La dialettica vero – falso nella Fenomenologia dello spirito (I)

Per riflettere sul tema della dialettica di vero e falso a muovere dalla Vorrede della Fenomenologia dello spirito di Hegel, prendiamo avvio da quello che può venire considerato il punto che introduce direttamente al tema indicato. In tale punto, infatti, Hegel indica come deve venire intesa la «verità filosofica» (Hegel 1976, 1).

Hegel inizia il suo discorso con una precisazione e afferma che tale concetto non può venire adeguatamente espresso in una Prefazione.

Ordinariamente, egli scrive infatti, si è portati a pensare che la verità filosofica, poiché la filosofia «è essenzialmente nell’elemento dell’universalità la quale chiude in sé il particolare» (Hegel 1976, 1), sia reperibile «nel fine e nei resultati ultimi» (Ibidem), poiché in questi si trova espressa «la cosa stessa proprio nella sua perfetta essenza» (Hegel 1976, 1).

Di conseguenza, si tende a pensare che «Rispetto a questa essenza lo sviluppo dell’indagine dovrebbe propriamente costituire l’inessenziale» (Hegel 1976, 1).

Di contro, Hegel non fa sua questa prospettiva e dichiara che il fine non può venire assunto a prescindere dal processo che ad esso conduce. Questo aspetto, tuttavia, non verrà ora preso in esame.

Qui ci concentriamo, invece, su un altro aspetto e rileviamo che il primo punto che egli discute espressamente riguarda l’errore che, a suo giudizio, consiste nel contrapporre il vero e il falso, intesi in senso rigido: «Quanto più rigidamente l’opinione concepisce il vero e il falso come entità contrapposte, tanto più poi, in rapporto a un diverso sistema filosofico, si aspetta unicamente o approvazione o riprovazione, e soltanto o l’una o l’altra sa vedere in una presa di posizione rispetto a quel diverso sistema stesso. Non tanto l’opinione riesce a farsi un concetto della diversità dei sistemi filosofici, quanto piuttosto nella diversità scorge più la contraddizione che non il progressivo sviluppo della verità» (Hegel 1976, 2).

Così Cicero traduce questo punto, che giudichiamo cruciale: «Il fatto è che l’opinione, scorgendo nella diversità unicamente la contraddizione, è incapace di concepire la diversità fra sistemi filosofici come lo sviluppo progressivo della verità» (Hegel 1995, 51).

Hegel intende, dunque, criticare quella concezione che fa del vero e del falso due entità contrapposte. Se si procede in base a questa concezione, egli dice, si fanno valere giudizi rigidi, per i quali un enunciato o un sistema di enunciati sarà aut vero aut falso.

In questo modo, prevarrà una logica bivalente, secondo la quale si impone un’alternativa, cioè una relazione disgiuntiva esclusiva, che impone come vero solo uno dei suoi due corni, escludendo che possa esservi una terza possibilità (tertium non datur).

Allo stesso modo, nel valutare un sistema filosofico, diverso da quello con cui si valuta, si perviene ad una soltanto delle due opzioni: lo si approva o lo si rifiuta, senza mezzi termini.

Questo modo di procedere, che è caratteristico dell’opinione, cioè della doxa, sempre secondo Hegel – non riesce a concepire la diversità, perché nella diversità di sistemi, o di enunciati, vede l’antitesi, fino alla contraddizione, nel senso che, di due sistemi diversi, si opina che uno debba risultare vero e l’altro falso, giacché il loro rapporto viene inteso, appunto, come un rapporto di contraddittorietà.

A questo proposito, e per introdurre la riflessione critica, riteniamo opportuno proporre una breve digressione concernente il rapporto che, secondo Aristotele, deve sussistere tra contraddizione e contrarietà, le quali, a suo giudizio, debbono essere tenute distinte.

Secondo quanto viene indicato nella Metafisica, lo Stagirita svolge un’analisi del concetto di opposizione e rileva che “contrari” sono quei termini che ammettono termini intermedi (ad esempio, il bianco e il nero, che ammettono una gradazione di grigi), laddove “contraddittori” sono quelli che non li ammettono (ad esempio, bianco/non bianco).

Ciò che ne consegue è che i contraddittori danno luogo ad un’alternativa che divide in due sezioni quello che potrebbe venire definito il campo del reale, dal momento che una qualunque determinazione cade necessariamente o nell’uno o nell’altro dei due campi (Aristotele 1978, 430).

L’alternativa, come detto, è una relazione disgiuntiva esclusiva (aut, aut) e la conciliazione dei termini è impossibile. Tale conciliazione costituisce non altro che una contraddizione, poiché si configura come la conciliazione di inconciliabili.

Seguendo l’indicazione aristotelica, ci si dovrebbe chiedere se “vero” e “falso” configurino due termini contrari o contraddittori.

La risposta, accettando il pensiero di Hegel, non può che essere questa: si tratta di due termini contrari. Per quale ragione, allora, tra di essi dovrebbe instaurarsi un rapporto di contraddittorietà?

Forse, proprio questo intende affermare Hegel: precisamente in ragione del fatto che vero e falso sono contrari, tra di essi non si deve pensare una rigida alternativa, la cui sintesi non porterebbe che alla conciliazione di inconciliabili, dunque alla contraddizione.

