L’universo al cospetto dell’Essere (IV)

Ciò che Parmenide cerca è la verità. Più precisamente, egli cerca l’autentica verità, non quelle verità che vengono fatte valere ordinariamente dai mortali nella loro esperienza. Costoro, infatti, assumono come verità ciò che si presenta al loro sistema percettivo-sensibile, così che i sensi diventano il fondamento stesso della verità.

Di contro, l’insormontabile differenza ontologica (Heidegger, 1927) che sussiste tra fondamento e fondati non sfugge a Parmenide, forte della lezione di Anassimandro. Come l’apeiron, così l’essere non può venire collocato al medesimo livello degli enti, i quali indubbiamente si presentano, ma proprio per questa ragione valgono solo come verità relative al sistema che li rileva e che consente il configurarsi della loro presenza determinata.

L’universo empirico è costituito da una molteplicità di enti che divengono e proprio per questa ragione Parmenide li considera non-essere: poiché l’essere è uno e assoluto, molteplicità e divenire appaiono, ma non sono veramente.

Traducendo quanto detto nel linguaggio che abbiamo cercato di proporre anche nei precedenti articoli, potremmo affermare che molteplicità e divenire trovano nella relazione la loro condizione di possibilità. Essa, infatti, pone la molteplicità a muovere dalla dualità dei termini relati – e la dualità è la molteplicità espressa nella sua forma più elementare – e pone il divenire, perché implica il riportare di ciascun termine all’altro: non a caso, “relazione” è da “referre”. Se non che, come abbiamo visto, l’assolutezza dell’essere non può non valere come la più radicale esclusione della funzione relazionante.

Dal punto di vista dell’essere, l’universo empirico, incluso il linguaggio che lo dice, risulta quindi non-essere, stante che solo l’essere è assolutamente vero. Di contro, dal punto di vista di chi si colloca nell’universo empirico, e cioè dal punto di vista dei mortali – incluso Parmenide, per quel tanto che anch’egli vive vincolandosi al suo campo percettivo –, ciò che vale come premessa di ogni argomentazione e di ogni discorso è proprio tale universo: dall’esperienza, che è molteplicità e divenire, non è possibile prescindere.

Tuttavia, questo il punto sul quale richiamiamo l’attenzione del lettore, l’inevitabilità dell’esperienza non può venire fatta valere come autentica innegabilità, come invece fa Platone con un’argomentazione che può così venire riassunta: per negare l’esperienza la si deve comunque assumere (presupporre).

A nostro giudizio, non di effettiva innegabilità si tratta, ma di semplice inevitabilità (Per la distinzione tra innegabile e inevitabile si rinvia a Stella, 2015). L’inevitabile è ciò da cui non si può prescindere operativamente. L’innegabile è il necessario, ossia ciò che non può non essere senza contraddizione. Solo l’essere è innegabile, giacché solo l’essere è la ragione che consente di smascherare ciò che sembra verità senza esserlo. L’innegabilità del fatto, invece, risulta tale in forza di una negazione che è solo formale, perché si struttura come relazione negativa.

Il suo carattere meramente formale emerge se si considera quanto segue: affinché tale negazione si ponga, essa deve acquisire una determinatezza, la quale le è fornita proprio dal suo “negato”. La negazione di nulla, infatti, non può non essere nulla come negazione, così che essa si trova a negare proprio ciò che, per altro verso, è costretta a postulare.

Di contro, la negazione trascendentale è l’intrinseco negarsi di ogni determinazione, la quale è posta da quello stesso limite che le impone di riferirsi ad altra de-terminazione. Se questo status viene letto secondo la prospettiva delineata dalla relazione, allora la realtà è l’insieme di molteplici determinazioni.

Se, per contrario, viene letto alla luce dell’essere, allora ogni determinazione presenta un’identità che poggia sulla differenza, così che è, in sé, sé et non-sé. Alla luce dell’essere, ogni identità determinata si rivela una contraddizione, che è altro modo per dire “non-essere”. E la contraddizione non è qualcosa, ma il suo stesso contraddirsi.

Quando affermiamo che il determinato si contraddice, pertanto, non affermiamo che esso si cancella e scompare, bensì che viene meno la contraffazione che lo fa valere quale verità autentica. Ciò che si nega, dunque, è la pretesa del non-essere di affiancarsi all’essere: questo ci sembra il fondamentale insegnamento di Parmenide.

