Riflessioni a Nocera Umbra tra testo sacro e sacralità del testo

Recuperare la razionalità del sacro contro la follia dell’autoritarismo oggi imperante. Con questa osservazione del prof. Fabrizio Scrivano, docente di Letteratura Italiana all’Università di Perugia, si è concluso l’incontro di dottorato che il Dipartimento di Scienze Umane e Sociali dell’Università per Stranieri di Perugia ha tenuto, lo scorso 3 luglio, nella splendida cornice di Palazzo Camilli, storica dimora del centro storico di Nocera Umbra. La prof.ssa Giovanna Zaganelli, direttrice del corso e organizzatrice dell’incontro, ha sottolineato nel suo intervento la differenza tra testo sacro e sacralità: il primo caratterizzato dal continuo rimando delle interpretazioni, la seconda dimensione potente grazie alla quale afferrare la realtà. Concetto ribadito dal prof. Aldo Stella, anch’egli presente all’incontro e autore di un secondo recente volume critico sulla metafisica originaria di Emanuele Severino, per il quale il testo (textus) è tessitura ordita in vista di questo scopo e, in quanto tale, grande esperienza di sacralità. Del resto, come è stato detto, la forma psicologica del sacro è la forma del mistero: se da una parte può essere affrontata in senso epistemologico, dall’altra essa ha realtà completamente separata. L’incontro è stato presentato dal Sindaco Giovanni Bontempi, che ha voluto ringraziare l’Università per Stranieri per l’attenzione dimostrata nei confronti di Nocera Umbra, e dal parroco, don Ferdinando Cetorelli, il quale ha ribadito la centralità della Biblioteca Piervissani nel progetto di collaborazione con l’Università perugina.
I dottorandi che hanno presentato le proprie linee di ricerca sono stati Pierpaolo Trevisi (Testimonianze esposte lungo la via del sacro), Puma Valentina Scricciolo (Riscrivere la Bibbia. Clara Sereni e il racconto inedito Sara e Hagar) e Chiara Gaiardoni (Note su Leopardi e la figura di devozione). L’intervento più propriamente filosofico, in un dottorato che ospita prevalentemente ricerche di carattere filologico grazie all’indirizzo in Scienza del Libro e della Scrittura, è stato quello di Luca Montanari che ha presentato una relazione sull’ermeneutica del testo sacro in Emmanuel Lévinas che pubblichiamo qui di seguito.

 

