La natura delle regole in Wittgenstein

Questo lavoro intende mostrare come la filosofia di Wittgenstein, tutta tesa al riconoscimento ossessivo dell’onestà intellettuale, morale ed esistenziale, possa essere un utile strumento per prendere le distanze dal pensiero conservatore a livello etico-politico. Lo fa riflettendo sul ruolo delle regole che riguardano la costruzione dei giochi linguistici con i quali, ad esempio, calcoliamo, pensiamo e agiamo. Si mostra come le regole non siano calate dall’alto e trascendenti i giochi ma siano invece ad essi immanenti. Esse rispondono alle urgenze vitali, esistenziali e quotidiani dell’uomo. L’orizzonte di senso, la forma di vita, ne determina la loro applicazione, tuttavia questa nozione non è intesa in senso immutabile. Seguendo infatti l’argomentare wittgensteiniano, in particolar modo in Della Certezza, si mostra come le regole, l’alveo del fiume, si possono spostare sotto la forza dell’acqua, cioè delle urgenze vitali che, potenzialmente possono anche ribaltare l’ordine costituito in senso etico-politico.

«Se uno non mente, è originale quanto basta»
Ludwig Wittgenstein

 

Introduzione
Le riflessioni sul linguaggio di Wittgenstein non rappresentano un mero oggetto di erudizione e non vogliono peraltro essere una forma di sua regolamentazione dall’alto.
L’uomo Wittgenstein, oltre che il filosofo, ha sempre lottato in tutta la sua vita, in un’atmosfera di forte tensione etica, eredità della grande Vienna (Janik – Toulmin 1975), contro tutte le ipocrisie umane con l’obiettivo di raggiungere la decenza e la completa sincerità con sé stesso.
Tenteremo, in quest’ottica, di sviluppare un discorso riguardo quindi gli aspetti etico-politici della riflessione wittgensteiniana.
È stato più volte ribadito, nella letteratura critica, l’aspetto comunitario (ad es. Kripke 2000) del suo ritorno alla filosofia, comunque di superamento del solipsismo inerente il Tractatus e di un’apertura all’aspetto sociale delle pratiche linguistiche. Al di là dell’argomento proposto da Kripke e di tutto il dibattito critico che ne è seguito, è ormai sostanzialmente accettato da tutti il fatto che il discorso di Wittgenstein vede l’uomo, non chiuso in modo solipsistico in sé stesso, ma all’interno di una comunità sociale che si organizza in una determinata maniera. Del resto, scrive il filosofo austriaco a proposito dell’importanza del contesto in cui una parola è usata, per risolvere i fraintendimenti filosofici: «questa parola viene mai effettivamente usata così nel linguaggio, nel quale ha la sua patria? – Noi riportiamo le parole, dal loro impiego metafisico, indietro al loro impiego quotidiano» (Wittgenstein, 2009b, § 116). Ed è proprio sulla vita quotidiana che viene gettato lo sguardo della riflessione, o meglio della descrizione, del nostro modo di esprimerci, o per esprimerci in termini wittgensteiniani, di effettuare giochi linguistici. I giochi linguistici hanno senso inoltre, all’interno dell’orizzonte della forma di vita: «vero e falso è ciò che gli uomini dicono; e nel linguaggio gli uomini concordano. E questa non è una concordanza delle opinioni, ma della forma di vita» (Wittgenstein, 2009b, 241.). Anche sul concetto di forma di vita è stato detto molto (cfr Andronico 1998), qui ci soffermiamo sul suo carattere di orizzonte di senso. La forma di vita è l’orizzonte all’interno del quale si stagliano i nostri giochi linguistici, quello sfondo che dà senso al nostro relazionarsi nel mondo.
Questo tipo di sfondo, come vedremo più attentamente di seguito, non risulta fondato. Non c’è possibilità alcuna di spiegarlo con ragioni. Scrive Wittgenstein in una nota del 1931: «l’inesprimibile (ciò che mi appare pieno di mistero e che non sono in grado di esprimere) costituisce forse lo sfondo sul quale ciò che ho potuto esprimere acquista significato» (Wittgenstein 2009a, 43).
Ci soffermeremo dunque, a partire da questi aspetti che svilupperemo nei due paragrafi successivi, i possibili sviluppi in senso etico-politico della filosofia di Wittgenstein. Perché la nostra attività linguistica è parte integrante della nostra vita, c’è tutto uno sfondo prelinguistico che ne fa da sostegno, un sostegno che, come vedremo, paradossalmente risulta infondato.

