed è oltretutto evidente che interpretazioni simili dovranno provenire dallo stesso ambiente islamico, ancora oggi impermeabile a qualsiasi critica interna ed esterna.
L’autore definisce infine l’islam un’identità ma ciò non basta per distinguerlo da qualsiasi altra religione. Sarebbe stato più utile discutere dell’essenza dei singoli monoteismi i quali, al di là dei singoli dogmi, sono animati ciascuno da un principio guida. Se ebraismo e cristianesimo sono le religioni dell’alleanza e del dialogo con Dio, l’islam, con la sua enfasi sull’abbandono e la sottomissione al divino, sembra per certi versi più dipendente dall’aspetto teologico-politico tanto da fargli spesso guadagnare il controverso quanto scomodo appellativo di “religione della spada”. Il libro di Aslan, nonostante non discuta tali aspetti (e anzi attribuendoli alla retorica dispregiativa degli occidentali), è comunque una lettura utile e a tratti coinvolgente per chi voglia non solo un primo orientamento ma anche uno studio più dettagliato di questa religione e dell’attualità che stiamo vivendo.
Le recensioni di un libro (laddove ovviamente si nutra fiducia nel recensore) hanno lo scopo dichiarato di tratteggiare in anteprima i contenuti del medesimo e possono sia ottenere l’effetto di invogliare chi legge ad acquistarlo, sia al contrario, suggerirgli di lasciarlo perdere. Questo naturalmente, sulla base del proprio soggettivo giudizio senza che ciò, nel caso si opti per la seconda soluzione, voglia in alcun modo significare la pretesa o l’aspettativa che il libro non debba essere letto dagli altri o peggio ancora, il volerlo mettere all’indice. Tutto ovvio? Purtroppo no. In un’epoca quale quella attuale egemonizzata anche in campo accademico dalle fumisterie paranoiche del “politically correct”, nuovo mantra ideologico pseudo “progressista”, parrebbe vigere l’obbligo (che vale naturalmente si capisce, solo per i libri partoriti da una certa filiera politicamente orientata) non solo di leggerli per forza, ma di doverli pure confutare minuziosamente sui punti sui quali non si concorda pena l’essere additato come colui che non ha rispetto per le opinioni altrui e che vorrebbe limitare la libertà di espressione ecc.. ecc.. confondendo – volutamente o per ignoranza- il concetto stesso di libertà di parola e di espressione. Tale diritto (così come è configurato ad esempio anche nel primo emendamento alla costituzione americana) prevede che ogni cittadino (o associazione) abbia sì il diritto di dire la sua attraverso la parola, i libri o qualsiasi altro strumento di comunicazione lecitamente accessibile, ma non il diritto o la pretesa di dover essere letto, ascoltato, considerato, applaudito o contestato, tutte cose queste che -sia pure in linea di principio perché poi sappiamo quanta influenza abbiano coloro che detengono le leve dell’informazione- dovrebbero dipendere da come l’uditorio valuta nel merito il testo o il messaggio che gli viene sottoposto, ma che di certo non sono codificate da nessun fantomatico “diritto”.
Ora, chi scrive, è convinto che le maglie della libertà di parola e di espressione debbano essere le più larghe possibili e che tutti ma proprio tutti nei modi e nelle forme previste in una democrazia, debbano poter dire la loro per quanto disgustoso o repellente possa apparire ai più, ciò che dicono. Ho visto ad esempio che in un post qua sopra, un individuo ha dato sfoggio del suo antisemitismo e del suo desiderio di negare o sminuire la portata ed il significato della tragedia dell’Olocausto. Non mi sono sognato e non mi sognerei di chiedere agli amministratori di questo sito, di rimuovere o di non pubblicare in futuro simili affermazioni per quanto ignobili esse mi appaiono e per quanto meritevole di disprezzo sia ai miei occhi, la persona che le ha scritte. Tale persona ha esercitato un suo diritto. Non a caso ad esempio, io sono tra coloro che non sono mai stati persuasi circa la giustezza in linea di principio, delle norme che proibiscono in questo o quel Paese europeo, la divulgazione o la pubblicazione di tesi negazioniste sullo sterminio degli ebrei.