L’infinita interpretazione. L’ermeneutica del testo sacro in Emmanuel Lévinas

Emmanuel Lévinas, filosofo di origine lituana e naturalizzato francese, si impone come una delle più importanti figure di spicco del mondo intellettuale ebraico dopo la seconda guerra mondiale. La sua partecipazione, a partire dal 1959, al Congresso degli intellettuali ebrei di lingua francese (relazioni che negli anni confluiranno in pubblicazioni di tipo confessionale chiamate “letture talmudiche”) ci aiuta non solo a porre in luce le connessioni teoretiche e gli intrecci fondamentali che collegano il suo approccio filosofico legato alla fenomenologia con l’esperienza della religiosità dell’ebraismo rabbinico entro cui vive ma, al contempo, di svelare la peculiarità del suo approccio ermeneutico nello snodo, e nel sapiente recupero, con l’interpretazione ebraica tradizionale della Scrittura. Senza voler fare una panoramica sull’opera più esplicitamente filosofica di Lévinas ricordiamo solo che tutta la sua attività speculativa è volta a reperire un orizzonte di senso proprio di una ragione differente, una ragione-altra, che si (ri)scopre radicata nella trascendenza quale alterità radicale e che non si identifica con quella categorizzante del logos occidentale. Diciamo molto rapidamente che per Lévinas il soggetto si trova interpellato – ed eletto –, nella sua responsabilità, da una Legge che lo precede ma che non si impone coercitivamente. Siamo nel bel mezzo del paradosso etico-religioso di una libertà che non inizia né dall’atto né da un potere già presente nelle mani del soggetto, bensì dall’obbedienza.
Nella sofferenza della prigionia che lo stesso Lévinas vive negli anni della seconda guerra mondiale, il nostro autore vi ritrova una condizione (quasi) ontologica; una situazione di costante impotenza e prevaricazione che – traducendo l’esperienza ebraica come condizione propria dell’intera umanità – apre alla possibilità della salvezza che si dà nell’evento dell’elezione. Il giudaismo assume quindi i contorni di una fede che non è vissuta né nel misticismo né, tantomeno, entro l’esperienza violenta del sacro, ma secondo i dettami propri di una responsabilità infinita che si stabilisce nella categoria dell’enigma. Se, infatti, la Parola di Dio mi ordina verso Altri, nondimeno Egli si mantiene nel segreto: si nasconde cioè all’interno del Detto della Scrittura.
Il linguaggio che si concretizza nel testo sacro è quello proprio di una scrittura ispirata – un’essenza profetica – nella quale si può ancora udire la Parola di Dio incarnata nella lettera. Quello della Scrittura è, quindi, un linguaggio che non ha come obiettivo un parlare-di, cioè la funzione strumentale o informativa di una comunicazione che ha per oggetto il solo bisogno di colui che proferisce; oltre il Detto del testo (cioè la scrittura in senso proprio) si scopre ciò che da sempre la anima quale forza di significazione originaria: cioè quella forza di significazione che ricopre il Dire (cioè l’essere già indirizzati verso il prossimo) ispirato da ciò che Lévinas chiama volto d’Altri che, nell’eleggere il soggetto nella sua personale responsabilità, orienta lo stesso linguaggio secondo il senso proprio del comando etico. Il pensiero ebraico di Lévinas che emerge con tutta la sua forza nelle letture talmudiche, nello snodo tra religioso e filosofico è stato, infatti, opportunamente descritto con delle formule pregnanti quali: “esperienza della libertà come esperimento ermeneutico” o anche “eticizzazione della Bibbia e trascrizione biblica dell’etica”. Nell’analisi filosofica del testo sacro, infatti, Lévinas individua quel nucleo universale proprio di ogni esperienza realmente umana che ispira anche il pensiero occidentale nella sua radice più profonda ma che quest’ultimo non può costitutivamente contenere o esplicare completamente. Potremmo, a sommi capi, definire le letture talmudiche come espressione di un pensiero vivo che respira attraverso i margini della filosofia e dell’esegesi e che rifugge ad ogni sorta di idolatria e radicalizzazione ideologica di un singolo aspetto dei suoi molteplici sensi; attualizzare il testo cogliendone lo spirito «a partire dalla vita». La Torah, infatti, non è la sola Scrittura ma comprende anche la tradizione che la riceve e la commenta quale unico “luogo” in cui essa può vivere. La tradizione riceve il testo sacro, lo pensa, lo ascolta e, di volta in volta, lo attualizza generando la cosiddetta Torah orale. Il Talmud è, dunque, la tradizione orale di Israele composta da numerosi strati testuali intessuti da molteplici generazioni.
seminarioQuesta lettura-ricerca è ciò che in maniera perspicua caratterizza il pensiero del popolo d’Israele innanzi alla sua tradizione; sarebbe a dire rispetto alla sua stessa identità. Questa metodologia interpretativa, esistenziale ancor prima che teologica, è chiamata Midrash. La radice “drash”, che indica il senso del ricercare, ben specifica il carattere proprio di questo incessante scrutare – entro i recessi di ciò che la Scrittura tramanda come detto – le tracce di Dio all’interno della Torah. Ma come potrebbe Dio farsi presente nella Parola, come immanente alla stessa lettera, conservando al contempo l’altezza della sua trascendenza?
La tradizione del Midrash assume qui una portata quasi senza limiti calandosi nel paradosso di un Dio che si fa immanente alla parola umana abitando, al contempo, questa stessa Parola nella sua piena trascendenza. È qui che risiede la peculiarità propria di una esperienza esegetica che assume la fede come vero e proprio carattere metodologico in quanto il Midrash acquista un senso solo se si fonda su di una Rivelazione storica consegnata ai testi sacri i quali, però, proprio in ragione della storicità dell’annuncio che Dio ha consegnato agli uomini e in virtù del linguaggio umano in cui quest’ultimo si è presentato, potranno parlare solo in circostanze storiche concrete e necessariamente differenti tra loro. Poiché il linguaggio umano non può rendere giustizia alla trascendenza propria di Dio – e del suo messaggio – la Parola di Dio non può essere rinchiusa in un asserto unico ed inamovibile; è come se la stessa Scrittura si appellasse al suo lettore gridando “interpretami”. L’interpretazione precede ed ingloba la Scrittura poiché quest’ultima è “muta” in assenza di una tradizione, quale filtro ottico attraverso cui quest’ultima viene ricevuta e letta, e di una comunità che la commenta. La ripetizione in vista della trasformazione del testo indica, inoltre, la partecipazione reale ed eminentemente attiva del lettore nella riproduzione creativa del testo. L’interpretazione ebraica della Scrittura non è, dunque, né dominio del significato né egemonia del senso unico ma presuppone nel lettore una propensione all’ospitalità della Parola quale preludio alla sua comprensione. Il versetto non è lettera morta ma realtà vivente e che respira: questo metodo ermeneutico dilata il messaggio del già-detto senza disdirne o inquinarne la natura e, ampliandone il contesto, prolunga il proliferare del senso affinché quest’ultimo parli nel presente dell’esegeta. La lettura e l’interpretazione della Scrittura sono d’altronde legate alla dimensione dell’ascolto della Parola in funzione della realizzazione del Suo comandamento. Il testo respira e prende vita nella lettura poiché la Parola custodita nelle lettere necessita di una sua proclamazione tramite la voce umana per essere compresa. L’ebraico, infatti, come tutte le lingue semitiche, si struttura secondo una radice triconsonantica; vale a dire che i testi tradizionali del popolo eletto sono generalmente privi di vocali. Questa distanza tra le tre consonanti dischiude ad una gamma di significati di incredibile ampiezza: essa consente molteplici letture, tutte, di fatto, già presenti fin dall’inizio. Questo triconsonantismo dischiude ad una ragione di senso che, però, lascia nell’assenza di una definizione predeterminata; sono i punti vocalici, infatti, che la determinano nell’atto della parola. In questo carattere di incompiutezza costitutiva il lettore è come chiamato – eletto – a rendersi parte attiva nel processo di reperimento del possibile senso delle lettere. L’assenza delle vocali, infatti, assume un significato ermeneutico e teoretico di grande importanza: l’esclusività del significato è impedita dall’indeterminazione costitutiva ed essenziale dello scritto. Il lettore adempie ad una vera e propria disseminazione di senso che, dall’assenza di vocalizzazione propria dello scritto nella sua forma originaria, dà movimento alle parole del testo prima ancora di applicarvi il procedimento ermeneutico vero e proprio per come conosciuto e praticato in occidente. Questa “interpretazione infinita” ci testimonia del carattere inafferrabile e trascendente di un senso che è sempre un al di là; un’inesauribilità che secondo Lévinas costituisce il «segreto di una creatività e di un eterno ritorno di novità che è, probabilmente, la traccia indelebile di un pensiero segnato dalla Rivelazione».