Altrimenti detto: la verità, per Parmenide, è lo smascheramento dell’errore, che coincide con l’assumere come vera realtà (essere) ciò che è realtà solo apparente (non-essere). Quest’ultima è l’esperienza fatta di determinazioni, la cui struttura è costituita dalla relazione: solo la relazione, infatti, genera l’apparente coesistenza di identità e differenza, laddove verità è il rivelarsi in sé differenza di quell’identità che, essendo determinata, non è assoluta, dunque non è l’essere.

Considerazioni conclusive
Nel tematizzare il concetto di “relazione”, come avviene in particolare nel Parmenide, Platone ne ha avvertito il carattere aporetico, anche se non è andato fino in fondo perché ha continuato a pensare la relazione come medio tra dati e non come l’atto del riferirsi di ciascuno, che è poi la mediazione dell’identità immediata.

Forse, la necessità di andare oltre il concetto ordinario di relazione, che la riduce a costrutto mono-diadico, emerge solo con Hegel, il quale distingue tra relazione estrinseca (äusserliche Beziehung) e sintesi immanente (immanente Syntesis), intendendo con quest’ultima espressione una relazione che non si disponga tra dati ma nella struttura intrinseca di ciascuno di essi (Stella, 1994). Tale distinzione poi, come è noto, è stata ripresa e approfindita da Bradley in Apparenza e Realtà (1893).

Il tema della relazione, dunque, è intrinsecamente vincolato al tema dell’identità. L’identità formale vale come determinata ed esibisce una falsa autonomia ed autosufficienza, giacché la sua determinatezza è funzione del suo differenziarsi da altra identità.

Di contro, l’autentica identità, che sia effettivamente autonoma e autosufficiente, è solo del fondamento, il quale, nella sua assolutezza, non solo non richiede relazioni, ma anzi le esclude radicalmente. In questo senso, solo l’essere di Parmenide si configura come autentica identità, cioè come identità metafisica, la quale costituisce la condizione di intelligibilità del determinato perché consente di cogliere il limite di ogni identità fisica o formale.

L’identità metafisica, del resto, non si pone in alternativa con l’identità fisica, cioè con l’identità determinata, proprio perché si dispone ad un diverso livello. Questo ci sembra il punto nodale: l’alternativa è una relazione, la relazione disgiuntiva esclusiva, che postula il collocarsi dei disgiunti su un medesimo piano.

Ebbene, proprio il collocarsi dell’uno (essere) e del molteplice (non-essere) su piani diversi impedisce di considerarli in alternativa e consente di intendere il livello dell’essere come emergente oltre l’universo delle determinazioni, le quali risultano segni proprio per il loro essere riferendosi, dunque per il loro rinviare oltre sé stessi.

In tal modo, il parricidio di Parmenide si rivela appartenere a quell’ordine di realtà che non configura la realtà dell’essere, ma dell’esperienza ordinaria, la quale a rigore coincide con il proprio innegabile trascendersi.

 

Riferimenti bibliografici

  • Bradley, Francis Herbert. 1893. Appearance and Reality, London: Swan Sonnenschein (- second edition, with an appendix: 1897. London: Swan Sonnenschein; – ninth impression, corrected: 1930. Oxford: Clarendon Press; – traduzione italiana cura di D. Sacchi: 1984. Apparenza e realtà. Milano: Rusconi)

  • Heidegger, Martin. 1927. Sein und Zeit. Tübingen: Max Niemeyer Verlgag (traduzione italiana a cura di P. Chiodi: 1976. Essere e tempo. Milano: Longanesi)

  • Stella, Aldo. 1994. Il concetto di «relazione» nella «Scienza della logica» di Hegel. Milano: Guerini e Associati.

  • Stella, Aldo. 2015. Innegabile e inevitabile: genesi e valore ermeneutico di una distinzione intrinsecamente teoretica, in «Verifiche», XLIV, 1-4, pp. 47-70.

Photo by Kilimanjaro STUDIOz on Unsplash

Università per Stranieri di Perugia e Università degli Studi di Perugia · Dipartimento di Scienze Umane e Sociali Filosofia teoretica - Filosofia della mente - Scienze cognitive

Lascia un commento

*