Questo non significa però che si debba dare considerazione intellettuale a qualsiasi cosa venga detta o scritta. E non sta scritto da nessuna parte che si debba dare motivazione del perché si afferma che un tale libro non valga la lettura, essendo peraltro la motivazione del tutto implicita in sé, nel giudizio dato. Per fare un esempio, non mi sognerei nemmeno di mettermi a leggere, discutere e poi a commentare, un libro che vorrebbe farmi credere che le camere a gas naziste non siano mai esistite o che le torri gemelle a New York le abbiano buttate giù gli stessi americani attraverso un complotto orchestrato (manco a dirlo) dalla CIA. Eppure tali sconcezze hanno trovato la carta sulla quale venir stampate anche in Italia, dove del resto in fatto di spazzatura e ciarpame propagandistico antiamericano non ci siamo fatti mai mancare nulla. Non semplicemente perché non mi interessa leggere cose che non ritengo degne di attenzione, ma perché se al contrario lo dovessi fare, non solo penserei di non rispettare la mia stessa dignità intellettuale, ma finirei per contribuire a dare anche al di là delle intenzioni, visibilità, risalto e comunque considerazione, a tesi ed argomenti che (sempre secondo il mio giudizio) non lo meritano. Questa lunga premessa apparentemente “metodologica” per così dire, per la quale mi scuso e che in tempi normali verrebbe giudicata e giustamente, del tutto superflua, si rende invece oggi forse necessaria, per cercare di far comprendere quello che è il mio approccio anche rispetto al libro che ci viene descritto da Morini, libro che non conoscevo e sul quale mi sono fatto un idea (di certo non esaltante per usare un eufemismo) sulla base di ciò che ne è stato scritto dal recensore, il rispetto nei confronti del quale mi induce a a sottolineare quei pochi punti che bastano ed avanzano per far capire come si sia di fronte ad una smaccata e plateale manipolazione della realtà storica, degli eventi attuali e della stessa religione islamica la quale, almeno per alcuni aspetti, così come è spiegata nel libro, esiste solo nella fantasia dell’autore. C’è da dire in verità che un tale pessimo libro, trova paradossalmente una plausibile spiegazione nel tentativo che si percepisce lontano un miglio, di contribuire a propagandare una lettura ad uso e consumo del dibattito politico odierno negli Usa e in Europa,sul tema dell’islam,del rapporto tra civiltà e della lotta al terrorismo, con annesse immancabili venature di antioccidentalismo. Ma vediamo un po’ più nel dettaglio. Scrive Morini nella recensione: ”La tesi fondamentale, esposta nel penultimo capitolo, è quella secondo cui l’islam è sulla strada di una crescente occidentalizzazione, di un processo storico che lo porterà ad abbracciare la democrazia. I presupposti che sono alla base di questo sistema di governo, cioè il rispetto dei diritti umani e il pluralismo, non sono semplicemente “valori” o ideali da acquisire in quanto sono già incorporati nel messaggio del Corano. Saremmo in presenza dunque di una colossale distorsione del modo di guardare a questa religione, dovuta al terrorismo e alle stesse democrazie occidentali che molto spesso hanno promosso e incentivato la formazione di governi tirannici nella zona. L’islam stesso, secondo lo studioso, è incline a promuovere per sé il processo di secolarizzazione con cui si intende il passaggio e la gestione del potere dall’autorità religiosa a quella politica”.
