Giorgio Colli e lo scacco al Logos

Nel riflusso, titolo della seconda parte di Filosofia dell’espressione, Colli ci porta all’interno del labirinto costruito dal logos nel tentativo di celare il più oscuro dei suoi segreti. Come un filo di Arianna, il testo ci guida attraverso un’intricata rete di categorie che viste insieme articolano una logica tanto complessa quanto radicata in profondità. L’esito di tale percorso è ancora incerto, ma proprio alla fine sembra di scorgere un piccolo spiraglio di luce. Seguirlo è l’unica possibilità rimasta.

Analisi della rappresentazione

Nel suo accadere, anche il logos umano è un insieme di gioco e violenza. Nella relazione con il mondo, espressione e rappresentazione (cioè il dato e l’ipotesi metafisica che si elabora a riguardo) coincidono, ma non può dirsi lo stesso quando si tenti di recuperare questa immediatezza attraverso la memoria. Entrando nel mondo dell’astrazione infatti, il riflusso espressivo (cioè quell’istinto ad esprimersi ulteriormente per estendere la conoscenza relativa ad un contatto che però finisce per allontanarci sempre di più dalla sua immediatezza) ci rituffa all’interno del mondo della rappresentazione relegando ancora una volta,la visione dell’oggetto in sé, all’istante iniziale del processo astrattivo. Tutto ciò si rende massimamente evidente se si provi ad indagare la forma del concreto. Anche se attraverso la memoria le rappresentazioni primitive perdono la loro primordialità infatti, non per questo perdono la loro natura di espressioni (il loro essere un articolarsi del mondo pre-rappresentativo con tutto il suo carico di ambiguità). Perciò la rappresentazione astratta, per ordinare tali espressioni prime all’interno del proprio schema rappresentativo,le trasforma in oggetti che seguono la causalità e in quanto effetti li fa apparire come immagini concrete. In poche parole quindi, è l’astrazione stessa a dare forma alla concretezza, la precede e la sostanzia attraverso il nesso causale che consegna gli oggetti alla necessità.

Ci sono due modi in cui una rappresentazione astratta può offrire un oggetto: se si concentra sul delimitare la sua capacità di esprimere l’immediato, abbiamo l’universale (l’oggetto astratto in senso proprio), se invece si concentra sullo slancio espressivo (cioè sulla capacità di rievocare il proprio legame con le passate esperienze da cui trae sostanza) e sul suo irradiarsi abbiamo il nesso (l’intreccio fra oggetto e quella parte di soggetto che rimane all’interno del suo ricordo). Proprio questo secondo aspetto permette di individuare uno degli elementi chiave dell’intero sistema di Colli: l’oggetto aggregato (o integrato), ossia quell’oggetto che dopo il contatto emerge dalla sommatoria di tutti i ricordi ad esso simili già presenti in memoria. In effetti, a ben vedere possiamo affermare di essere di fronte alla forma grossolana di un universale, il passaggio a questo tuttavia, non è immediato. In quanto convergenza di attimi infatti, l’oggetto integrato conserva ancora troppo degli elementi che lo costituiscono, «l’universale è al contrario uno svuotamento, uno spogliarsi della contingenza degli attimi». Quest’ultimo dunque nasce per induzione (cioè dal particolare all’universale), sommando oggetti integrati simili al fine di individuare un ente semplice, identico in ogni punto della serie e svuotato di ogni peculiarità. La somiglianza dunque è alla base della possibilità stessa di poter ovviare all’evanescenza dei ricordi unificandoli in un intreccio che però viene frainteso come identità. Ecco quindi che la semplicità passa dal contatto immediato al nesso e poi all’oggetto aggregato come fosse una peculiarità sua. Questa invisibile falsificazione del linguaggio sfocia in ciò che chiamiamo “mondo”, cioè in quella realtà che siamo soliti pensare come verità, come evidenza suprema, e che invece già inizia a mostrare i primi segni di cedimento.

Questi oggetti che noi pensiamo semplici, attraverso la mediazione del logos danno poi forma ad un nuovo tipo di oggetto: l’oggetto composto, formato «attraverso l’unione di oggetti semplici in una serie espressiva astratta, che pur persistendo come parti componenti si fondono in una nuova unità». Nascono i giudizi. «Il giudizio si definisce come l’espressione verbale (ossia espressione impropria) di un oggetto, semplice – sia oggetto integrato sia universale – o composto in forma binaria», questi ultimi in particolare costituiscono le molecole del linguaggio.