«Make up the rules as we go along» (Wittgenstein 2009a, § 83)

Come abbiamo visto, il filosofo austriaco vuole descrivere le nostre pratiche linguistiche quotidiane. Wittgenstein, fin dal Tractatus, era profondamente avverso al teorizzare filosofico e alla ricerca di una spiegazione ultima, a tal proposito scrive nel Libro blu:

I filosofi hanno sempre davanti agli occhi il metodo della scienza, ed hanno l’irresistibile tentazione di porre domande, e di rispondere alle domande, nello stesso modo in cui lo fa la scienza. Questa tendenza è la reale fonte della metafisica, e porta il filosofo nell’oscurità completa. Ma il nostro compito non può mai essere quello di ridurre qualcosa a qualcosa, o di spiegare qualcosa. La filosofia è, in realtà, ‘puramente descrittiva’ (Wittgenstein 2000, 28)

La spiegazione, o l’ansia di generalità e la ricerca delle definizioni vanno abolite in filosofia. La filosofia ha esclusivamente un compito descrittivo. Del resto, già nel Tractatus, Wittgenstein affermava che la filosofia non costruisce teorie, ma è piuttosto «un’attività» (Wittgenstein 2009c, 4.112).
L’attività del filosofare è dunque diretta all’analisi delle nostre pratiche linguistiche, ogni formula generale deve essere abolita, lo stesso procedere argomentativo wittgensteiniano è fatto di esempi, controesempi ed immagini. Un’immagine potente usata per descrivere il linguaggio è quello del gioco degli scacchi: più volte infatti Wittgenstein paragona i giochi linguistici a quello degli scacchi (Wittgenstein 1988, § I 130). Come ogni gioco, anche gli scacchi hanno delle regole, le regole le impariamo giocando, ad esempio il pedone può solo fare certi movimenti e non altri e così anche gli altri pezzi. L’aspetto centrale, però, della riflessione sulle regole sta nel fatto che esse non sono calate dall’alto. Sono, per così dire, immanenti il gioco stesso. Se cambiamo le regole cambia la tipologia di gioco, (ad esempio, nel nostro caso, potrebbe subentrare la dama ecc.): le regole sono costitutive un determinato gioco linguistico.
Svolge una funzione fondamentale dell’apprendimento l’addestramento. Attraverso di esso, all’interno di un determinato sfondo dato per scontato dalla comunità (la forma di vita), il maestro insegna all’allievo il giusto uso delle proposizioni che formano le nostre pratiche linguistiche. Tuttavia, non esiste a priori un orizzonte trascendentale (immodificabile) che stabilisca il giusto uso delle nostre proposizioni; piuttosto si tratta, come già detto, di regole immanenti l’uso stesso dei giochi. Le regole le impariamo giocando, «non posso descrivere come (in generale) si debba impiegare una regola, se non insegnando, addestrando a impiegare una regola» (Wittgenstein 2007, § 318). L’uomo, secondo Wittgenstein, si potrebbe descrivere anche come «animale cerimoniale» (Wittgenstein 2013, 26), e subito dopo aggiunge che «questo è in parte sbagliato, in parte assurdo, ma contiene anche qualcosa di giusto» (Ibidem). Questa immagine infatti non va confusa con una nuova definizione/spiegazione filosofica dell’essenza dell’uomo, è solo utilizzata per descrivere uno dei modi in cui si realizzano le nostre pratiche sociali. L’uomo ha bisogno di simboli e questi simboli non poggiano su opinioni sulle quali si raggiunge un consenso. Si deve andare molto più nel profondo. Scrive Bouveresse «questo consenso, prima di tutto, è proprio un consenso nel modo di esistere e non nei modi di pensare» (Bouveresse 2013, 81). Questo consenso è la forma di vita, un che di istintuale proprio di una comunità. A tal proposito un passo di Della certezza risulta davvero esemplificativo: «questo, però, vuol dire che io voglio concepirla come qualcosa che giace al di là del giustificato e dell’ingiustificato; dunque, per così dire, come un che di animale» (Wittgenstein 1999, § 359). Insomma le regole rientrano nell’orizzonte della forma di vita, questa sembrerebbe essere un che di istintuale, non frutto di riflessione e neanche di una convenzione consapevole, un accordo stipulato dagli esseri umani di una determinata comunità. Insomma il fondamento starebbe nell’istinto, nella nostra storia naturale? O invece si tratta di forme di vita che possono modificarsi nel tempo? Ricordiamo che Wittgenstein sostiene nella seconda parte delle Ricerche che «per i nostri scopi, una storia naturale potremmo anche inventarla» (Wittgenstein 2009b, 299), il che lascia presupporre che non sia necessariamente questo il senso delle sue affermazioni. Ad ogni modo, qui vogliamo concentrarci non tanto sull’aspetto filologico della questione ma, in linea con le intenzioni di Wittgenstein («Non vorrei, con questo mio scritto, risparmiare ad altri la fatica di pensare. Ma, se fosse possibile, stimolare qualcuno a pensare da sé». Cfr. Wittgenstein 2009b, p. 5), portare avanti nuove ipotesi di pensiero e di analisi. Dunque, per i nostri scopi, ci soffermiamo sulla domanda, le regole secondo le quali giochiamo, sono fondate? Possiamo darne una giustificazione? La forma di vita è giustificabile razionalmente? Perché agiamo così? Possiamo dare una fondazione ultima del nostro agire? In altri termini un orizzonte normativo di riferimento? La risposta di Wittgenstein, come in parte abbiamo già visto, è nettamente negativa. Certo è possibile, all’interno dell’orizzonte in cui si stagliano le regole, giustificare il modo in cui calcoliamo, pensiamo, agiamo, ma non è possibile giustificare le regole stesse. In altre parole: «quando ho esaurito le giustificazioni arrivo allo strato di roccia, e la mia vanga si piega. Allora sono disposto a dire: “Ecco, agisco proprio così”» (Wittgenstein 2009b, § 217.) o ancora «la catena delle ragioni ha un termine» (Wittgenstein 2009b, § 326). La definizione è infatti un finto cornicione che non sorregge nulla (Wittgenstein 2009b, § 217), non ci sono ragioni ultime che possano giustificare il nostro agire così e così. Anzi «alla profondità dell’essenza corrisponde il profondo bisogno della convenzione» (Wittgenstein 1988, § 74). Il nostro agire convenzionale (si badi bene, qui convenzionale non significa frutto di un accordo) non è fondato: «sta lì – come la nostra vita» (Wittgenstein 1999, § 559).

