Spazialità vissuta e psicopatologia

L’articolo prende in esame uno specifico aspetto della spazialità vissuta: la spazialità atmosferica (Griffero, Schimitz). L’atmosfera è intesa come comunicazione preliminare e pretematica non riducibile cognitivamente (Merleau-Ponty). L’atmosfera dà luogo ad una spazialità-paesaggio non geografica (Straus, Binswanger): spazialità piena (Minkowski) nella quale i soggetti con-partecipano del medesimo mondo condiviso. La perdita di reciprocità e partecipazione alla spazialità atmosferica condivisa si manifesta come Störung (Heidegger) che può assumere caratteri patologici (Tellenbach). L’atmosfera e l’attenzione alle sue alterazioni patologiche rappresentano una prospettiva privilegiata per cogliere il progressivo manifestarsi e il significato dei disturbi psichici (Binswanger, Fuchs). 

Spazio vissuto e atmosfera
Quando dico uomo, dico già anche spazio. Così Heidegger risponde nei Seminari di Zollikon a chi lo interpella sul concetto di spazio. Il riferimento non è allo spazio geometrico della scienza, ma allo spazio vissuto: spazio ed essere umano si co-appartengono in un circolo di rimandi che precede ogni struttura geometricamente riconoscibile. Lo spazio percettivo è, prima che oggettivo-quantitativo, affettivo-qualitativo. Per rendere questa differenza la proporzione coniata dal neurologo e fenomenologo tedesco Erwin Straus (2005) è particolarmente adatta: lo spazio della sensazione sta allo spazio della percezione come il paesaggio sta alla geografia. Nel paesaggio percezione e tonalità emotiva si fondono in una spazialità che non è solo paesaggio interiore, ma spazio attivamente abitato. Questa spazialità qualitativa si distingue da quella quantitativa e omogenea delle scienze naturali per il suo essere fondata sulla prospettiva del soggetto. Il soggetto è intonato (attuned) allo spazio con il quale costituisce un’unità funzionale non riducibile alla relazione esterno-interno: lo spazio vissuto non è pura passività sulla quale si imprime l’esperienza e nemmeno proiezione del sé nel mondo. La materia esperita è «‘pregna’ di un senso» (Merleau-Ponty 2009, 36), il quale si dà sempre legato alla condizione esistenziale, psicofisica e biografica del soggetto. Si tratta di una spazialità di relazione o spazialità situazionale, non costituita da semplici dati, ma da salienze che rimandano al soggetto e hanno per esso valenza sia pratica (es. la casa è un edificio in cui trovo riparo) che patico-emotiva (es. la casa come luogo della memoria). Il soggetto e il suo paesaggio, nel senso di mondo-ambiente (Umwelt), sono legati in una comunicazione preliminare sentita prima di qualsivoglia distinzione analitica: «[…] tutte le cose – scrive Merleau-Ponty – sono concrezioni di un ambiente, e ogni percezione esplicita di una cosa vive di una comunicazione preliminare con una certa atmosfera» (ibid. 418). 

Lo studio della dimensione atmosferica della spazialità è di particolare interesse, non solo perché la sua pervasività coinvolge l’esperienza nel suo complesso, ma anche perché aiuta a comprendere le alterazioni psicopatologiche della spazialità vissuta da una prospettiva fenomenologico-esistenziale 

Spazialità atmosferica
Ciò che percepiamo è carico di salienze emozionali (Griffero 2017a; 2017b) solo in parte penetrabili cognitivamente. Se incontrando degli amici avvertissimo tra loro “un’aria pesante”, non saremmo in grado di attribuire questa impressione ad un particolare oggetto, eppure, senza aver alcuna cognizione della lite che forse c’è stata fra loro, la situazione che viviamo è significante. Solo dopo riflessione o dopo esserci informati potremo formulare un qualche giudizio, ciò che ora però abbiamo è un pre-giudizio atmosferico che accompagna e fa da sfondo alla percezione sensoriale prima e a quella cognitiva poi.

[…] in tutte le nostre esperienze sensoriali si trova un di più che rimane inespresso. Questo di più, che va oltre al fatto reale ma che al contempo sentiamo al suo interno, possiamo chiamarlo atmosferico (Tellenbach 2013, 43) 

L’atmosferico è un Dunstkries, un alone o una sfera protettiva che unisce il sé al mondo e lo circonda. Il soggetto è immerso in un’atmosfera, ma questa non deve essere pensata come creazione solipsistica di una mente, quanto una spazialità che il soggetto condivide con gli altri sé che abitano il medesimo mondo-ambiente. Lo sperimentare, ad esempio, una certa disarmonia fra uno stato d’animo e una situazione vissuta (es. sentirsi tristi pur riconoscendo il contesto allegro che ci circonda) rivela il carattere proprio dell’atmosferico: il poter essere al contempo soggettivo, plurale e trans-personale. La spazialità atmosferica ha carattere trans-soggettivo, eccede cioè la sfera intima per aprirsi alla comunicazione con l’altro da sé, il quale partecipa, dalla propria prospettiva, allo spazio condiviso. La spazialità atmosferica apre quella che Eugène Minkowski (1970, 407) chiama pienezza della vita, una distanza piena e sempre affettivamente connotata nella quale si-è-con gli altri senza toccarsi in senso fisico. 

