Nietzsche: tra filologia e filosofia

Non v’è mai stato un servizio divino pari a quello greco: per bellezza, sfarzo, varietà e unità esso è unico al mondo e rappresenta uno dei prodotti più alti dello spirito universale. Il «Greco celebratore di feste» ne fa parte, è il soggetto adeguato a quell’oggetto
(Nietzsche 2012, 11)

Il Nietzsche filologo, poco conosciuto, o del tutto ignorato, costituisce un campo di studio scientificamente ricco che permette di comprendere in modo profondo il pensiero del filosofo di Röcken. L’opera Il servizio divino dei Greci raccoglie le lezioni sul culto greco che Nietzsche tenne durante i semestri invernali del 1875-76 e del 1877-78. Si tratta delle ultime lezioni della sua attività di professore presso l’università di Basilea (oltre che al ginnasio), ma non bisogna commettere l’errore di considerare tali lezioni come se si trattasse semplicemente dell’epilogo di quel rapporto difficile tra il filosofo e la filologia; rapporto problematico, certo, che non va mai letto, però, nei termini di un abbandono da parte di Nietzsche della dimensione filologica, come sostengono molti studiosi. La tesi che qui sviluppiamo, seguendo Montinari, Colli, Posani Löwenstein e Biuso, è che in Nietzsche si ha una filosofia filologica e una filologia filosofica, come vedremo, all’insegna del primato ermeneutico.

Nietzsche e la filologia classica
Chi è il Nietzsche di queste lezioni di filologia? Quali sono le caratteristiche scientifiche e contenutistiche che lo caratterizzano?

«Il Nietzsche di queste lezioni sembra parlare una lingua diversa da quella della Nascita della tragedia – ma ciò non ha nulla a che vedere con l’impronta didattica dello scritto: molti passi, stilisticamente già elaborati, furono trasposti con poche correzioni nelle riflessioni di Umano, troppo umano. Il suo vocabolario è cambiato: Apollineo e Dionisiaco sono praticamente scomparsi (rispuntano, qua e là, sotto forma di aggettivi e lontani da ogni accezione metafisica); al loro posto è subentrata una nuova costellazione concettuale. Si parla, appunto, di «errori di giudizio», di «pensiero impuro», di magia e superstizione. Anche i vecchi argomenti (la tragedia, l’arte, il sogno e il suo rapporto con il mito) si mostrano, attraverso la lente delle nuove categorie, sotto una luce completamente diversa, che quasi li trasfigura» (Nietzsche 2012, 270)

Il dato fondamentale su cui pone maggiore attenzione Löwenstein è la diversità del vocabolario nietzscheano di queste lezioni. Una diversità che può apparire sospetta, in quanto essa si colloca cronologicamente dopo quella che viene comunemente riconosciuta come la conversione filosofica del filologo.

Ma il sospetto non ha alcun fondamento, poiché nel pensiero di Nietzsche la prospettiva filologica non è mai stata abbandonata, semmai essa è risemantizzata: egli è il portavoce di una nuova filologia. Tale prospettiva è rilevabile a partire già dal 1869, nella sua lezione inaugurale dal titolo Philosophische Notizen Homer und die klassische Philologie, Omero e la filologia classica (Nietzsche 1993), dove – nello spirito delle successive Considerazioni inattuali (Nietzsche 1974) – il filosofo mette in guardia sulla deleteria coesistenza e vicinanza tra la conoscenza scientifica della storia e i segni di decadenza della vita dell’uomo e della cultura europea del suo tempo. Perché è così importante studiare e analizzare il Nietzsche filologo degli anni giovanili che precedono la maturazione filosofica che condusse il pensatore alla stesura e alla pubblicazione de La nascita della Tragedia dallo spirito della musica?