C’è bisogno di commentare un tale mirabile (per il fatto di essere stato condensato in poche righe) cumulo di sciocchezze evidenti a chiunque abbia un minimo senso della realtà? Da notare il risibile attacco all’Occidente il quale dovrebbe accollarsi pure la colpa della cattiva immagine che l’islam ha da noi evidentemente non dovuta per l’autore, a cosucce come le derive fondamentaliste ed il terrorismo che quella realtà cioè quella islamica, partorisce. Oltre alla colpa di fare affari e di sostenere i governi “tirannici” della zona, quelli cioè che non si contrappongono con ostilità a noi, che non esportano il terrorismo islamico e che anzi magari lo combattono prima di tutto nel proprio stesso interesse. Evidentemente, secondo Aslan, si dovrebbero invece sostenere quelli “democratici” (a cominciare dal suo di Paese e cioè l’Iran), vale a dire le teocrazie islamiche che il terrorismo lo praticano, lo esportano e lo finanziano. Ma andiamo oltre, facendo un ulteriore copia e incolla di estratti della recensione di Morini: ”L’Islam odierno presenta un certo paradosso: il campo sunnita, che sembra essere più aperto alla riforma e meno integralista, ha come leader uno Stato i cui presupposti ideologici volgono verso una direzione fondamentalista. Il versante sciita, che al contrario si potrebbe pensare più propenso allo sviluppo integralista, è quello che invece mostra segni di maggiore apertura al cambiamento. Il principale stato sunnita è l’Arabia Saudita. L’ideologia da cui è guidato è il wahabismo, dottrina che prende il nome da un predicatore itinerante vissuto all’inizio del XVIII (Abd al-Wahhab) il quale diede vita ad una interpretazione puritana, intollerante e fanatica dell’islam. È stata l’Arabia Saudita a fondare la Lega musulmana mondiale attraverso cui la dottrina wahabita ha influenzato le ideologie e i movimenti dei Fratelli musulmuani, di Hamas (il movimento palestinese) e la jihad islamica. L’Arabia saudita è uno stato feudale ben lontano dalla democrazia ed è tuttora il principale alleato degli Stati Uniti. L’Iran è invece lo stato leader del blocco dei Paesi governati dagli sciiti e sta lentamente uscendo dalla grande involuzione politico-religiosa del 1979 quando l’ayatollah Khomeini si legittimò come l’“imam nascosto” introducendo un governo assoluto gestito direttamente dai religiosi. Oggi l’Iran è al centro dei mutamenti strategici della regione: sia per l’avvicinamento voluto da Obama (e che recentemente si è tradotto nell’accordo sul nucleare con il quale sono state abrogate le sanzioni economiche verso quel regime) sia per la sua opposizione al movimentismo del sunnita Stato islamico“. Tirata propagandistica antiamericana a parte, anche qui siamo di fronte ad alcune falsità stucchevoli nella loro evidenza e dovute probabilmente anche alla partigianeria di uno che è iraniano (e quindi sciita) e per di più neo-convertito. Innanzitutto, la deriva fondamentalista che ha investito una parte del mondo islamico da più di trent’anni a questa parte, ha riguardato e riguarda sia il mondo sunnita che quello sciita che del resto sostanzialmente altro non sono che storicamente, religiosamente e culturalmente, due facce diverse sì, ma della stessa medaglia, specie in rapporto alla lontananza dalla nostra civiltà e cultura e relativamente ai nostri interessi geo-politici ed economici. Anzi, la deriva fondamentalista prese avvio proprio nell’universo sciita, con la rivoluzione khomeinista in Iran del 1979. Ciò è tanto vero, che il sostegno al terrorismo e a chi lo pratica contro l’America, l ’Occidente e quella sua propaggine che è Israele, ha in quel mondo una natura trasversale, non a caso il principale sostenitore e finanziatore del gruppo terrorista palestinese Hamas (sunnita) è l’Iran, non a caso c’è un network del terrore che vede operare a braccetto gruppi come Hamas ed Hezbollah (che è sciita) e via elencando con ulteriori esempi che si potrebbero portare. Ci strappa un sorriso di compatimento poi, la descrizione di una cattiva Arabia Saudita lontana dalla democrazia, contrapposta ad un Iran che starebbe uscendo (sic!) dall’involuzione khomeinista. Mi risparmio volentieri qualsiasi commento sul paragone che stabilisce l’autore tra Osama Bin Laden e Martin Lutero e mi sembra superfluo per chi minimamente sa di cosa si parla quando si cita l’islam, sottolineare il perché “l’invocazione” consapevolmente provocatoria del nostro Morini riassunta già nel titolo del suo pezzo, non può avere anche per le ragioni che egli stesso precisa, alcuna possibilità di tramutarsi in realtà. Concludo, riportando dall’articolo: ”La donna, secondo l’autore, trova nell’islam una collocazione di grande e straordinaria parità”. Ecco, non volevo giungere a seppellire con una risata la fatica di questo Aslan, ma l’autore con questa affermazione ce l’ha messa davvero tutta per tentarmi.