Il soggetto non è semplicemente esposto all’atmosfera: l’atmosfera è respirata (Minkowski), avvertita, fiutata (Tellenbach) suggerendo così un, seppur limitato, grado di intenzionalità da pensarsi come apertura del sé al mondo. L’intenzionalità della sensazione atmosferica è data dal fatto di trovare nel sensibile stesso un che fenomenologico, il quale non diventa un che cosa cognitivo (categoriale). L’atmosfera è un atto quasi-intenzionale, dove il quasi indica un’intenzionalità che non produce oggetto (non è un atto posizionale), ma allo stesso tempo presenta alla coscienza che esperisce impressioni sulle quali costituisce la sua relazione con lo spazio. Non si tratta di una kantiana organizzazione dello spazio, ma di un sentire una certa aria, un certo colore che emerge dalla relazione originaria di sé e spazio, la quale sempre si costituisce in una tonalità emotiva (Befindlichkeit). Il sentire atmosferico è sfondo emotivamente intonato, ma allo stesso tempo pragmatico perché funzionale alla comprensione della situazione vissuta dal soggetto.

Il soggetto è con gli altri in un’armonica reciprocità che permette la partecipazione ad un mondo condiviso. L’eventuale perdita della reciprocità ha conseguenze sull’intera spazialità: la perdita emerge come disturbo (Störung) che tematizza l’atmosfera, la quale si lascia afferrare proprio nel momento in cui il sentire che dis-chiude il soggetto all’altro si chiude alterando la comunicazione preliminare di soggetto e mondo. In questo modo il sentire atmosferico, normalmente sfondo per le nostre percezioni, si tematizza, si porta in primo piano facendo emergere nuovi significati non più intersoggettivamente condivisibili. Il mondo assume un nuovo colore, una nuova atmosfera.

Atmosfera e psicopatologia fenomenologica
Comprendere la spazialità atmosferica ed essere in grado di coglierne ciò che ne disturba l’armonia e quindi interrompe la comunicazione preliminare fra il sé e il mondo intersoggettivamente abitato è di grande importanza per la clinica psichiatrica, in particolare per quella che esplicitamente si ispira alla fenomenologia.  

L’atmosfera specifica che si costituisce nell’incontro clinico costituisce un primo criterio diagnostico che precede ogni classificazione nosografica, il pregiudizio atmosferico segnala un’alterazione nello spazio vissuto della relazione fra i soggetti.

Si tratta ora di mostrare […] come la nascita di una nuova atmosfera conferisca all’esistenza un altro colore, un’altra tonalità, una nuova tonalità emotiva prima che sia possibile parlare, in termini positivi o negativi, di nuovi sensi o addirittura di nuovi significati (Tellenbach 2013, 65). 

L’alterazione atmosferica si coglie nel momento in cui un disturbo interviene portando in primo piano ciò che prima era sfondo (e.g., siamo alla guida e la voce alla radio dallo sfondo passa immediatamente in primo piano impedendoci di portare avanti l’azione del guidare che prima appariva tanto naturale). La sorpresa per la nuova prospettiva ci porta a risemantizzare lo spazio in modo da comprenderlo (es. alla radio parla un conoscente), il problema sorge nel momento in cui questa risemantizzazione non riesce più ad innestarsi nello spazio condiviso, ma rimane estranea e chiusa rispetto ad esso (es. la voce alla radio parla a me, solo io posso comprenderla mentre annuncia la fine del mondo).

Per apprezzare l’alterazione patologica dell’atmosfera è utile soffermarci brevemente sull’interpretazione fenomenologica del delirio e sul carattere atmosferico del perturbante che lo contraddistingue. La fenomenologia non considera il delirio prodotto di un’attività neuronale danneggiata, ma la dissoluzione della realtà socialmente riconosciuta (Fuchs 2020). Nel delirio va perdendosi il contatto fra il sé e il mondo, il quale appare al soggetto distante e non più immediatamente comprensibile ed evidente (Fuchs 2015 a,b; Rhodes & Gipps 2008; Stanghellini 2004, Blankenburg 2020). Il soggetto nel delirio non riuscendo più a partecipare al senso condiviso del mondo (Sass 1994) reagisce dando luogo ad un mondo-altro, il quale non cade nel nonsense, ma «ha una significatività perfetta e assolutizzata» (Binswanger 1994b, 170), un senso altro rispetto al sensus communis. 