«I diciotto mesi intercorrenti tra la fine degli studi universitari e l’inizio della professione accademica hanno un’importanza decisiva nello sviluppo intellettuale del giovane Nietzsche; a questo periodo risalgono i primi tentativi di una riflessione autonoma e coerente su fondamentali esperienze filosofiche, come la scoperta di Schopenhauer nell’autunno del 1865-66 e la lettura, avvenuta meno di un anno dopo e quasi altrettanto importante, della Storia del materialismo di Friedrich Albert Lange, nonché sul senso e sui limiti del proprio lavoro filologico» (Nietzsche 1993, 7)

Apriamo, adesso, una piccola parentesi biografica, in quanto una lettera di Nietzsche a Friedrich Ritschl risalente all’ottobre del 1867 testimonia il fermento di uno studio che fece del filosofo non il traditore della filologia, ma colui che le aprì una nuova via da percorrere – sentiero certamente non privo di limiti e di grandi problematicità, come evidenzierà il princeps philologorum della filologia classica tedesca Wilamowitz, che nel suo scritto La filologia dell’avvenire (1872) mette in atto una pars destruens de La nascita della tragedia. Scrive Nietzsche nella lettera indirizzata a Ritschl “per un improvviso colpo del destino”, espressione che descrive il suo incontro con la filosofia, accadimento che determinerà in modo radicale la vita del professore di Basilea. Evento che, ricordiamo ancora una volta, non va letto come un’improvvisa adesione a una nuova disciplina che farà di Nietzsche un profano in ambito filologico: «per un improvviso colpo del destino, mi trovo nell’impossibilità di venire a Lipsia alla fine di questo mese. […] è un pane davvero nuovo e sconosciuto che talvolta non riesco a mandar giù, specialmente quando ricordo il nutrimento di cui solevo cibarmi alla mensa della filologia» (Nietzsche 1976, 532). Tuttavia, il filosofo non smetterà mai di cibarsi dalla mensa della filologia, anche durante la densa e proficua attività filosofica che lo accompagnerà fino alla stesura dei Wahnbriefe – sugello del suo pensiero.
Nella sua attenta analisi del sacro presso i Greci il professore di Basilea riesce a cogliere gli aspetti più significativi e profondi che caratterizzavano non una dimensione della vita, bensì l’unica e sola dimensione esistenziale possibile. Il greco dimorava nel sacro: «il senso del culto religioso è quello di influenzare ed esorcizzare la natura a nostro vantaggio, vale a dire, di imprimerle una legalità che di per sé non possiede; mentre oggi si vuole conoscere la legalità della natura per potervisi conformare» (Nietzsche 2012, 19). Il tema della magia come relazione tra uomo e natura, il sacerdote come mago, e il magico come carattere intimo dell’esistenza sono argomenti che trovano nelle lezioni di Nietzsche sui Greci ampio spazio, uno spazio che sarà scientificamente rivalutato e riabilitato quando le tesi del filologo e filosofo saranno redente anche in ambito filologico (Dodds 2017).

La musica nella dimensione filologica
Vediamo adesso un elemento che ha caratterizzato la dimensione filosofica del pensare nietzscheano, ovvero la musica. Qui non viene fatto alcun riferimento all’essenza dionisiaca della musica – tratto fondamentale della teoresi filologica dell’opera del 1872 –, altresì essa è trattata all’interno dell’ambito cultuale della purificazione: «la musica è altrettanto utile alla purificazione nella misura in cui, con il suo suono, copre e rende innocui il chiasso, le voci ostili, gli strepiti e i tintinnii, ogni sorta di omina malvagi, e così permette un rapporto puro, senza equivoci con la divinità» (Dodds 2017, 25), pertanto essa, quale strumento di purificazione, rappresenta l’elemento imprescindibile per dare luogo ai sacri riti: «la purificazione dagli spiriti malvagi che possono arrecare scandalo costituisce una condizione imprescindibile per ogni culto» (Dodds 2017, 25). Sembriamo non poco distanti dal terreno semantico che Nietzsche crea per parlare del concetto di musica nell’opera che lo ha consacrato alla filosofia. È un altro Nietzsche? Oppure, forse, ci siamo inoltrati nel terreno degli studi filologici dai quali la filosofia nietzscheana ha preso forma e si è sviluppata vita natural durante? Possiamo sostenere che ogni tesi filosofica elaborata precedentemente – per quanto concerne gli scritti filosofici degli anni precedenti a quelli delle lezioni di filologia in esame – e successivamente da Nietzsche (anche quando abbandonò l’insegnamento) ha il suo fundamentum nel terreno degli studi filologici, e non lo si vuole dimostrare affermando semplicemente quel luogo comune, che certamente ha del vero, secondo cui per arrivare a scrivere cose simili vuol dire che Nietzsche aveva una conoscenza profonda del mondo greco.
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Egli viveva costantemente nella dimensione della sacralità del lógos: la devozione all’ornamento umano più bello e potente, la parola che, richiamando una metafora che adopereremo più avanti, come un fiume scorre tra due sponde: filologia e filosofia.