La rete delle categorie

Quando parla di categorie, Colli intende «un’interpretazione del meccanismo rappresentativo» e più in particolare, «le rappresentazioni come nessi in quanto espresse nel linguaggio»; esse in pratica esprimono il connettivo degli universali. Come già accennato, e come si renderà chiaro in seguito, un ruolo fondamentale lo gioca la categoria della causalità. Questa «esprime il nesso produttivo dell’oggetto astratto», perché produrre rappresentazioni astratte in funzione della somiglianza «significa pensare la rappresentazione attuale come effetto di quella passata». Fa da seguito la categoria dell’essere «che esprime la rappresentazione del nesso – come unione interna all’oggetto semplice o composto – in quanto riferito al contatto metafisico»; e dove il nesso sta ad indicare un equilibrio raggiunto rimanda alla categoria dell’unità. Ecco, «l’essere esprime quello che è espresso dall’unità, e qualcosa in più, il richiamo al contatto». L’oggetto dunque è già presente quando interviene la categoria dell’essere, essa si limita ad esprimere quanto già in atto senza possedere alcun potere unificatore; elemento che fa decadere ogni possibile distinzione tra essere esistenziale e copulativo. Di contro, la categoria del non essere «esprime la rappresentazione del nesso in quanto mancante di un riferimento al contatto metafisico». Essa dichiara mancante l’unità dell’oggetto perché manca la corrispondenza con l‘immediatezza. Vero e falso, dunque, si pongono come le categorie che testimoniano la presenza o l’assenza di un riferimento al contatto metafisico. Esse testimoniano il legame dell’oggetto conosciuto con la dimensione pre-rappresentativa che, per quanto rifugga all’indietro, rimane comunque il fondamento inattingibile del conoscere stesso. Perciò, come l’unità, anche la verità si lega alla categoria dell’essere.

Quando queste rappresentazioni come nessi (le categorie appunto) si vengono a declinare sul piano linguistico però, ecco che la categoria della causalità inizia a svelare il proprio ruolo predominante nello scacchiere del logos. «Il punto cruciale dell’intrico sta nella formazione dell’oggetto aggregato: qui il nesso causale va delineandosi e affermandosi in un momento prelinguistico e di conseguenza non si può ancora introdurre in modo pertinente la categoria della causalità. Il linguaggio interviene con la designazione della singolarità, quando l’oggetto aggregato si è già costituito; e allora interviene anche l’è». Tutto quindi si pone come conseguenza di quel pensare come semplice ciò che invece è complesso. L’oggetto aggregato infatti, viene posto come causa dei ricordi che lo compongono, mentre invece, come visto prima, esso ne è conseguenza perché è per analogia ch’esso viene a porsi. Nell’oggetto aggregato dunque «tutte le parti del soggetto della rappresentazione organica che sono divenute oggetto nel persistere o nel ripresentarsi dei ricordi degli attimi» sono unificate in un’unica rappresentazione. In tale contesto «il tempo è la rappresentazione del nesso della causalità primitiva; lo spazio è la rappresentazione della causalità invertita»; entrambi quindi fanno parte della “rappresentazione come nesso” che produce l’oggetto astratto e di conseguenza quello integrato. Sul piano dell’astrazione infatti, tempo e spazio vengono svuotati del primitivo elemento di gioco per diventare forme schematiche della successione, un sostegno per poter applicare la categoria della causalità al mondo.

Di fianco a quelle analizzate, Colli parla anche delle categorie della quantità che «esprimono i nessi interni agli oggetti, prescindendo dal vincolo causale che li ha costituiti e dal loro riferimento all’immediatezza». A tal proposito, la simultaneità dei componenti di un oggetto aggregato va a costituire la categoria della molteplicità, col passaggio all’universale invece, emerge la categoria dell’infinito che esprime la rappresentazione del nesso di un oggetto che ha definitivamente perso ogni sua componente in favore di un contenuto indifferenziato e omogeneo. L’impossibilità di numerare le parti che costituiscono queste due categorie le fa rientrare a loro volta all’interno della categoria dell’indistinto, che poi si declina nella più rilevante categoria della totalità.
Mentre le categorie della qualità riguardano la struttura di un oggetto, e quelle della quantità ne esprimono i nessi interni, la modalità condiziona la formazione stessa degli oggetti astratti, costituisce i termini che fanno loro da oggetto; perciò secondo Colli le va concesso un ruolo centrale. Essa si articola a sua volta in due specie contrapposte: la categorie del contingente e quella del necessario. Chiude il quadro la categoria della relazione che è «l’estrema condizione ed essenza della rappresentazione» ed in quanto tale, alla luce del ruolo conferito a quest’ultima nel sistema in questione, essa è parimenti «l’essenza astratta di ogni cosa».

