È una specie di ironia del pensiero il fatto che l’annuncio della morte di Dio ne abbia occultato un altro che lo stesso Nietzsche ha più volte espresso nei suoi scritti: quello della morte della filosofia. Annuncio ben più inquietante che ha agito sottotraccia e forse in modo ancor più efficace dell’altro, più noto. La morte della filosofia ha prodotto le conseguenze che abbiamo oggi sotto gli occhi: lo scatenamento della razionalità, l’incapacità di porre un argine alla scienza, la servitù della cultura nei confronti della politica. Si tratta di un evento che è poi diventato un tema ripreso dalla stessa filosofia che lo ha trasformato a sua volta in un argomento filosofico, un gioco di prestigio che piace tanto a certi filosofi da esibizione, utile il più delle volte alla chiacchiera filosofica, oggi imperante.
La filosofia come freno all’impulso conoscitivo
La realtà è che la morte della filosofia ha per Nietzsche una causa ben precisa: l’incapacità della filosofia, dopo l’epoca tragica dei grandi filosofi greci fino a Socrate, di tenere a freno l’impulso conoscitivo. Si tratta di un tema approfondito all’inizio degli anni settanta, nel momento in cui Nietzsche si faceva conoscere al mondo con quel capolavoro che è La nascita della tragedia. Per quale motivo, secondo Nietzsche, la filosofia deve trattenere l’impulso conoscitivo? Perché, in altre parole, questo vero e proprio ruolo di katèchon assegnato alla dimensione che cura prima di tutto proprio il sapere e la conoscenza?
La risposta, semplice ed articolata al tempo stesso, è contenuta in una serie sistematica di riflessioni che il filosofo scrisse tra l’estate del 1872 e l’inizio dell’anno successivo. Sono gli anni in cui Nietzsche si misura con il tentativo di produrre uno sguardo organico nei confronti della storia della filosofia. Per questo motivo egli riflette sull’impulso conoscitivo offrendone una dinamica sorprendente: esso infatti, una volta lasciato a se stesso, finisce per divorarsi ed autodistruggersi. Ecco allora la «lotta del sapere contro il sapere», «l’effetto barbarizzante che giudica solo in base alla sicurezza», un impulso che «cerca oggetti sempre più piccoli» facendosi misero e superfluo. Questo guardare verso il basso è esattamente il contrario di quello che fecero i greci i quali, frenando quell’impulso, seppero guardare al Tutto ed assegnare con ciò stesso valore alla vita. Così come la cultura con il popolo e i suoi istinti, così come l’arte con la forma e l’estasi, così come l’agape con l’eros, la filosofia trova il suo compito fuori di sé: non nella sfera conoscitiva bensì nella vita, al servizio di una forma superiore di esistenza. Qualche anno più tardi Bergson dirà, nel più autentico spirito nietzscheano, che la filosofia coincide con lo sforzo di superare la condizione umana. Definizione forte grazie alla quale essa inibisce ogni eccesso conoscitivo, altrimenti teso alla cavillosità e alla pedanteria: la filosofia deve stabilire il valore di quello che conosciamo ed in ciò consiste la sua grandezza.
I presocratici e la grandezza della filosofia
In questo quadro il filosofo è «il medico della cultura», espressione che avrebbe dovuto costituire il titolo del saggio La filosofia nell’epoca tragica dei greci che Nietzsche andava componendo nello stesso periodo. In esso egli ribadisce che il pensiero filosofico è sempre sulle tracce di ciò che merita di essere saputo contro il dogmatismo della scienza la quale, senza la filosofia, finisce per perdersi nelle ipotesi. In questo modo, nella repubblica di geni conosciuti come presocratici, egli sceglie i tre che hanno reso il servizio più grande al pensiero: Anassimandro, Eraclito ed Empedocle. Il primo, grazie al suo celebre detto, esprime una domanda sul valore dell’esistenza che, al tempo stesso, è anche un criterio morale. Poi Eraclito, il filosofo del divenire di cui, al contrario dei tanti giudizi sulla sua presunta oscurità, Nietzsche apprezza ed esalta la chiarezza. Infine Empedocle, il grande riformatore della grecità, il quale cerca di emendare il nous di Anassagora. Ma su Empedocle le parole spese in questo scritto sono poche, molte di più sono le annotazioni che si trovano nei frammenti postumi. Alla fine quel saggio fu interrotto e mai pubblicato: per scrivere un libro sul ruolo del filosofo, Nietzsche doveva attendere che motivo e stile della sua speculazione si chiarissero (cosa che avverrà con lo Zarathustra). Rimane profetica l’intuizione di un pathos della verità come razionalità che si autodistrugge e che troverà ulteriore conferma nel saggio su Verità e menzogna in senso extramorale.