La scelta di Nietzsche è la filologia
Montinari nel suo glorioso tentativo di ristabilire alcune verità ermeneutiche del pensiero nietzscheano afferma:

«in ogni modo Nietzsche sembra trovare un equilibrio sia nella filosofia di Schopenhauer sia nell’esercizio assiduo della filologia; quest’ ultima anzi è inserita, come una conseguenza, nell’ atteggiamento nuovo verso la vita che Nietzsche sente nascere in sé in quel periodo. “Il giovane deve dapprima precipitare in quello stato di stupore che è stato definito il ‘pathos filosofico per eccellenza’. Dopo che la vita gli si è dissolta davanti in una serie di enigmi, egli deve consapevolmente, ma con rigorosa rassegnazione, attenersi a ciò che è possibile sapere; e fare una scelta in questo vasto campo, conformemente alle capacità” (BAW, III; La mia vita, 297; p. 1 62). La scelta di Nietzsche è la filologia» (Montinari 1999, 57-58).

Ciò che intende Montinari quando afferma che la scelta di Nietzsche è la filologia può spiegarlo in modo chiaro la metafora del fiume a cui prima abbiamo fatto cenno. Il filologo Fornari, nell’introduzione dell’opera dedicata alla ricostruzione filologica del poema eracliteo, fa riferimento proprio al rapporto tra filologia e filosofia, e i punti di riferimento in questione sono Nietzsche come colui che ha inaugurato questo sentiero, e il filosofo Giorgio Colli come esempio della realizzazione e possibile convivenza delle due preziose discipline – a tal riguardo già Eugenio Garin intorno agli anni ’60 del Novecento si esprimeva con insistenza a favore dell’esigenza della vicinanza tra le due ‘sponde’ di cui parliamo: la sua filosofia era intrisa di rigore filologico (Garin 1990) – nei termini di due prospettive che, nella loro diversità metodologica, e nella differenza dei propri statuti epistemologici, possono costituire un unico discorso di studio che non deve mai essere inteso come una banale o una superficiale sintesi che dissolve le specificità delle diversità che le caratterizzano. Bensì esso rende giustizia alla ricchezza dei due diversi approcci di studio nella fecondità della loro vicinanza.

Fornari spiega magistralmente quanto diciamo:

«non si tratta di trovare un ambiguo terreno intermedio tra filologia e filosofia, bensì di pensare fino in fondo il proprio angolo visuale, in relazione a un più vasto orizzonte» (AA.VV. 2017, XIII). Pertanto, l’affermazione di Montinari secondo cui la scelta di Nietzsche è la filologia può essere spiegata proprio alla luce del più vasto orizzonte di cui parla Furnari. Nietzsche anche da filosofo non ha mai cessato di essere sempre un filologo, poiché è possibile «essere filosofi e filologi a un tempo, lanciando passerelle o ponti fra le due rive, a ricordare che entrambe le schiere rivali appartengono a un medesimo fiume»(AA.VV. 2017, XIII).