Il mondo del delirio assume un carattere atmosferico peculiare: il perturbante (Unheimliche). Dal punto di vista della psicopatologia fenomenologica il perturbante è un’atmosfera che cambia di segno all’esperienza nella sua totalità, che cambia la coloritura atmosferica dell’esperienza. Con il perturbante interviene una Störung che impedisce al soggetto l’interpretazione e la partecipazione attiva al mondo. Klaus Conrad lo rappresenta come l’esperienza 

[…] del soggetto angosciato che cammina da solo attraverso un bosco oscuro: nulla più è “evidente” nulla è “naturale”. […] Quel che ci fa tremare [è] […] lo spazio globale da cui si distaccano l’albero e l’arbusto, il mormorio e lo stridio: si tratta esattamente dell’oscurità e dello sfondo stessi (Conrad 2012, 59).

L’atmosfera perturbata è spazio scuro e ambiguo – attira ed allo stesso tempo respinge – che trasforma l’intero spazio vissuto. Il perturbante, diversamente dalla paura, non ha un oggetto a cui riferirsi, piuttosto si tratta di uno stato che pervade sé e il mondo. Lo spazio stesso si fa perturbante, minaccioso, inquietante ed estraneo, tanto da spingere il soggetto a ripiegarsi su stesso, a chiudersi rispetto ad un mondo che non comprende più. Il delirio, in un certo senso, è ciò che salva il soggetto permettendogli di ricostruire un senso, per quanto non condivisibile con altri. È compito della psicopatologia tentare di comprendere l’alterazione patologica della spazialità vissuta.

Atmosferizzazione patologica
Nel caso Suzanne Urban, un caso di schizofrenia analizzato da Ludwig Binswanger (1994b), viene mostrata la progressiva atmosferizzazione dello spazio vissuto da interpretarsi come emancipazione di un tema dominante, il tema del terribile, dalla scena originaria e successiva immissione di questo nella fabula delirante. Detto in altre parole, osservando il modificarsi atmosferico attraverso le autodescrizioni di Suzanne Urban, Binswanger riesce a cogliere il percorso esistenziale che porta al delirio. Il percorso della malattia è scandito in tre tappe che guidano nel comprendere come lo spazio che il soggetto abita muti sino ad assumere un senso completamente nuovo. 

La descrizione inizia con la scena originaria: l’imposizione del tema sulla condizione umana della paziente.

 

[…] mentre attendevo in sala d’aspetto udii, tremante e piangente, i suoi gemiti spaventosi. Il medico gli disse che aveva una brutta ferita nella vescica e, voltandogli la schiena, mi fece una faccia così paurosamente disperante che io mi irrigidii tutta, aprii la bocca per il terrore, tanto che il medico dovette afferrarmi subito la mano per farmi capire che […] non dovevo lasciar trapelare niente delle mie sensazioni. Questa pantomima era qualcosa di terribile! (Binswanger 1994b, 63)

Si tratta di una scena nel senso proprio del termine, una pantomima, nella quale emerge qualcosa di terribile non tematizzato in un oggetto. Saputo della malattia terminale del marito, l’umore di Suzanne cambia rapidamente: non riesce a pensare ad altro se non alla malattia e pensa di uccidere il marito e se stessa. I primi segni chiari di psicosi si notano successivamente quando Suzanne comincia a sospettare pericoli ovunque e a non fidarsi di nessuno. Lo spazio vissuto cambia ulteriormente quando il tema (il terribile) inizia a dissociarsi dalla scena originaria andando ad atmosferizzare interamente la sua spazialità. Il tema si emancipa dalla situazione originaria ma, conservando la sua forza emotiva, dà luogo ad una «vaga atmosfera di torture e terrore generici» (ibid. 85): il terrore si fa atmosfera. Il soggetto è prigioniero di un mondo che gli si oppone, gli altri rimangono presenti, ma i loro comportamenti si fanno sinistri e perturbanti. Non si ha un vero e proprio delirio, ma un umore delirante (Wahnstimmung), la cui cifra caratteristica è quella del perturbante. Il senso della spazialità vissuta comincia a ricostruirsi solo quando ciò che era un atmosferico ed indefinito senso del terribile comincia a stabilizzarsi in una nuova e folle narrazione (Wahnfabel).