Caro Maurizio,
Trovo molto chiara e stimolante la tua recensione al testo di Aslan e credo, inoltre, che essa introduca bene le questioni che discuteremo in occasione del prossimo Ritiro Filosofico. La tesi di Aslan contiene in sè, possiamo dirlo, un auspicio che ci accomuna tutti: che la democrazia e che determinati “diritti umani” siano estesi ad ogni popolo del globo. Nel caso dell’Islam, tuttavia, la cosa si complica per una serie di motivazioni storiche che non sto qui ad analizzare e che comunque Aslan ha ben toccato. Veniamo però a qualche rilievo critico. Anzitutto, a parte la buona analisi della situazione reale, mi sembra che Aslan non porti alcuna argomentazione convincente che ci spinga a concludere che effettivamente l’Islam sia sulla strada della democrazia. All’inverso: se è vero che, fattualmente, i sunniti stanno prendendo il predominio dell’area medio-orientale grazie all’IS, allora sembrerebbe che stiamo per avviarci verso una fase di ampio predominio sunnita; e, ancora, se è vero che – come sostiene anche Aslan (giustamente) – i sunniti sono i più restii alla secolarizzazione, allora mi pare che l’Islam non stia andando affatto verso la strada della democrazia. L’accordo degli USA con l’Iran non mi sembra che cambi le carte in tavola: anzi, esso è forse indicativo del fatto che gli USA stessi stiano riconoscendo un forte pericolo sunnita, che forse hanno tentato di controbilanciare nello scacchiere Medio-orientale liberando risorse economiche verso l’Iran sciita, gravato fino ad oggi da penalità commerciali.
In secondo luogo qualche parola su quello che chiami “Trattato-teologico politico islamico”. Si tratta di una bella provocazione, anche se, credo, sarà molto difficile vederlo. D’altronde, come insegna Spinoza stesso – mi correggerai -, per provare a redigerlo è necessaria una certa libertà della mente rispetto alle leggi consolidate; e questa “libertà” è inammissibile dal punto di vista di un islamico, sciita o sunnita che sia, abituato ad eseguire la legge e non a porsi la questione della giustizia della legge dinanzi alla libertà individuale degli uomini (valore occidentale). Ora, non voglio prendere la posizione dei neo-cons, secondo cui è solo in Occidente che si possano dare una vera ragione libera e una vera democrazia, ma nondimeno non possiamo che riconoscere che non è un caso se proprio in Occidente si è sviluppata questa libertà della mente. C’è chi poi la fa risalire alla rivoluzione copernicana di Cartesio e Kant, c’è chi – come il sottoscritto – la attribuisce al platonismo cristiano, c’è chi invece crede sia un mero prodotto del secolo dei Lumi: poco importa la radice; fatto sta che qui siamo abituati da molto anni a pensare (in senso paolino?) la legge in opposizione alle libertà individuali, mentre in Medioriente sono abituati a pensare la Legge come Legge divina. Ma uscire da quel meccanismo significa per i mussulmani uscire dall’Islam, così come hanno fatto tutti quei mussulmani “occidentalizzati” che sono spesso definiti “traditori” sia dai sunniti che dagli sciiti.
Caro Andrea,
tutto molto interessante, sia il libro che la recensione ed il tuo commento.
Qualche osservazione.Vedo che la tua valutazione, e quella del recensore, parte da un presupposto: la bontà, in sé, della democrazia. Ora, pur ammettendo che è meglio una democrazia che una tirannide (benché spesso le cosiddette tirannidi sono più tolleranti ed “illuminate” di tante democrazie), non credo che, cristianamente (ed anche platonico-cristianamente), un tale presupposto sia sottoscrivibile ciecamente. La questione, infatti, sta nel rapporto (non dico concordanza assoluta ma quantomeno problematico accostamento) tra Giustizia e legge, ossia tra etica e diritto, tra Santo-sacralità e Politico. Una democrazia può legittimare aborto, speculazione finanziaria e presunti diritti gay (così in Occidente), un regime semi-democratico, meno liberale, benché democratico e liberale fino a quanto è possibile alla cultura di quel popolo, al contrario respinge dette “libertà” (parlo della Russia di Putin). La giustizia della legge, ovvero la sua legittimità “naturale”, non deve essere commisurata – qui sta la differenza tra il tuo liberalismo ed il mio cattolicesimo – sulla libertà individuale ma sul grado di accostamento, ripeto: sempre storicamente problematico e difficile (ecco perché, con Agostino, bisogna ammettere anche le “leggi imperfette”), tra legge positiva ed etica. Non un’etica “laica”, perché essa semplicemente non esiste e laddove la si voglia affermare quanto si afferma è solo una povera contraffazione dell’etica naturalmente presentita nel cuore umano e rivelata allo stesso cuore dall’Alto. Ecco perché una conclusione come questa del recensore “Il vero passo in avanti sulla strada della democrazia e della libertà si avrà soltanto nel momento in cui la Parola di Allah non sarà vincolata al Corano ma estesa fino a comprendere gli aspetti etici dell’agire umano e religioso. Si tratta di un passaggio enorme quanto necessario per un’evoluzione democratica ed è oltretutto evidente che interpretazioni simili dovranno provenire dallo stesso ambiente islamico, ancora oggi impermeabile a qualsiasi critica interna ed esterna” è assolutamente ambigua e foriera di equivoci.
