Nella filosofia italiana esiste un pensatore rimosso, oggetto di vera e propria avversione, che risponde al nome di Julius Evola (1898-1974). Le ragioni dell’ostracismo da parte della cultura ufficiale e universitaria sono numerose e, per certi aspetti, anche comprensibili. Ma non è questo che ci interessa. Quello che importa o dovrebbe importare a chi si occupa di cultura, e soprattutto di filosofia, è discutere tesi e argomenti aventi plausibilità e forza teoretica capaci di smuovere l’intelletto. E gli argomenti del pensatore romano sono numerosi. Intanto, come appare evidente a chi si addentra nella sua opera, esistono tanti periodi in cui il filosofo (anche se questa definizione sarebbe respinta dall’interessato) ha cambiato registro speculativo e dato il suo contributo in differenti aspetti del sapere. Esiste così l’Evola artista, l’Evola filosofo, l’Evola mago, l’Evola orientalista, l’Evola teorico della politica. A prescindere dalle sensibilità e dagli orientamenti personali, la sua è un’opera straordinaria per erudizione, genialità e vastità di orizzonti tale che non si può liquidare con formule superficiali o becere.
L’Evola filosofo è quello che, dopo il periodo dadaista, ripensa in modo radicale gli esiti dell’idealismo, inteso come il punto più alto dello sviluppo della filosofia. A partire da ciò, egli elabora un pensiero che si definisce come dottrina dell’individuo assoluto o dell’idealismo magico. Le opere di riferimento a questo proposito sono diverse: da Teoria dell’Individuo assoluto a Fenomenologia dell’Individuo assoluto, da L’uomo come Potenza (poi riscritto e diventato Lo Yoga della Potenza) a Saggi sull’Idealismo magico, fino alle due conferenze riportate nel volume L’Individuo e il suo divenire nel mondo. Siamo nel periodo che va dal 1922 al 1929, anni caratterizzati anche da un importante scambio epistolare con i due giganti dell’idealismo italiano, Croce e Gentile.
La critica dell’idealismo
Per Evola idealismo significa volontà di certezza, termine che riassume e nomina diversamente la realtà, per cui la coscienza umana esclude qualsiasi istanza che non sia un suo prodotto, che sia altro da sé e che, in quanto tale, non può dominare. Nell’idealismo si esprime cioè l’esigenza dell’individuo verso una assoluta affermazione sulla realtà (che appunto chiama certezza) a fondamento della quale c’è la volontà di dominio.
Come scrive nei Saggi sull’Idealismo magico, il problema fondamentale della filosofia è il rapporto tra soggetto e oggetto, rapporto che costituisce la base dell’esperienza. L’idealismo sostiene che io non posso sapere nulla di una cosa posta fuori di me e che, di conseguenza, non posso nemmeno affermarne l’esistenza. Il mondo esterno non è altro che un prodotto della nostra conoscenza: il cosiddetto “realismo” (l’esistenza in sé degli oggetti) viene confutato, laddove l’unica realtà esistente coincide con il suo venir percepita, secondo la formula Esse est percipi di Berkeley.
A partire da ciò Evola procede ad una vera e propria “deduzione storica” dell’idealismo che ripercorre criticamente gli esiti forniti dai suoi pensatori più radicali.
Ecco allora l’idealismo trascendentale di Kant: il mondo non è il dato immediato della coscienza ma un complesso soggettivo di sensazioni che si trasmettono l’una nell’altra. Il filosofo tedesco offrì la soluzione secondo cui non la conoscenza si regola sulle cose ma le cose si regolano sulla conoscenza in quanto il soggetto conoscente ha in sé delle forme universali e necessarie chiamate spazio, tempo e causalità. Nella formula dell’idealismo trascendentale, “il mondo è la mia rappresentazione”, si deve tener ferma l’idea che fuori dal mio mondo non si può parlare di nulla, in quanto inconoscibile.