Luca Montanari

 

Riferimenti bibliografici

  • Banon D., Les voies de l’interpretation midraschique, Seuil, Paris, 1987; trad. it. di G. Regalzi, La lettura infinita. Il midrash e le vie dell’interpretazione nella tradizione ebraica, Jaca Book, Milano, 2009.
  • Lévinas E., Difficile Liberté, Albin Michel, Paris, 1963; trad. it. di S. Facioni, Difficile libertà. Saggi sul giudaismo, Jaca Book, Milano, 2017.
  • Id., Quatre lectures talmudiques, Minuit, Paris, 1968; trad. it. di A. Moscato, Quattro letture talmudiche, Il Melangolo, Genova, 1982.
  • Id., Du Sacré au Saint – Cinq Nuovelles lectures talmudiques, Paris, Minuit, 1977; trad. it. di M. Nobile Ventura, Dal sacro al santo. Cinque nuove letture talmudiche, Roma, Città Nuova, 1985.
  • Id., De Dieu qui vient à l’idée, Vrin, Paris, 1982; trad. it. di G. Zennaro, Di Dio che viene all’idea, Jaca Book, Milano, 2007.
  • Id., L’au-delà du verset, Minuit, Paris, 1982; trad. it. di G. Lissa, L’aldilà del versetto. Letture e discorsi talmudici, Guida, Napoli, 1986.
  • Id., A l’heure des nations, Minuit, Paris, 1988; trad. it. di S. Facioni, Nell’ora delle nazioni. Letture talmudiche e scritti filosofico-politici, Jaca Book, Milano, 2000.
  • Id., Nuovelles lectures talmudiques, Paris, Minuit, 1996; trad. it. di B. Caimi, Nuove letture talmudiche, Milano, SE, 2004.
  • M.A. Ouaknin, Le livre brûlé. Philosophie du Talmud, Lieu Commun, Paris, 1986; trad. it. di E. Zevi, Il libro bruciato. Filosofia della tradizione ebraica, ECIG, Genova, 2000.

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