Si è tenuto tra il 13 e il 15 giugno a Brescia il congresso “Heidegger nel pensiero di Severino” che ha visto come ospite principale il prof. Friedrich-Wilhelm von Herrmann, ultimo assistente di Heidegger e, designato dallo stesso, responsabile scientifico della pubblicazione dell’edizione completa delle opere del filosofo tedesco, tuttora in corso. Il convegno ha avuto sessioni comuni e sessioni parallele, che si sono svolte tra l’auditorium San Barnaba, messo a disposizione dal comune di Brescia, e le aule dell’Università Statale e dell’Università Cattolica, a rimarcare l’attenzione corale della città di Brescia per il proprio filosofo. Le autorità cittadine, con il vicesindaco e l’assessore alla cultura, il rettore dell’Università Statale e il prorettore dell’Università Cattolica hanno salutato il professor Severino ricordando il legame che lo unisce la città e lo straordinario seguito che tra i giovani ha la filosofia dell’amato concittadino.
I lavori si sono aperti con la relazione del prof. von Herrmann, dal titolo La concezione heideggeriana della metafisica lungo le due vie di elaborazione del problema dell’essere. L’illustre ospite ha voluto premettere una dichiarazione in cui ha ricusato l’accusa di antisemitismo rivolta recentemente al filosofo tedesco, affermando che non avrebbe dedicato la sua vita al filosofo di Messkirch se quest’ultimo fosse stato antisemita. Sull’argomento è intervenuto anche il professor Severino: «Le critiche di Heidegger al semitismo» – ha dichiarato il filosofo bresciano – «rientrano nelle critiche che Heidegger rivolge all’intero Occidente. È la stessa critica che Heidegger rivolge al Cristianesimo, alla Metafisica, alla Tecnica».
Aperta quindi la sessione filosofica, Francesco Alfieri della Pontificia Universitas Lateranensis, nella sua relazione Martin Heidegger interprete di Emanuele Severino, ha ricostruito la scoperta nell’archivio di Heidegger di due libri di Severino: Heidegger e il problema della metafisica, che è la tesi di laurea del filosofo bresciano, e Ritornare a Parmenide, con tre annotazioni vergate dallo stesso filosofo tedesco. Come siano giunti questi due volumi ad Heidegger è ancora ignoto e gli storici della filosofia stanno tentando di ricostruire la storia. D’altro canto era già nota la conoscenza da parte del pensatore tedesco dell’opera del giovane Severino, di cui sembra ebbe modo di parlare col filosofo e teologo Cornelio Fabro, insigne tomista stimmatino. Ines Testoni, vicepresidente dell’ASES (Associazione Studi Emanuele Severino) nella sua relazione dal titolo Dalla domanda iniziale di Heidegger alla risposta originaria di Severino, ha sottolineato come, se la filosofia di Heidegger è una filosofia della domanda, quella di Severino è una filosofia della risposta, rammaricandosi che questo embrionale dialogo tra i due pensatori non abbia avuto ben ulteriori sviluppi. Nel presentare il razionale del convegno la stessa Testoni e Giulio Goggi, allievi del maestro, hanno sottolineato come «è forse a causa di questa sostanziale mancanza di soluzione ai problemi posti che Heidegger viene considerato come il pensatore che più sistematicamente ha declinato la filosofia come modalità interrogativa del pensiero. Emanuele Severino previde le sembianze di siffatta lacerante deriva fin dall’inizio della sua riflessione, allorquando scrisse la sua tesi di laurea su Heidegger e la metafisica, cominciando proprio con quest’opera a indicare il contesto in cui la problematicità heideggeriana poteva non restare in sospeso. In questo libro, scritto tra il 1948 e il 1949, Severino vedeva nel pensiero di Heidegger, opportunamente interpretato, una forma di problematicismo “situazionale”, dove la posizione del problema (l’esperienza del divenire inteso come passaggio dal non essere all’essere e viceversa) non esclude la Soluzione (l’affermazione dell’esistenza dell’Immutabile come ciò che rende intelligibile il divenire), sfociando così nell’apertura alla metafisica classica».
Giulio Goggi ha tenuto una relazione dal titolo L’essere come essere dell’ente e come indipendente dall’ente in cui ha ripercorso la tesi di laurea del maestro bresciano e mostrato il senso dell’essere nella filosofia del pensatore tedesco: «L’ essere, per Heidegger, è il trascendens; cioè “trascende” l’ente, pur essendo sempre l’essere dell’ente; ma questa trascendenza tende a costituirsi, in Heidegger, come separazione dell’ “essere” rispetto alla totalità dell’ente».
Ha coronato la prima giornata l’intervento dello stesso Severino: «Nelle prime pagine di Essere e tempo» – ha detto il filosofo bresciano – «la ricerca è impostata come un “cercare”. Heidegger non ha mai smentito questo concetto: è la questione del senso fondamentale. Se si vuole cercare la verità del senso fondamentale, tuttavia, ci si trova prima di quella verità che si vuole trovare. Allora si è nella non-verità; ma come è possibile che la non-verità conduca alla verità? È una domanda che si può rivolgere non solo ad Heidegger , ma a tutti coloro che si apprestano a cercare la verità ponendosi nella dimensione della non verità, che non può condurre alla verità. La verità non è punto d’arrivo, è un punto di partenza, è l’originaria manifestatività dell’uomo».
