Guénon e la scienza come sapere ignorante

A leggere René Guénon, filosofo francese vissuto a cavallo tra il XIX e il XX secolo, uno si domanda come mai, nella letteratura relativa alla decadenza della civiltà occidentale, il canone filosofico abbia imposto esclusivamente autori come Marx, Freud o la Scuola di Francoforte. Sono queste le tradizioni di pensiero che costituiscono la vulgata dell’Occidente, imprescindibili per mettere a fuoco la crisi ormai secolare in cui versa questa parte del pianeta.

La risposta alla domanda forse consiste in ciò: mentre quei pensatori non intaccano un sistema di valori che finisce per conservare il suo primato planetario, Guénon investe con la sua critica le radici stesse della civiltà occidentale. Non si tratta in altre parole di mettere in campo dei mutamenti grazie ai quali essa possa correggersi, emendare aspetti anche importanti ma che non cambiano lo scenario di fondo. Il problema è che, nell’ambito dello sviluppo complessivo dell’umanità, l’Occidente costituisce una vera e propria anomalia.

Questa è la posizione di Guénon il quale, tramite anche il confronto sistematico con la civiltà orientale, mina alle fondamenta il pregiudizio della superiorità indiscussa e indiscutibile della civiltà occidentale.

Il pregiudizio classico e i filosofi
Tutto nasce da quello che Guénon definisce come il pregiudizio classico: gli occidentali, a partire dal Rinascimento, hanno preso l’abitudine di considerarsi gli unici eredi dell’antichità greco romana, tralasciando il resto del mondo. In questa operazione culturale la responsabilità principale spetta ai filosofi.

Ecco allora Bacone e la sua tesi della verità come “parto mascolino del tempo”. Se questo è vero, significa che noi moderni ne sappiamo di più degli antichi, considerati come meri fanciulli. Da una parte viene meno il principio di autorità, perché nessuno può porsi come il custode di un sapere da tramandare alle generazioni successive; dall’altra si inaugura la nozione di progresso, cioè lo sviluppo infinitamente positivo della civiltà. Il progresso è fondato sulla scienza: se in occidente si può vivere senza filosofia e senza religione, è impossibile immaginare una vita senza la scienza.

Ma il vero artefice della modernità è Cartesio. Questi infatti ha ridotto l’intelligenza a ragione, cioè a mero calcolo, assegnando alla metafisica il solo compito di essere al servizio della fisica. Ecco allora il dualismo cartesiano di res cogitans e res extensa, su cui si fonda la falsa quanto fuorviante opposizione tra spirito e materia: con la loro ontologizzazione infatti si viene a misconoscere l’essere unico e indeterminato e si apre la strada a tutti gli errori della modernità. 

Il primo di tali errori è il razionalismo, ovvero la negazione del soprasensibile e di qualsiasi mistero, termine questo che (a scanso di equivoci) indica solo ed esclusivamente l’inesprimibile. Proprio la volontà di rendere dominabile, attraverso la parola, ciò che per sua natura non è dominabile, perché incondizionato, è la vera follia dei moderni. Follia alla quale si aggiunge la fisica meccanicistica, espressione di un concetto di materia che fonda quello che Guénon definisce il regno della quantità. 

La critica della scienza occidentale
Si arriva così alla scienza, il bersaglio preferito del filosofo francese. In occidente viviamo ancora nella concezione antica secondo la quale scienza è sinonimo di sapere certo e incontrovertibile, episteme. Se anche così non fosse, soprattutto per i più avvertiti, rimane l’illusione fondata sull’efficacia del suo funzionamento. In realtà la scienza, da ormai lungo tempo, è soltanto un sapere ipotetico che non lascia nessuna garanzia sulla sua certezza.

La scienza occidentale è piuttosto un sapere ignorante, come l’ha definita un anonimo sapiente della religione indù. Questo sapere ignorante non è però analogo alla dotta ignoranza di Cusano ma ne è piuttosto il suo capovolgimento. Al contrario della concezione del cardinale del XV secolo, secondo il quale si desidera acquisire il sapere circa il nostro non sapere a partire da ciò che non è in nostro potere, il sapere ignorante di Guénon consiste nell’idea per cui la scienza moderna, orientata al dominio, si attiene soltanto ai dati empirici e non ammette nulla che non rientra nel suo ambito. Si tratta cioè di una chiusura tramite cui si fa di una debolezza un limite che a nessuno è permesso superare, principio particolarmente evidente in Kant secondo il quale la funzione dei filosofi consiste nell’imporre agli uomini gli angusti confini del proprio intelletto. 