Il vertice dell’astrazione

Se l’archè, ossia il principio di tutte le cose, nel sistema filosofico di Colli è simboleggiato dal fanciullo allo specchio (metaforico rimando al contatto metafisico), allora il suo culmine si raggiunge cavalcando fino in fondo la spinta espressiva del riflusso. Seguendo tale corso infatti, le rappresentazioni astratte finiscono per sconfinare di nuovo nell’immediatezza (si pensi alle categorie della qualità) e in ciò si assiste ad un oltrepassamento della rappresentatività tale, da innescare un controriflusso. Questa nuova discesa verso l’immediato nel tentativo di coglierne la portata si muove sotto la forma del principio modale: “o necessario o contingente”. Una formulazione che apre a due corollari: «impossibile congiungere contingente e necessario»; e «la definizione delle categorie modali è negativa» (il necessario è il non contingente e viceversa). L’enunciazione del principio modale apre quindi una nuova fase del pensiero, quella della dimostrazione (deduzione): partendo da un oggetto già costituito si può riconoscere se esso sia un’espressione condizionata da un nesso necessario oppure da uno contingente grazie alla sua applicazione. Pertanto, un oggetto condizionato da un nesso modale è necessario se esprime «un vincolo causale o produttivo fra rappresentazioni», mentre è oggetto contingente se esprime «un intreccio casuale fra rappresentazioni». In tal modo però, si assegna una norma di comportamento all’oggetto attraverso una proposizione generale che gli impone qualcosa anziché scoprirne l’essenza. Questa proposizione suona: «un oggetto necessario o è o non è; un oggetto contingente è e non è» e assume il nome di legge qualitativa. A ben vedere poi, la prima parte di essa è l’enunciazione del principio aristotelico del terzo escluso, e in questa forma ne discende un ennesimo corollario: «impossibile congiungere essere e non essere in un oggetto necessario». È a questo punto però che la situazione sembra precipitare. Dall’applicazione del principio modale, segue il corollario: «un oggetto, tanto se è quanto se non è, esprime il contingente o il necessario», tuttavia, per quanto appena detto, se esprime il necessario è escluso che esprima anche il contingente. Quindi, «un oggetto che necessariamente è da un lato esclude che esso contingentemente non sia, e dall’altro esclude che esso necessariamente non sia». Per esclusione qui s’intende che, a seguito dell’esplicitazione dell’elemento di necessità implicito nell’alternativa, il secondo viene escluso, perciò «se l’alternativa è decisa a favore del necessario, ciò significa, per quell’oggetto, l’impossibilità del contingente, se a favore dell’essere, l’impossibilità del non essere». Se le cose stanno così però, la ragione è posta sotto scacco perché «un giudizio necessario affermativo contraddice sia il corrispondente giudizio contingente negativo, sia il corrispondente giudizio necessario negativo, ossia due giudizi tra loro contradditorii». Tuttavia i due contraddittori di uno stesso giudizio dovrebbero identificarsi, non escludersi. Siamo qui di fronte ad un’aporia che Colli chiama “contraddizione triangolare” e dalla quale la ragione può uscire solo isolando l’oggetto nella sfera qualitativa.

Parallelamente a questo, va notato che oltre al nesso causale, la necessità si serve di un ulteriore elemento per imporre il proprio dominio: il nesso ragione-conseguenza, che inverte letteralmente il flusso causale ponendo gli effetti come ragioni delle relative cause-conseguenze (come nell’approccio idealistico). Perciò, se da un lato il nesso causale pone la necessità come l’argomento stesso di una proposizione, dall’altro il nesso ragione – conseguenza sottolinea la necessità che lega due proposizioni, quest’ultimo dunque non risiede negli oggetti ma nel legame che viene a crearsi tra gli oggetti già costituiti. Poiché questi due nessi convergono nel nesso fondamentale della necessità, si può definire la seguente legge della connessione: «tutti gli oggetti astratti in senso proprio si connettono tra loro mediante il necessario». Questa celebrazione della supremazia del necessario all’interno della struttura del logos raggiunge anche l’essere e la verità (che erano profondamente interrelati con gli oggetti astratti), al punto che oltre a perdere il loro richiamo all’immediatezza finiscono per scoprirsi meri strumenti di una costruzione. Il mondo dell’espressione non è altro che un’illusione in cui la commistione di gioco e violenza è stata sostituita dal giogo incontrastato della necessità che soffoca «quell’incertezza segreta che è il fremito stesso della vita». Non resta dunque che tornare al punto in cui tale dominazione ha avuto inizio e percorrere la strada alternativa: quella della contingenza.