Orizzonti etico-politici
Se le regole e tutto il nostro agire risulta infondato, quali sono gli orizzonti etico-politici che si aprono? Spesso Wittgenstein è stato associato ad una forma di pensiero conservatore, soprattutto per le sue posizioni in merito alla funzione meramente descrittiva della filosofia, che «lascia tutto com’è» (Wittgenstein 2009b, § 124), non fonda nulla e non modifica nulla. Vogliamo invece concentrare l’attenzione sulla condizione dei devianti cui più volte Wittgenstein fa riferimento nelle sue immagini. Ad esempio l’allievo recalcitrante che più volte compare nelle Ricerche, il quale nonostante l’addestramento del maestro si ostina a procedere in una maniera difforme rispetto alla metodologia considerata ordinaria.
Questo esempio non è peregrino. Proprio infatti nel momento dell’impasse, quando cioè il maestro non riesce a giustificare all’allievo la nozione di regola, immediatamente è portato a riflettere sulla sua fondazione. Si rende conto che le regole non hanno niente di costrittivo e di trascendente il linguaggio. Wittgenstein, come osserva giustamente Gargani, elabora:

la metodologia costruttivistica per effetto della quale è richiesta ad ogni passo di una successione matematica una nuova decisione, per cui non vi sono concetti universali, bensì “somiglianze di famiglia” e secondo la quale viene respinto il “super-ordine tra super-concetti” e viene operata la dissoluzione della stessa analiticità (Gargani 2008, 16)

L’opzione costruttivistica si estende a tutte le nostre pratiche linguistiche, compresi i gesti che facciamo. Continua Gargani:

il gesto non è un frammento isolato, ha il significato che ha indipendentemente da ogni regola, in quanto è espressione immanente e autonoma della nostra risposta, nuova e originale di fronte alle manifestazioni e agli eventi della nostra vita in una serie di connessioni che costituiscono la cultura in cui siamo immersi (Gargani 2008, 17)