Che è come dire: li si deve pensare come contrari perché, così intesi, essi ammettono sfumature intermedie o, se il medesimo concetto viene espresso con le parole di Hegel, la verità non viene più considerata come un’entità statica e rigida, bensì come dinamica e duttile, tale cioè da inglobare il falso e trascenderlo, riducendolo a suo momento (come Hegel dirà successivamente).

La verità, insomma, va pensata come qualcosa che evolve e che, nel suo evolvere, può assumere forme anche diverse tra di loro, che solo una concezione non filosofica tende a contrapporre in modo rigido.

Come esemplificazione, Hegel fa riferimento al bocciolo che si trasforma allorché fiorisce, in modo tale che, se si usasse un sistema di valutazione rigido, si finirebbe con l’affermare che la prima forma (il bocciolo) è “confutata” dalla seconda (il fiore), laddove la seconda è la trasformazione, e dunque l’inveramento, della prima. Lo stesso discorso, del resto, può venire fatto per il fiore e il frutto.

Ma attenzione. Hegel sostiene che le due forme sono «reciprocamente incompatibili» (Hegel 1976, 2), ovverosia esse non possono coesistere nel medesimo tempo, ma sono non di meno dotate di «fluida natura [che] ne fa momenti dell’unità organica, nella quale esse non solo non si respingono, ma sono anzi necessarie l’una non meno dell’altra; e questa eguale necessità costituisce ora la vita dell’intiero» (Hegel 1976, 2).

In effetti, per Aristotele vero e falso, essendo appunto contrari, sono l’uno la negazione dell’altro. Se non che, la questione concerne proprio il concetto di “negazione”. Se il vero, per essere vero, deve negare il falso, e se la negazione, per essere determinata, deve disporsi sul suo “negato” (negazione di nulla, infatti, configura una negazione-nulla), allora la posizione del falso diventa essenziale alla posizione del vero.

Il falso entra così nella costituzione del vero, come suo momento, anche se Hegel dirà come un momento «tolto».

Si potrebbe, dunque, riassumere il discorso svolto in questi termini: se vero e falso fossero contraddittori, non solo sarebbero inconciliabili, ma altresì sarebbe precluso il passaggio dall’uno all’altro, perché o si pone l’uno oppure si pone l’altro; vero e falso non si pongono mai insieme.

Di contro, se vengono pensati come contrari, ancorché l’uno sia la negazione dell’altro, essi possono venire conciliati, tant’è che, per Hegel, il falso entra, come «tolto», nella costituzione stessa del vero.

Questo poggiare del vero sul falso costituisce, a nostro giudizio, il primo e fondamentale tema con il quale ci si imbatte leggendo la Prefazione e su di esso si deve attentamente riflettere, giacché non può essere accettata in forma acritica l’interpretazione fornita da Hegel: come è possibile, ci si deve domandare, che il vero necessiti del falso per essere? E ancora: come potrà essere considerato il vero autentico quello che necessita del suo contrario?

La risposta, che possiamo azzardare in prima battuta, ci sembra la seguente: se il vero è assunto in forma determinata, cioè come una qualunque altra determinazione, allora non potrà porsi che contrapponendosi alla propria differenza: dunque, al falso. Ma la domanda è: il vero è una determinazione come tutte le altre oppure non può venire determinato, per il suo valere quale assoluto?

In effetti, Hegel considera certamente il vero come assoluto. Non a caso, egli usa le seguenti parole per sottolineare questo concetto: «l’Assoluto solo è vero, o il Vero solo è assoluto», secondo quanto scrive nell’Introduzione alla Fenomenologia (Hegel 1976, 67).

Se non che, nonostante queste parole, egli poi non evita affatto di determinarlo (si veda Stella 2021).

A nostro giudizio, fare dell’assoluto un determinato costituisce un problema teoretico di prima grandezza, che non può non suscitare un’attenta riflessione, che contiamo di proseguire nei prossimi articoli che dedicheremo alla Fenomenologia.

 

Riferimenti bibliografici

  • Aristotele. 1978. Metafisica, X, 7, 1057 a 18-32 (trad. it. di G. Reale). Milano: Rusconi.

  • Hegel, Georg Wilhelm Friedrich. 1976. Phänomenologie des Geistes (1807), in Sämtliche Werke, dritte Auflage der Jubiläumsausgabe, Bd. 2, hrsg. von H. Glockner, Frommann-Holzboog, Stuttgart-Bad Cannstatt 1964; trad. it. di E. De Negri, Fenomenologia dello spirito, Vol. I, La Nuova Italia, Firenze 1976, sec. rist. della sec. ediz. [1960].

  • Hegel, Georg Wilhelm Friedrich. 1995. Fenomenologia dello spirito (trad. it. di V. Cicero). Milano: Rusconi.

  • Stella, Aldo. 2021. La Prefazione alla Fenomenologia dello spirito di Hegel. Interpretazioni critiche e approfondimenti teoretici. Roma: Aracne.

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Università per Stranieri di Perugia e Università degli Studi di Perugia · Dipartimento di Scienze Umane e Sociali Filosofia teoretica - Filosofia della mente - Scienze cognitive

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