Ad esso segue l’idealismo assoluto di Hegel secondo il quale la coscienza è mediazione, attività, autocoscienza in cui la conoscenza non è riproduzione ma creazione. Ecco il passo avanti rispetto a Kant: l’esperienza esterna non solo è conoscibile ma è una realtà posta e creata dall’Io. Da ciò la celebre frase di Hegel secondo cui “tutto ciò che è razionale è reale e tutto ciò che è reale è razionale” nei confronti della quale Evola esprime una serie di obiezioni (che adesso non prendiamo in esame).
La critica di Evola infatti si dirige soprattutto verso l’idealismo attuale di Gentile. In via generale possiamo dire che la differenza tra i due è lo sviluppo ed il fine ultimo dello spirito: per Evola esso è rappresentato dall’individuo, per Gentile dallo Stato. In modo più analitico, la differenza è stata riassunta in modo efficace da due studiosi contemporanei, Franco Volpi e Giovanni Sessa. Per il primo (che considera quella di Evola voce insopprimibile da mettere accanto a quelle dei grandi della filosofia italiana) «l’Io di Gentile è ancora un Io astratto, un’entità di conoscenza e non una potenza attiva. Non è realmente Io» sicché, per quanto eccentrica e irregolare, la filosofia di Evola rappresenta «il coerente svolgimento di un’aporia immanente all’idealismo e il tentativo di risolverla». Per il secondo, nella filosofia di Gentile «l’attività tetica, del porre, (…) si dà nell’attività infinita e incondizionata di un soggetto trascendentale di fronte al quale la fatticità del soggetto empirico è tolta, svanisce. (…) In questo modo anche l’attualismo finiva, tramite il rinvio trascendentale, a reintrodurre il dio teista, l’altro da cui intendeva liberarsi».
L’idealismo magico
L’idealismo tradizionale quindi (che comprende quello trascendentale, assoluto e attuale) si trova ancora a metà del suo sviluppo, in una posizione ambigua, proprio a motivo del fatto che non ha realizzato il valore dell’individuo. In tal modo, esso è sempre astratto in quanto nega come illusione tutto ciò che è individualità concreta, proclamando la centralità dell’io solo in termini gnoseologici.
Occorre invece, sostiene Evola, passare ad una vera affermazione dell’Io centrata sulla sua libertà e sulla sua potenza. Ecco allora la dottrina dell’individuo assoluto o dell’idealismo magico, definizione già utilizzata da Novalis, un pensatore romantico della fine del XVIII secolo, che nel sistema di Evola assume però un altro orientamento a causa della diversità delle sue premesse.
Alla mentalità moderna, va detto, la formula idealismo magico fa venire qualche brivido, rievocando qualcosa di esoterico e di occulto che ripugna alla coscienza filosofica. Pensiamo alla magia e subito ci viene in mente qualcosa di irrazionale e di negativo. Lo stesso per quanto riguarda la mistica la cui strada, è stato scritto, «è seminata di vittime in preda a squilibrio mentale o morale».
In realtà, la premessa dell’idealismo magico è l’idea in base alla quale la filosofia non può esaurire il desiderio di infinito dell’uomo. L’attenzione è centrata sull’attività umana rispetto alla quale, sostiene Evola, si devono distinguere due aspetti: quello a cui si è sufficienti (il mondo interiore) e quello a cui non si è sufficienti (il mondo esteriore, che chiamiamo anche come oggettivo ed esterno). Tra i due aspetti non c’è differenza di natura ma soltanto di grado: l’idealismo astratto è caratterizzato da una insufficienza intensiva in cui all’Io si oppone qualcosa su cui egli non ha potenza e che chiama “realtà”. Il mondo esterno è ciò che manca all’Io o, detto in termini più efficaci, la mancanza dell’Io costituisce quello che si chiama il mondo esterno. Da tutto ciò segue che la vera realizzazione dell’individuo consiste nel suo diventare assoluto, in termini radicalmente diversi da quelli dell’idealismo tradizionale.