In un saggio del giugno 2018 Biuso analizza la tematica Filosofia/Luce, e nel farlo ripercorre anche il sentiero delle sue opere dedicate a Nietzsche (Biuso 2006). Non avendo qui lo spazio per approfondire i suddetti studi nietzscheani – come meriterebbero di essere analizzati -, ci limiteremo a ricordare quella che riteniamo essere una prospettiva posta sulla stessa linea ermeneutica delle altre citate precedentemente: «la filosofia di Nietzsche è plurale per sua natura, anche perché costituisce un tentativo di percorrere itinerari inediti, di trovare nuove strade nel nomade vagare dell’umano verso i territori del significato» (Biuso 2018, 36). L’intenzione di Biuso è quella, soprattutto, di indicare nuovi itinerari di studio, di lettura, strade inedite da percorrere che consentano allo studioso di cogliere la ricchezza che caratterizza il pensiero nietzscheano per tentare un proprio cammino. Ciò è possibile perché «Nietzsche appare un pensatore che va letto con il rigore che si deve a un pensiero nato da un approccio filologico al mondo greco» (Biuso 2018, 36). Anche per Biuso l’approccio filologico non è solo alla base del pensiero di Nietzsche ma costituisce, non in ultima analisi, una prospettiva imprescindibile per comprendere le opere del filosofo.

Se lo sguardo di Nietzsche è filologico e filosofico, filologico e filosofico deve essere, altresì, lo sguardo di chi percorre gli abissi del suo pensiero. Il servizio divino dei Greci è una testimonianza di questo sguardo che comprende due approcci; un immergersi in quel fiume sapendo andare al di là della consapevolezza della diversità delle sponde che lo determinano. Tra filologia e filosofia Nietzsche coglie il carattere più intimo della grecità: «l’ingegnosità mostrata nel pensare, nell’unire, nell’interpretare e trasformare ha costituito il fondamento della loro πόλις, della loro arte, e della loro potenza ammaliante e di dominio sul mondo» (Nietzsche 2012, 11).
Che ogni studioso, nel leggere e analizzare le opere di Nietzsche, possa mostrare la stessa ingegnosità nell’unire, nell’interpretare e nel trasformare i vasti e sempre nuovi territori del significato. Per svolgere tale compito, con il rigore e con la profondità che competono a ogni studioso degno di questo titolo, bisogna sempre considerare la dimensione filologica, mai abbandonata, del filosofo Nietzsche e il fatto che il suo pensiero reca sempre con sé l’unione inscindibile delle due prospettive di cui abbiamo parlato: filologia e filosofia.

Riferimenti bibliografici

  • AA. VV. 2017. Eraclito: La luce dell’oscuro (a cura di G. Fornari). Firenze: Leo S. Olschki Editore.

  • Biuso, Alberto Giovanni. 2006 Nomadismo e benedizione. Ciò che bisogna sapere prima di leggere Nietzsche. Trapani: Di Girolamo.

  • Biuso, Alberto Giovanni, 2018. Filosofia/Luce, in «InCircolo», n.5, giugno 2018.

  • Dodds, Eric. 2017. I Greci e l’irrazionale (a cura di V. Vacca De Bosis). Milano: BUR

  • Garin. Eugenio. 1990. La filosofia come sapere storico, Roma-Bari: Laterza

  • Montinari, Massimo, 1999, Che cosa ha detto Nietzsche. Adelphi: Milano.

  • Nietzsche, Friedrich. 1974. Sull’utilità e il danno della storia per la vita (a cura di S. Giametta). Milano: Adelphi.

  • Nietzsche, Friedrich. 1976. Epistolario 1850-1869, lettera a Ritschl 24 novembre 1867 in «Opere» 1 (a cura di M. Montinari e G. Colli). Milano: Adelphi.

  • Nietzsche, Friedrich. 1993. Appunti filosofici (1867-1869) – Omero e la filologia classica (a cura di G. Campioni). Milano: Adelphi

  • Nietzsche, Friedrich. 2012. Il servizio divino dei Greci (a cura di M. Posani Löwenstein). Milano: Adelphi.

Nel 2016 si laurea in Scienze bibliche e teologiche presso la Facoltà Valdese di Teologia (Roma). Nel 2021 consegue la laurea in Scienze Filosofiche presso l’Università degli studi di Catania. Gli autori sui quali si è formato sono principalmente: Eschilo, Platone, Agostino, Kierkegaard, Nietzsche, Dilthey, Thomas Mann, Heidegger, Karl Barth, Gadamer, Paul Ricoeur. I suoi interessi teoretici riguardano l' ermeneutica filosofica, il pensiero tragico, il rapporto tra teologia cristiana e filosofia, la teologia politica.

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