Aspettando il tramonto della libertà

La questione della libertà umana costituisce uno degli argomenti più problematici della riflessione filosofica. Il pensiero di Emanuele Severino, che proprio rispetto a tale questione ha scritto molto sia in Studi di filosofia della prassi  che in Destino della necessità, ha offerto un prezioso contributo alla concettualizzazione stessa della libertà e alla comprensione di quale ruolo essa possa occupare nella sua ontologia.

Il mondo di Severino
Per Severino tutto poggia sulla teoria dell’eternità degli enti, la confutazione più radicale di quella che la tradizione filosofica occidentale ha sempre considerato come l’evidenza suprema: l’oscillare degli enti fra l’essere e il nulla, il loro entrare e uscire dall’essere; in una parola: il divenire. Una confutazione basata sul celebre inciso parmenideo dell’ex nihilo nihil fit, in virtù del quale l’entrata/uscita dall’essere è del tutto impossibile perché ingiustificabile se non per via dogmatica. La conseguenza necessaria di tale ragionamento —necessaria nel senso che non potrebbe essere diversamente— è che ogni singolo ente è eterno, cioè da sempre e per sempre identico a se stesso in ogni sua determinazione; dove questo “in ogni sua determinazione” svolge un ruolo fondamentale ai fini di una corretta comprensione della questione. All’interno del tempo eterno infatti, l’unico discrimine in grado di giustificare la nostra percezione di “prima” e “dopo” è legato al fatto che gli enti entrano ed escono dal cerchio dell’apparire, ossia iniziano e smettono di essere visibili — con la precisazione che non c’è in alcun modo corrispondenza tra detto cerchio dell’apparire e la totalità dell’essere. Questo loro apparire e scomparire si articola in una continua successione di stati eterni che non solo distinguono ogni ente dall’altro, ma distinguono le singole determinazioni del medesimo ente. Il che significa: sebbene la legna, preparata nel camino per essere accesa, si mantenga uguale a se stessa, prima e dopo l’inizio del temporale, in realtà in ciascuno dei due contesti, lo stesso esser-legna è una determinazione eterna distinta, nonostante permanga la sua identità. Questa identità poi, costituisce quella che Severino definisce la “crescita” verso il compimento del cammino dell’ente, legato al suo essere questa precisa cosa (e culminante nell’accensione del fuoco). Qui si annida la radice della follia dell’Occidente, la radice del suo nichilismo per cui con il divenire entra nell’essere la dimensione del nulla: un errore che inizia sin dalla grecità.

 Libertà e volontà
Con la nascita della metafisica, il mondo greco pretese di correggere la confusione propria del mondo pre-metafisico (il mondo del mito) introducendo una cesura netta fra essere e nulla, e lo fece a partire dalla definizione della cosa (l’ente) come ciò che è un non-niente, che però al niente è legato in quanto diveniente (si veda il Civitas di Platone). Il risultato ottenuto fu esattamente contrario ai propositi perché, di fatto, ontologizzando il divenire, si aprì la strada alla legittimazione del nichilismo, definendo un ente capace di muoversi fra l’essere e il nulla, quindi libero da ogni vincolo eternizzante. Nel parlare di libertà degli enti infatti, Severino si riferisce alla contingenza, ossia a quella concezione per cui l’esistente sarebbe potuto anche non esistere (niente di più lontano dalla teoria per cui ogni singola determinazione dell’ente è eterna). Questa libertà perciò, porta con sé un’instabilità di fondo che è fonte di nuova insicurezza, costringendo il mortale ad elaborare degli eterni (gli dei immutabili) capaci di mantenere gli enti legati all’essere “necessariamente” — nel senso che soddisfano un bisogno. “Necessità” che è l’espressione di una fin troppo umana volontà di potenza, e che paradossalmente proprio per l’azione di questa verrà sgretolata da Nietzsche (Nietzsche 1887, aforisma 125). Sebbene un simile gesto costi alla volontà di potenza la rinuncia definitiva a ogni assolutezza, le apre la strada verso la pura essenza della libertà, ossia le apre la possibilità di guidare il divenire; un progetto di dominio sulla totalità dell’ente del quale la civiltà della tecnica costituisce la massima espressione. La chiave di tale “potere” infatti, risiede proprio nell’ipoteticità propria del metodo scientifico che, non lasciando alcuno spazio all’immutabilità, estende ad indefinitum le proprie potenzialità di dominio.

Autocontraddizione
Tutto questo però, può fondarsi unicamente sulla negazione del legame che unisce ogni ente a tutti gli altri, cioè isolando gli enti dal contesto che li ha portati ad apparire, affinché possano essere liberi e quindi controllabili dalla volontà. Il problema è che l’isolamento degli enti apre le porte ad una frammentarietà (quella propria delle discipline scientifiche) che pregiudica la possibilità di giungere a quel dominio effettivo sulla totalità dell’ente che costituiva l’obiettivo della volontà di potenza. Questo impedimento dunque, si rivela essere indissolubilmente legato alla natura stessa della volontà di potenza, che per altro è impossibilitata a cogliere l’autocontraddittorietà intrinseca al ricercare una regola di dominio totale, cioè generale e quindi in grado di costituirsi come eterno vincolo per la libertà stessa.

Conclusioni
Quello che Severino mostra, in conclusione, è l’impossibilità della libertà. Non solo perché questa si basa sulla separazione dell’accadimento possibile dalla verità del tutto  — negando quindi l’eternità dell’ente in quanto ente — ma anche perché, pur volendo assecondare l’idea che essa sia possibile, si giunge inevitabilmente ad un’autocontraddizione. Come sopra mostrato infatti, il desiderio di dominio esercitato dalla volontà di libertà (quindi di potenza), porta la riflessione filosofica occidentale all’interno della civiltà della tecnica, che basandosi sul metodo scientifico è la più forte negazione del darsi di qualsiasi eternità. Ne è un chiaro esempio anche il pensiero nietzscheano — del quale Severino parla ne L’anello del ritorno (Severino 1999) — in cui emerge che Nietzsche, per via della sua estrema coerenza alla fede nel divenire, è costretto a rifugiarsi nell’eterno ritorno. Questo disperato tentativo di salvare il divenire da se stesso lo porta inconsciamente — e inevitabilmente — a costruirsi un nuovo eterno che dia stabilità al caos.

È nella consapevolezza di tutto questo che Severino, nelle primissime pagine di Destino della necessità scrive: «La libertà appartiene all’essenza del nichilismo, ossia all’alienazione che, completamente inavvertita, guida e domina lo sviluppo della civiltà occidentale. Attendendo il tramonto dell’alienazione, il destino della verità — lo stare della verità — attende quindi il tramonto della libertà» (Severino 2010, 19).

Riferimenti bibliografici

  • Nietzsche, Friedrich. 1887. La gaia scienza.
  • Severino, Emanuele. 1999. L’anello del ritorno. Milano: Adelphi.
  • Severino, Emanuele, 2010. Destino della necessità. Milano: Adelphi.

 

 

Laureato in filosofia con una tesi su Emanuele Severino e la lettura dell'Eterno Ritorno nietzschiano. Si è occupato di Nietzsche e di Giorgio Colli.

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