Evola matura la sua visione ispirandosi, oltre che a Nietzsche, all’italiano Carlo Michelstaedter e all’austriaco Otto Weininger, due pensatori irregolari quanto scandalosi (entrambi morti suicidi) dell’inizio del novecento. Tuttavia il vero fondamento dell’idealismo magico (come riconosce lo stesso Evola in quella sorta di autobiografia intellettuale intitolata Il Cammino del Cinabro) è il pensiero orientale, di cui il pensatore romano fu studioso formidabile. In primo luogo il tantrismo, ovvero quel complesso di insegnamenti finalizzati alla liberazione dell’uomo tramite il dominio delle sue forze vitali. In secondo luogo la via di Lao Tzu, fondatore del taoismo di cui Evola fornisce due poderosi commenti (usciti rispettivamente nel 1923 e nel 1959). Infine la prospettiva buddhista con il testo ad essa dedicato, La dottrina del risveglio, tradotto in numerose lingue in tutto il mondo.
Senza entrare nella discussione delle singole dottrine, ci basti per ora segnalare l’aspetto essenziale. Nella prospettiva di Evola, il pensiero orientale fornisce la soluzione a quella contraddizione radicale, vero e proprio ossimoro, costituito dal concetto di individuo assoluto: in che modo un ente singolo può liberarsi dalle condizioni da cui dipende e diventare un ente assoluto quanto incondizionato? In che modo l’individuo, se è uno, può restare individuo nella dimensione dell’assoluto nella quale viene a perdersi necessariamente il principio dell’individuazione? Come può il finito non “bruciarsi” nell’infinito ed evitare di perdersi in esso?
La risposta viene fornita dalla prospettiva della coincidenza degli opposti nella quale si risolve il pensiero orientale.
Si dirà: anche il pensiero occidentale conosce tale dottrina (Plotino, Cusano, Bruno, lo stesso Spinoza). Vero. Lo stesso Evola sarà seguace della tradizione tutta occidentale dell’ermetismo (scrivendo su di essa un altro testo affascinante) che s’incentra sulla coincidentia oppositorum, ovvero il superamento della logica parmenidea che oppone irrevocabilmente l’essere e il nulla.
Il pensiero orientale fornisce però anche lo strumento per risolvere la questione pratica. Esso si chiama Yoga, nella sua versione attiva. Nelle parole di Evola, il vero Yoga significa «il raggiungimento dell’immortalità, il decondizionamento dell’essere umano, l’assoluta libertà, la realizzazione attiva dell’incondizionato». Sulla base di ciò, l’individuo non deve sfuggire alla propria deficienza, non deve cioè concedere che la privazione diventi qualcosa di reale; al contrario, l’Io deve essere sufficiente alla sua insufficienza. Dire che una cosa non è causata da me non significa che essa sia causata da un altro bensì che si tratta di una privazione della mia libertà.
Usando una nota formula del tantrismo, Evola sostiene che «la liberazione senza la potenza è una burla». Solo in questa maniera l’individuo potrà acquisire la vera certezza e realizzare quella realtà a cui si era applicato senza successo l’idealismo tradizionale. Per questo Evola dovrà sviluppare una grandiosa dottrina della potenza che sarà la vera e propria chiave di volta del suo sistema.
Riferimenti bibliografici
— Evola, Julius. 2018. Il cammino del Cinabro. Roma: Edizioni mediterranee.
— Evola, Julius. 2011. L’uomo come potenza. Roma: Edizioni mediterranee.
— Evola, Julius. 2006. Saggi sull’idealismo magico. Roma: Edizioni mediterranee.
— Evola, Julius. 2001. Oriente e Occidente. Roma: Edizioni mediterranee.
— Evola, Julius. 1988. Teoria dell’individuo assoluto. Roma: Edizioni mediterranee.
— Sessa, Giovanni. 2019. Julius Evola e l’utopia della tradizione. OAKS editrice.
Non è stato possibile reperire l’autore dell’immagine qui pubblicata, che viene utilizzata per uso di critica o di discussione, con mere finalità illustrative e comunque con esclusione di ogni fine commerciale ai sensi dell’articolo 70 comma 1 della legge 22 aprile 1941 n. 633, come modificato dalla legge 22 maggio 2004 n. 128.