Lo scacco matto

«L’oggetto aggregato contingente si forma per il predominio di un elemento di lievità, giocondità o giocosità nella congiunzione tra i ricordi e gli attimi». Quindi, lungi dal portare all’emersione del necessario, il fulcro dell’aggregazione contingente è l’intensità del ricordo degli attimi, dell’immediato, ed è proprio questo che impedisce la convergenza verso la forma unitaria dell’oggetto. L’oggetto contingente è perciò una “congiunzione di attimi”, un’unità non raggiunta che nel tentativo di volgersi all’astrattezza finisce per ripiegare verso l’insufficienza fondamentale che inerisce ogni espressione. Per questo, pensare al giudizio contingente significa pensare ad un incontro fra oggetti del tutto casuale. Dire “l’uomo si ammala” infatti viene frainteso come necessario, occorrerebbe dire “l’uomo può ammalarsi” perché questo implica anche il suo contrario, ossia evoca l’essenza stessa del contingente che “è e non è” insieme. Inserendo questo nuovo punto di partenza, Colli giunge ad un passaggio decisivo, la formulazione della “legge generale della deduzione”. In effetti, la sua comparsa pare fin troppo teofanica, tuttavia essa recita come segue: «un oggetto, se è, per necessità non è; se non è, per necessità è». La semplice lettura getta nella confusione,data il contenuto palesemente autocontradditorio. Eppure, in virtù di quanto precedentemente dedotto, noi sappiamo che per il principio modale se un oggetto è necessario, non può essere contingente, sia che esso sia, sia che esso non sia; a ciò quindi segue che l’oggetto che non è (in quanto impossibilitato ad essere contingente) risulta necessario (e viceversa). Accettando quelle premesse, questa conclusione è logicamente corretta. Anche obiettare che questo dire è per necessità un dire falso in quanto eguaglia vero e falso, non cambia le cose, perché quanto sancito dal principio non è né vero né falso, ma «indica una relazione di necessità fra vero e falso». L’intera dimostrazione ruota intorno a uno stesso oggetto che proprio per il suo essere necessario è impossibile (e viceversa) poiché viene esclusa la possibilità che questo sia contingente. Sul piano formale non c’è conflitto con la prima parte della legge qualitativa (“un oggetto necessario o è o non è”) perché il “se è allora non è” non implica una simultaneità equiparabile a quella di un semplice “è”. Tuttavia, sebbene questa legge stabilisca l’impossibilità di congiungere essere e non essere all’interno di un oggetto necessario, la necessità discendente della legge generale della deduzione è proprio qui che ci porta: «riconosce come oggetto una serie di termini (due dei quali compaiono sia in quanto uniti sia in quanto separati[…]) che la necessità ascendente non poteva aver prodotto in modo da congiungere rispetto a due termini essere e non essere. Il riconoscimento è illusorio, ma la violenza deduttiva rimane: la ragione è in scacco». Con il cedimento della legge qualitativa poi: «l’oggetto necessario è annientato e crolla l’illusione costruttiva del logos». È dunque la stessa necessità che lo crea a distruggere l’oggetto, e con esso tiene in scacco anche l’essere e il non essere. La natura oggettiva della rappresentazione perde la sua stabilità, e quanto su di essa si fonda, come l’interpretazione astratta degli oggetti, la segue. Tuttavia, finché la modalità dell’oggetto necessario non viene svelata, la contraddizione triangolare (due giudizi contraddittori di uno stesso giudizio sono contraddittori fra loro) non emerge e non interviene il rovesciamento della causalità che porta all’emersione della deduzione. «Provvisoriamente l’oggetto resiste», anche se si tratta di un’attesa dell’inevitabile perché «ogni oggetto, come un fantoccio di sabbia, sulla sabbia, attende l’alta marea». L’arché torna nella sua sospensione originaria, il contingente pare salvo e con esso “il fremito stesso della vita”; dove tutto questo ci stia conducendo invece, resta più che mai celato nel cuore del labirinto in cui noi stessi, insieme al logos, ci siamo ormai persi.

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
G. Colli, Filosofia dell’espressione, Adelphi, Milano, 1996.
G. Colli, La natura ama nascondersi, Adelphi, Milano, 1988.
G. Colli, La ragione errabonda, Adelphi, Milano, 2012.

Laureato in filosofia con una tesi su Emanuele Severino e la lettura dell'Eterno Ritorno nietzschiano. Si è occupato di Nietzsche e di Giorgio Colli.

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