Avverto subito un’atmosfera di avversione, di gente che mi odia, tremo in tutto il corpo. […] Qui noto con quanta ironia egli [il medico] parli con me: e dopo che gli ho comunicato i miei pensieri […] egli mi risponde: «Anche un criminale, nel caso sia malato, deve andare all’ospedale». […] Al tempo stesso getta un’occhiata strana sulla parete […] e fa pressione sul tavolo come per entrare in contatto con una corrente sotterranea (ibid. 65)

Si osservano le strutture portanti del mondo del delirio in formazione: l’atmosfera è di avversione, l’altro è ora presente solo come personificazione del terribile. La diffidenza, accompagnata da un profondo senso di colpa senza oggetto, ha preso il sopravvento. L’atmosfera si è condensata nella corrente sotterranea che mette in contatto ed alimenta ogni manifestazione del delirio.

Nel passo seguente è conclamato il mondo delirante. Non ci sono più sospetti: il tema si cristallizza sino a sostituire il mondo condiviso con il mondo privato del delirio. Ogni cosa è determinata e riconoscibile nel nuovo contesto.

Un signore esce da un padiglione con un domestico […che…] ha un viso così disumano: è certo un carnefice. L’ausiliaria lo guarda e [gli] fa un segnale, lo stesso con il quale il domestico le risponde.
[…] tutte le volte […] immancabilmente cominciava il rumore […], qualcuno suonava il piano più forte che poteva e in maniera terribile […] e correva su e giù per il corridoio. Le porte delle camere […] facevano uno strano rumore: sussurri della polizia, […] e io avevo la sensazione che qualcuno stesse annotando i miei pensieri. […] Dunque assassina di tutta la famiglia, ecco sono diventata (ibid. 66-7)

La fase atmosferica ha lasciato il posto al delirio vero e proprio. Gli altri scompaiono dallo spazio vissuto della paziente e al loro posto si hanno solo personificazioni e manifestazioni del tema del terrore che detta il significato dello spazio vissuto. Quello che era solo vaga atmosfera e sfondo si tematizza: non si ha più un’atmosfera di torture, ora le torture sono reali, così come l’atmosfera di avversione è ora la giusta pena inflitta a Suzanne; quelli che prima erano sospetti ad allusioni ora sono certezze, proprio come la corrente misteriosa è ora il controllo della polizia. La spazializzazione del mondo è assoggettata alla potenza del terribile, i cui caratteri emergono esplicitamente nel delirio. 

Con differenze circa l’eloquenza delle immagini, Binswanger ritrova in diversi casi di schizofrenia la stessa struttura spaziale che va progressivamente a chiudersi rispetto alla partecipazione, ma rimane, paradossalmente, massimamente esposta: lo spazio si fa irreale, si fa scena o palcoscenico dal quale i soggetti non riescono a fuggire (Binswanger 2011). Il soggetto è il centro della scena ed ogni altro soggetto non è che personaggio, comparsa che, come in un sogno, è parte della costruzione di senso che dà luogo allo spazio del delirio.

L’atmosfera pervade lo spazio vissuto, ma, se nella normalità essa resta sfondo, tanto ovvio, che appena si riesce ad avvertire, quando interviene un disturbo, quando l’armonia originaria fra sé e mondo condiviso si perde, ecco che l’atmosfera si porta in primo piano alterando il senso dell’intero spazio vissuto. Il caso di Suzanne Urban mostra proprio la portata esistenziale dell’alterazione atmosferica, la dirompente forza con la quale si impone sul soggetto dando origine ad un mondo altro rispetto a quello che condividiamo. Una psicopatologia che voglia essere fenomenologica deve riuscire ad andare oltre la mera identificazione di sintomi patologici e comprendere che «Ciò che garantisce l’uomo sano contro il delirio o l’allucinazione […] è […] la struttura del suo spazio» (Merleau-Ponty 2009, 380), e dunque indagare questa struttura nei suoi molteplici aspetti perché si possa almeno tentare di ristabilire quella preliminare comunicazione fra soggetto e mondo. Questo, in fondo, dovrebbe essere il compito di ogni psicopatologia.

 

Riferimenti bibliografici

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Foto di Ryan Arnst su Unsplash

Dottoranda di filosofia presso il consorzio FINO, a breve discuterà la tesi "SpazioPatia: fenomenologia della spazialità vissuta e psicopatologia delle alterazioni spaziali". È stata ospite della Sektion phänomenologische Psychopathologie und Psychotherapie (Heidelberg). Ha conseguito il Research Master (Phenomenology Major) presso la KU Leuven con una tesi su Binswanger; laurea Magistrale e Triennale presso l’Università di Pavia sul pensiero del primo Heidegger.

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