In altri termini, non vi è niente di prestabilito. Tutte le nostre pratiche gestuali, linguistiche, musicali, matematiche corrispondono a dei bisogni prelinguistici che si riferiscono alla nostra vita che ne risulta, per così dire, la sua fondazione infondata. A mio modo di vedere, questa considerazione apre numerose prospettive di rinnovamento etico-politico. In primo luogo, se non c’è nulla di necessario trascendente i bisogni umani, non c’è nessuna ragione per ritenere che la realtà etico-politica all’interno della quale ci troviamo a vivere non possa essere modificata. Anzi, questa prospettiva può aprire, al contrario, nuove prospettive di cambiamento e anche, forse, di rottura con l’ordine costituito.
Wittgenstein non si è mai personalmente dedicato alla militanza politica, restando per lo più ai margini di una cultura considerata in decadenza (Bouveresse 2000). In quella che avrebbe dovuto essere la prefazione alle Osservazioni filosofiche, il filosofo austriaco dichiarava la propria estraneità alla cultura (nel senso di civilizzazione, Zivilisation) europea e americana. Questa è dominata dalla tecnica e dal concetto di progresso. In essa ogni energia del singolo è tutta dedita a fini privati. La civiltà invece [Kultur]: «è come una grande organizzazione, che indica a chiunque le appartenga il posto in cui può lavorare nello spirito del tutto» (Wittgenstein 2009a, 27). E aggiungeva:

per quanto mi sia ben chiaro che la scomparsa di una civiltà non significa la scomparsa del valore umano, bensì soltanto di certi modi di esprimerlo, rimane però il fatto che io considero senza simpatia la corrente della cultura europea, né ho comprensione per i suoi fini, ammesso che ne abbia. Io scrivo quindi in realtà per alcuni amici dispersi negli angoli del mondo (Wittgenstein 2009a)

Nonostante il filosofo austriaco si sentisse ai margini del mondo della cultura moderna, il suo pensiero, ossessionato dall’onestà, non solo intellettuale ma anche esistenziale, teso a fare chiarezza, a tracciare dei limiti, risulta, proprio per il suo carattere di risposta alle nostre urgenze quotidiane e sociali, niente affatto conservatore, ma anzi un veicolo, a mio parere, di risposta anche potenzialmente rivoluzionaria a nuove esigenze vitali ed esistenziali. Perché il seguire una regola non è affatto un affare calato dall’alto e immodificabile, sta tutto nella prassi e la prassi risponde alla vita. Infatti, scrive Wittgenstein: «io faccio una distinzione tra il movimento dell’acqua nell’alveo del fiume, e lo spostamento di quest’ultimo; anche se, tra le due cose, una distinzione netta non c’è» (Wittgenstein 1999, § 97). Insomma le regole, l’alveo del fiume, si possono spostare sotto la pressione dell’acqua (Wittgenstein 1999, § 99), cioè dei bisogni inerenti le nostre pratiche sociali e quotidiane.

 

Riferimenti bibliografici

  • Andronico, Marilena. 1998. Antropologia e metodo morfologico. Studio su Wittgenstein. Napoli: La Città del Sole.
  • Bouveresse, Jacques. 2000. L’oscurità del tempo presente: Wittgenstein e il mondo moderno, in D. Sparti (a cura di), Wittgenstein politico. Milano: Feltrinelli.

  • Bouveresse, Jacques. 2013. Wittgenstein antropologo, in L. Wittgenstein, Note sul “ramo d’oro” di Frazer.

  • Gargani, Aldo Giorgio. 2008. Wittgenstein. Musica, parola, gesto. Milano: Raffaello Cortina.

  • Janik, Allan – Toulmin, Stephen. 1975. La grande Vienna (trad. di U. Giacomini). Milano:  Garzanti.

  • Kripke, Saul. 2000. Wittgenstein su regole e linguaggio privato (trad. di M. Santambrogio). Torino: Bollati Boringhieri, Torino.

  • Sparti, Davide (a cura di). 2000. Wittgenstein politico. Milano: Feltrinelli.

  • Wittgenstein, Ludwig. 1988. Osservazioni sui fondamenti della matematica (trad. di M. Trinchero). Torino: Einaudi.

  • Wittgenstein, Ludwig. 1999. Della Certezza (trad. di M. Trinchero). Torino: Einaudi.
  • Wittgenstein, Ludwig. 2000. Libro blu, in Libro blu e libro marrone (a cura di A. G. Conte). Torino: Einaudi.

  • Wittgenstein, Ludwig. 2007.  Zettel (trad. di M. Trinchero). Torino: Einaudi.
  • Wittgenstein, Ludwig. 2009a. Pensieri diversi (a cura di M. Ranchetti). Milano: Adelphi.

  • Wittgenstein, Ludwig. 2009b. Ricerche filosofiche (trad. di R. Piovesan e M. Trinchero). Torino: Einaudi.

  • Wittgenstein, Ludwig. 2009c. Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916 (trad. di A. G. Conte). Torino: Einaudi.

  • Wittgenstein, Ludwig. 2013. Note sul “Ramo d’oro” di Frazer (trad. di S. de Waal). Milano: Adelphi.

Photo by Inactive. on Unsplash

Lascia un commento

*