La seconda giornata si è aperta con le relazioni aventi come argomento “La domanda metafisica”: Leonardo Messinese con La metafisica del Dasein (esistenza) come fondazione della metafisica, Sergio Givone con Severino, Heidegger e la domanda fondamentale e Francesco Totaro con Morte, separazione, dominio in Heidegger, Severino e Paolo di Tarso. Givone ha sottolineato come «Severino assumerà con implacabile fermezza che la domanda fondamentale è già da sempre superata e resa inattuale dalla sola attualità possibile, attualità dell’eterno, attualità dispiegata della verità essere, tant’è vero che soffermarsi presso di essa può significare soltanto aver imboccato il sentiero dell’errore e precisamente della follia».
Nel pomeriggio del secondo giorno sono iniziate le sessioni parallele, in cui studiosi più giovani hanno discusso sui temi e sulla relazione tra Heidegger e Severino. I contributi sono stati di alto livello: ne riproponiamo due a cui abbiamo assistito personalmente. Massimiliano Cabella ha tenuto una relazione su Tao e Nulla. Severino, Heidegger e l’Oriente, in cui ha sottolineato come «Heidegger interpreta il taoismo come una forma di filosofia avvicinabile alla propria, in cui centrale è il concetto di Tao come NienteVuoto, che egli assimila al suo Nichts»; ma, «siccome è difficile ritrovare in cinese il verbo e il concetto di essere, è anche problematico rintracciare l’idea del nulla e il carattere cinese corrispondente». Inoltre ha fatto notare, riportando le parole dell’antropologo Marco Aime, che «quel vuoto, quel senso di incompiuto che in Occidente porterebbe all’idea del nulla e a una ricerca del sublime, viene invece interiorizzato nella cultura cinese, in quanto parte stessa della natura umana senza che questa abbisogni di un rimando a Dio o di una qualche forma di salvezza». «Ogni essente nel taoismo coincide con il Tao». E, come ha scritto Giorgio Brianese, «si affaccia la possibilità di una sorprendente prossimità tra l’ontologia severiniana e il pensiero cinese». «Ma allora» — si domanda lo studioso — «potrebbe essere forse il taoismo una forma pre-ontologica di fede nel divenir-altro come sostiene Severino?» e conclude che «ci sono buone ragioni per sostenere anche che il taoismo sia una forma di pensiero che non resta intrappolata nella rete illusoria della volontà di trasformazione dell’essente, della volontà di potenza». Cristina Pagnin ha tenuto una relazione dal titolo Le parole del Sacro. Il problema del dire originario in Heidegger e Severino: «come può, dunque, il linguaggio, parlare della verità? A partire da un certo momento, gli scritti di Heidegger e quelli di Severino attingono a un vocabolario diverso: perché il linguaggio poetico porta alla luce quell’occultamento della verità dell’essere operato dal ‘pensiero calcolante’. Ma c’è di più: la parola poetica, attraverso la sua estrema simbolicità, esprime la contraddizione che investe lo stesso esserci dell’uomo: la contraddizione per la quale la verità, già da sempre disvelata, non può, però, essere detta». «Tuttavia, val la pena osservare» — sottolinea la giovane studiosa — «altro è il linguaggio che tradisce la verità dell’essere perché nega tale verità; altro è il linguaggio che testimonia la verità dell’essere, pur non essendo tale verità. Altro è affermare come verità dell’essere la sua temporalità; altro è indicarne l’essenziale, innegabile eternità. È a questo bivio che i sentieri di Heidegger e Severino, uniti per un breve tratto lungo la via dove risuonano le parole dell’essere, sono destinati a separarsi».
Tra gli altri studiosi intervenuti nelle sessioni comuni ricordiamo Giampaolo Azzoni, Gaetano Chiurazzi, Vittorio Possenti, Nicoletta Cusano, Massimo Marassi, Michele Lenoci, Davide Spanio, Alessandro Carrera, Pedro Manuel Bortoluzzi, Gian Luigi Paltrinieri, Luigi Vero Tarca, Francesc Morató, Federico Perelda, Eugenio Mazzarella, Massimo Donà e Andrea Tagliapietra.
Nel pomeriggio della terza giornata si è tenuta la sessione comune finale nell’auditorium di San Barnaba chiusa da Carlo Sini il quale ha invitato a riflettere sull’aspetto relazionale del linguaggio. Infine è stato presentato il libro Charis. Omaggio degli allievi a Emanuele Severino, in cui sono contenuti gli interventi che alcuni allievi del filosofo bresciano hanno tenuto in un incontro che ha preceduto il congresso su cosa significhi essere allievo di Emanuele Severino. Ha chiuso il congresso un cortometraggio, che vorrebbe essere l’incipit ad un film sul filosofo bresciano.
Gli atti del congresso sono disponibili al seguente indirizzo internet:
http://www.padovauniversitypress.it/publications/9788869381577
Infine, anche quest’anno la RAI ha seguito il convegno e un servizio con le interviste ai protagonisti è visualizzabile al sito:
https://www.raicultura.it/