L’inutile fabbrica delle parole e dei dibattiti apparenti
Un interprete qualificato di Nietzsche, Giorgio Colli, ha scritto in quel suo libro autobiografico, in cui fa i conti con il suo Nietzsche, che «oggi le porte sono spalancate per gli aspiranti letterati, per i dispensatori di parole stampate; tutti sono disponibili come spettatori, e in cambio vogliono recitare una piccola parte, ricevere un piccolo applauso: ma proprio ora, dietro il grande spettacolo, serpeggia la grande paura. Già preoccupante è la spensierata bonomia, la totale assenza di timore con cui i potenti guardano agli uomini della cultura: per questo concedono, con evidente disprezzo, la più sfrenata libertà alle loro esibizioni, nonostante che esse fingano di essere pericolose e incontrollabili. È il rovesciamento della posizione oscurantista: più si diffonde e si scatena la fabbrica delle parole, meno c’è da temere da lei. (…) Ogni espressione dell’intelletto oggi è debole e sa di esserlo. Si è incapaci di non reagire con violenza, quando la propria posizione è attaccata, anche lievemente. Per contro si è molto indulgenti verso le idee e le opere altrui, per poter essere a tempo debito risparmiati. È uno spirito corporativo, che mira a creare l’illusione della potenza, proprio perché la potenza non c’è, e tende a presentare come sommamente desiderabile l’appartenenza a questa comunità, mentre la verità è che ciascuno si sente abbandonato in un deserto di desolazione, avverte la propria sterilità e impotenza, intesse interpretazioni cavillose a danno delle gioie del mondo, e soprattutto ha il terrore di essere spazzato via da un momento all’altro». Superfluo aggiungere altro.
La filosofia e il sapere della necessità
All’inizio di quel saggio poi interrotto, Nietzsche non aveva mancato di rilevare che la filosofia era nata grazie alla salute del popolo greco, vera e propria precondizione per la sua esistenza. Senza un popolo alle spalle, la filosofia può esistere solo grazie a viandanti solitari, filosofi del futuro che parlano alle prossime generazioni, senza che siano intesi nel tempo in cui vivono. Nietzsche sosteneva l’idea per cui «l’ultimo filosofo deve soltanto aiutare a vivere, dimostrando la necessità dell’illusione». Ma l’illusione non è solo quella prodotta dall’arte ma anche il «porre come uguale ciò che uguale non è», ovvero il concetto. E il concetto è immagine, ciò che da sempre esercita il massimo fascino sugli uomini, e pensare per immagini è il compito che i filosofi traducono in concetti e metafore.
Oggi, nel tempo della morte della filosofia annunciato da Nietzsche, non ci resta che ripartire da questa consapevolezza: anche un concetto che abbia un fondamento solido nella mente, cioè una base nell’immaginazione intesa come necessaria, può essere sufficiente a risvegliare l’amore per la sapienza. È questo il compito che noi di RF ci prefiggiamo: riannodare i fili di una conoscenza che abbia il sapore della necessità. Perché, secondo quel giudice severo della filosofia che era Nietzsche, scoprire ciò è necessario per diventare quello che siamo, cioè i «legislatori e creatori di se stessi». Ma se la filosofia è il tentativo di andare oltre la condizione umana, l’esempio a cui guardiamo (secondo le parole di Borges) è quello del filosofo che «costruisce Dio nella penombra e che, dalla sua debolezza, dal suo nulla, seguita a modellare Dio con la parola». Seguendo tale ispirazione, portiamo avanti da dieci anni l’attività che meglio ci riesce, ovvero il dialogo con quell’esercito di giganti che sono «l’antiqui spiriti».
Ogni domenica continuerete a trovare su questo sito, in articoli della lunghezza massima di tre cartelle di Word e dieci minuti di lettura, un riassunto di quel dialogo. È questo il nostro ringraziamento a voi lettori (mai quest’anno così tanto numerosi) e alla “madre” filosofia. Buon 2021 a tutti.
Riferimenti bibliografici
Friedrich Nietzsche, Frammenti Postumi, volume terzo, Adelphi, Milano, 2005
Friedrich Nietzsche, La Filosofia nell’epoca tragica dei greci, Adelphi, Milano, 2000
Friedrich Nietzsche, La Gaia Scienza, Edizioni Studio Tesi, Pordenone, 1991
J.L. Borges, Baruch Spinoza, in Tutte le opere, a cura di D. Porzio, vol. II, Milano, 1991
Giorgio Colli, Dopo Nietzsche, Adelphi, Milano, 1996