Questo cambiamento della concezione della scienza da un sapere epistemico, cioè saldo ed incontrovertibile, ad un sapere ipotetico, in quanto tale sempre revocabile ed in continuo mutamento, è avvenuto nel momento in cui la scienza moderna ha rifiutato di ammettere un principio unificatore superiore al dato empirico. 

La strada maestra per giungere a tale ignoranza è la specializzazione con la quale la scienza, nell’illusione di aumentare il suo dominio, non fa altro che estendere il regno della quantità e di conseguenza il metodo della divisione. In altre parole, si tratta dell’imporsi della concezione secondo cui l’analisi è il risultato della sintesi, così come normalmente insegnato a scuola. Da questo punto di vista, l’istruzione obbligatoria non ha fatto altro che amplificare i danni, nutrendo quell’atteggiamento presuntuoso e supponente che finisce per essere  peggiore dell’ignoranza. 

La filosofia e il sapere della metafisica
Quanto sia distante Guénon dal canone occidentale lo vediamo soprattutto a riguardo del problema della metafisica. Sappiamo che nel novecento la metafisica è stata oggetto di un “cannoneggiamento” da più parti, attacchi che ne hanno decretato la sua radicale svalutazione. Da una parte il pensiero empirista e quello analitico, secondo cui la metafisica è l’espressione di una vera e propria malattia. Dall’altra l’esistenzialismo e Heidegger, per i quali la metafisica o è irrilevante o è sinonimo di dimenticanza del senso dell’essere, avente come unico oggetto il niente, espressione cosi di un radicale nichilismo. Ripercorrere la storia della metafisica significa dunque ripercorrere la storia dell’alienazione del pensiero occidentale.

Per Guénon invece quello di metafisica è il termine più caro ed importante del pensiero. Esso va tenuto distinto dal termine filosofia considerata sinonimo di scienza la quale, con il suo passaggio a sapere ipotetico, ha decretato l’abdicazione dell’intelligenza. Un altro dei suoi frutti, oltre al razionalismo già indicato, è il pragmatismo il quale, escludendo per principio ogni speculazione, mira soltanto ad un sentimentalismo utilitaristico. 

È a questo punto che appare l’atteggiamento degli orientali per i quali la sapienza si pone al di là dei problemi artificiali della filosofia.  «Per la metafisica orientale, l’essere puro non è il primo né il più universale dei principi, poiché esso è già una determinazione; bisogna dunque andare al di là dell’essere, e questo è ciò che è più importante. Per questo in ogni concezione autenticamente metafisica, bisogna sempre tenere presente la parte che ha l’inesprimibile». Se questo è vero, il termine metafisica allora non è né orientale né occidentale. Metafisica è piuttosto sinonimo di conoscenza intuitiva, intuizione intellettuale il cui ambito è quello dei principi eterni ed immutabili. 

In questo senso, dice Guénon, «la conoscenza metafisica non è una conoscenza umana». Cosa significa questa espressione? Essa non significa che la metafisica nasca da una sfera divina, né tantomeno che ricorra a dei poteri speciali (attinti appunto da quella sfera) che le conferiscono una sua forza d’azione. Conoscenza non umana significa che tale conoscenza è libera dalle forme di cui è rivestito ogni fenomeno, libera cioè dal cosiddetto “principium individuationis“.  

Per accedere a tale conoscenza è necessario allora risalire a quello che Guénon definisce lo “stato primordiale”, quella condizione cioè in cui il pensiero umano si libera dalla temporalità a favore dell’eternità. Non quindi una ragione come calcolo, come voleva Cartesio, bensì una ragione come organo del pensiero sub specie aeternitatis, come voleva Spinoza. È questo in definitiva, per Guénon, il primo requisito del giusto filosofare.


Riferimenti bibliografici

— Guénon, René. 2015. La crisi del mondo moderno. Roma: Edizioni mediterranee.
— Guénon, René. 1982. Il regno della quantità e i segni dei tempi. Roma: Adelphi.
— Guénon, René. 2016. Oriente e occidente. Milano: Adelphi
— Guénon, René. 2022. La metafisica orientale. Edizione Kindle.

 

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Insegnante con dottorato di ricerca in Filosofia. Vive e lavora a Nocera Umbra, autore del podcast che prende il nome dal suo motto: Hic Rhodus Hic salta.

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