Ti spiego perché. Non si può chiedere ad un sistema religioso di svincolare la Parola di Dio dalla sua stessa Fonte, o quella che quel sistema tale ritiene. Questo significa chiedere a quella religione di suicidarsi. Né più né meno! Ed allora, mi dirai, come fare a conciliare fede e libertà, religione e democrazia? L’unica via che lo scrivente intravvede consiste nell’abdicare da parte “laica” al carattere di religiosità civile che la democrazia occidentale suppone (sì, sto chiedendo alla democrazia illuminista di “suicidarsi”) e, contemporaneamente, nel prendere coscienza da parte religiosa (ma anche “laica”) che “gli aspetti etici dell’agire umano”, quelli che giustamente tu ed il recensore invocate come universali, sono tali in quanto appartengono intrinsecamente alla “Natura” stessa di Colui che li ha infusi nel cuore umano (la Chiesa ha preso coscienza di questo gradualmente lungo i secoli e tra mille peripezie, ma ne ha preso sicura coscienza perché è cosa appunto insita nella natura di Dio: un certo islam, benché attualmente maggioritario, ma anche un certo ebraismo post-biblico fondamentalista – quello che brucia i bambini palestinesi e della cui antica esistenza solo ora l’Occidente, accecato dalla sua neoreligione dell'”Olocausto”, sembra rendersi conto – non ancora). Un Colui non astratto, non dunque un massonico ed anonimo “architetto dell’universo”, ma il Dio di Abramo, Isacco, Giacobbe che è lo stesso Dio di Gesù – che di Lui è Verbo Incarnato – ed è lo stesso Dio di Maometto. Quel Dio che si è rivelato, come hanno sempre creduto i Padri della Chiesa, agli stessi pagani mediante la Sapienza filosofica (ellenistica, dunque universale, più che meramente “ellenica”) e con Essa, che parla anche non a caso nel libro biblico della Sapienza, si è manifestata nell’incontro tra Rivelazione e Logos: incontro iniziato già dai tempi mosaici, continuato con l’universalizzazione della Bibbia nella traduzione “dei Settanta” ed adempiuto nell’Incarnazione, Crocifissione e Resurrezione del Logos giovanneo.
In questo senso, mi pare, cruciale e fondamentale quanto l’autore, Aslan, afferma a proposito dell’Islam, ma lo scrivente estende l’affermazione a tutte e tre le fedi abramitiche indicando, in questo, il cammino di quella cristiana (del resto enunciato nell’evangelico “dare a Cesare ed a Dio quanto loro proprio”) come esemplare, ossia che esso “è incline a promuovere per sé il processo di secolarizzazione, con cui si intende il passaggio e la gestione del potere dall’autorità religiosa a quella politica, ma non il secolarismo, ideologia tutta occidentale che pretende di sradicare la religione dalla società”.
Ecco, appunto, è necessaria, in tal senso, la “secolarizzazione” del potere ma senza “secolarismo”. perché laddove il potere si secolarizza (preferisco, però, il termine “naturalizza”) pretendendo di chiudere verso l’Alto, ossia di non considerare “gli aspetti etici dell’agire umano”, che sono radicati nell’Imago Dei dell’uomo, o di scimmiottarli in forma di religione civile, la conseguenza sono i totalitarismi, compreso quello (lo so che non sei d’accordo, ma è così) del Mercato Globale e globalizzante.
PS = per quanto riguarda natura rivelata e ruolo storico dell’Islam, lo scrivente resta convinto che abbiano visto giusto Louis Massignon e padre Giulio Basetti Sani o.f.m. (per i quali Maometto è un profeta veterotestamentario post-litteram, chiamato, nel disegno di Dio, a portare gli arabi pagani al Monoteismo per prepararli al futuro, escatologico, accoglimento di Gesù, la cui divino-umanità, secondo detti autori ed esperti islamologi, sarebbe già implicitamente affermata nel Corano anche se non ancora in modo esplicito alla stessa Umma ed agli esegeti del Libro dell’islam). LC.